Cento anni di Ciccio Ingrassia, il siciliano "inglese" che Fellini doppiò in romagnolo - HuffPost Italia

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Cento anni di Ciccio Ingrassia, il siciliano "inglese" che Fellini doppiò in romagnolo

Cento anni di Ciccio Ingrassia, il siciliano inglese che Fellini doppiò in romagnolo

Il palermitano Ciccio Ingrassia compierebbe oggi cento anni. Francesco Ingrassia, nasce in via San Gregorio, quartiere Capo, ventre tra i più popolari dei mandamenti cittadini, appunto, il 5 ottobre 1922, e della città sarà tra le più straordinarie e umane maschere, di più, per entrare nel dettaglio, il volto esatto di una non meno precisa tipologia siciliana, prima ancora che di attore. Ciccio come un singolare zio, meglio, zu', 'u Zu' Ciccio, che sempre ricorderai a suo modo taciturno, lunatico, forse anche dolente sotto i baffi curati, consapevole per natura e storia d'appartenere al dominio di Saturno, pronto magari ad andare su tutte le furie al momento opportuno. Un parente prossimo, alto, distinto, forbito, i baffi modellati dalle forbici del barbiere di fiducia. Ironia e filosofia silente, lì a leggere intanto il giornale. O forse, ragionando di lui, l'altra metà di Franco Franchi, meglio parlare di un carattere, partire dai tratti. Dunque, Ciccio era il siciliano dalle ascendenze arabe, il volto scuro, che proprio i baffi rendono ancor più profondo, riflessivo, e poi l'inflessione della voce, dove l'elemento dialettale mantiene tuttavia anche un tratto di pudore, la cifra signorile. Una tipologia, un genere, una classe di siciliano che gli stessi isolani, sicani e siculi, definiscono "inglese". Di recente la municipalità di Palermo li ha onorati dedicando loro "Piazzetta Franco Franchi e Ciccio Ingrassia".

Lo rammento il giorno dei funerali di Fellini, Ciccio lì più alto d'ogni altra presenza, il trench chiaro troppo piccino per la sua figura filiforme, in viso i tratti e la fierezza di un condor venuto dalla Conca d'Oro, condannato infine all'età della pensione, e piangeva e ancora piangeva, Ciccio, lacrime vere, proprie di un dolore sincero, il pianto della riconoscenza.

Si sa, Ciccio Ingrassia molto doveva a Fellini, tra le più celebri scene di "Amarcord", lui, lo zio matto, in cima all'albero urla "Voglio una donna!". Peccato davvero però che Federico abbia voluto doppiarlo, consegnargli un'altra voce, se ne doleva; già, che ragione c'era di mettergli in gola la calata romagnola? Resta però che la scrittura di Fellini servì anche a liberarlo dalla sindrome della coppia. E dalla gerarchia fra comico e spalla. Nessuno diceva mai Ingrassia e Franchi, piuttosto l'esatto contrario.

Ciccio Ingrassia, se n'è andato nel 2003, quasi dieci dopo l'amico, il compagno, l'altro suo pezzo di mondo, Ciccio che oggi sarebbe centenario. Onore a Ciprì e Maresco che anni addietro li hanno entrambi omaggiati con un documentario, "Come inguaiammo il cinema italiano".

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Assodato che in ogni coppia comica vive lo Yin e lo Yan, il caldo e il freddo, Ciccio nel connubio lasciava non meno fiammeggiare, appunto, il secondo elemento. Se Franco era incontenibile, volutamente smisurato, Ciccio incarnava il filo di ferro, il filo piombo della misura, la distinzione tra il "vastaso", cioè il maleducato, e il residente di condomino piccolo-borghese, con grazia da amministratore del condominio stesso o dirimpettaio-commercialista di fiducia. Decine di loro film o degli stessi sketch restituiscono l'antinomia Franco-Ciccio, il palermitano dalla mimica scimmiesca, e poi l'altro, il palermitano compassato, il Plebeo contro il Signore. "L'Inglese", appunto.

Viene altrettanto in mente l'immagine archetipica di Ciccio Ingrassia nei primi anni Settanta: la giacca a scacchi, i baffi come già detto, se nel film, metti, "I due deputati", Franco fa il portinaio, Ciccio veste appunto l'abito d'amministratore dello stabile, dire "palazzo" sarebbe troppo.   

Di un anno più grande di Francesco Benenato, ossia Franco Franchi, insieme, hanno rappresentato per definizione comica, nella dissolvenza incrociata tra bianco e nero e technicolor degli anni Sessanta, ciò che Pasolini riteneva un bene culturale popolare nazionale. Poi il sodalizio, il "matrimonio" si ruppe. In mezzo, 150 film e molta televisione; furono loro a lanciare, in un programma intitolato "Partitissima", la battuta  "Soprassediamo!" Dove, a quel punto, il Comico, saltava addosso al Serio; si racconta che, nei tribunali, per lungo tempo quell'espressione procedurale dovettero abolirla. Bastava infatti che il presidente della Corte la pronunciasse per trovare boati di risate nell'aula, perfino l'imputato, presunto o reo, non riusciva a trattenersi.

L'inizio della fama, per entrambi, giunse con il musical di Garinei e Giovannini, "Rinaldo in campo", accanto a Mimmo Modugno e Delia Scala, 1961, centenario dell'Unità d'Italia, i chepì dei garibaldini in fila sul boccascena. Negli anni precedenti per loro c'era stato l'avanspettacolo, e ancora prima soprattutto la fame, oggetto d'ogni farsa davvero sia tale. L'esordio è di qualche anno più tardi, in piena guerra: nel 1944, quando ebbe modo di riunirsi all'amico Enzo Andronico, futuro volto di molti loro lungometraggi, caratterista esemplare, e un certo Ciampolo" formando il Trio Sgambetta. Durante una recita a Milano, nel 1957, l'incontro con Rosaria Calì che sposerà nel 1960; Giampiero, nato nel 1961, anche lui attore, è straordinario interprete oggi di musical e molto altro.

Ciccio Ingrassia, quando iniziò a recitare con Franchi, raccontava quest'ultimo, smise il lavoro di calzolaio: "Era bravissimo a tagliare le suole," vantava personalmente Franco, Un grande "sarcituri", detto in dialetto palermitano.

Ingiusto buttare via le commedie, le parodie, "I due vigili", "I due figli di Ringo", "I due pompieri", "I due sanculotti", salvando invece soltanto le prestazioni d'autore: Pasolini, i Taviani di "Kaos", il Pinocchio televisivo di Comencini, lì erano il Gatto e la Volpe. Oppure, acme massima, "Due marines e un generale", dove affiancarono Buster Keaton ormai stremato dell'alcol e della cattiva sorte dopo l'era gloriosa del muto. "Grazie", pronuncia infine Keaton allontanandosi di schiena con gli abiti del tempo già dorato della sua Hollywood.

Arriverà poi "L'esorciccio", sua la regia, la corona d'aglio al collo, e ancora, fra molto altro, "Domani accadrà" di Daniele Luchetti, "Condominio" di Felice Farina, che gli fece dono del David di Donatello "migliore attore non protagonista", e "Camerieri" di Leone Pompucci. Oppure va ricordato, immenso, nel ruolo drammatico dell'onorevole Voltrano in "Todo modo" di Elio Petri, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia; Ciccio nudo a fustigarsi in una straordinaria metafora del potere democristiano, i potenti che Pasolini avrebbe voluto vedere alla sbarra.

Del rapporto con Franco Ciccio ha detto: "Sembravamo Liz Taylor e Richard Burton: ci siamo separati più volte, pur sapendo che sul palco non potevamo fare a meno l'uno dell'altro. Qualcuno ci faceva rincontrare e tornavamo a lavorare assieme". Franco disegnava molto bene, con mano da realismo magico, con i pastelli a cera lo raffigurava a cingerlo nell'affetto del comune destino della fuga dalla fame, insieme sul palco di un teatrino, o forse del Cinema "Finocchiaro" di Palermo, dove si esibivano, sia pure nel marciapiede di via Roma lì davanti, da giovani. Rammento pure le parole di Franco, la volta in cui, ed era racconto dell'indole a volte dispettosa dell'amico, in cui gli disse: "Ciccio, mi ha chiamato Raffaella Carrà, ci vuole a 'Domenica In'". E Ciccio, di rimando: "No, dille che domenica non posso, semmai, lunedì"; misteri dell'umore.     

Anno fa, avrei voluto incontrarlo, ma Rosaria, sua moglie, garbatamente, al telefono, rispose che Ciccio Ingrassia era afflitto da un problema respiratorio, non aveva più voglia di parlare, di raccontarsi. In quel momento mi tornò in mente la prima volta che l'avevo visto, quand'ero ancora bambino, a Palermo, la nostra città, a bordo di una Ford "Taunus" bianca, in fila in un ingorgo, in via Terrasanta, silenzioso, corrucciato, spiritato nella sua nobile aria da inglese palermitano.

Ciccio Ingrassia, diversamente da Franco tornato a Palermo nel Cimitero dei Rotoli, riposa invece in un loculo al "Verano" di Roma, sulla lapide l'iscrizione: "Stringimi solo per un po' sai che mi farai sorridere". In questo ottobre, il ministero dello Sviluppo Economico lo onora con l'emissione di un francobollo ordinario, proprio in occasione del centenario della sua nascita; il volto di Franco figura accanto al suo.

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