Matteo Berrettini: intervista al nuovo atleta Red Bull
Matteo Berrettini
© Giorgio Maiozzi
Tennis

Intervista a Matteo Berrettini, nuova stella del tennis

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui in occasione dell'annuncio del suo ingresso nella famiglia Red Bull
Di Red Bull Team
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Da "tennista per caso", come lo definisce la madre Claudia, alla top 10 del ranking ATP il passo è breve. O almeno lo è stato per l'astro nascente del tennis italiano e internazionale, Matteo Berrettini: classe 96, ha già infranto più di un record, dall'essere il più giovane italiano a qualificarsi per le finali dei Masters ad essere l'unico del Bel paese ad averne vinto un incontro, e ha già avuto modo di sfidarsi con pesi massimi del calibro di Federer e Nadal.
Da oggi è ufficialmente un membro della famiglia Red Bull Italia, e abbiamo colto l'occasione per fargli qualche domanda sulla sua carriera, non senza toccare tematiche e questioni più intime e personali.
Come è nata la tua passione per il tennis?
È nata grazie alla mia famiglia, sono sempre stati soci di un circolo di tennis e già quando avevo 3 anni mi sono ritrovato una racchetta in mano. A un certo punto ho smesso perché non mi faceva impazzire, ma verso gli 8 anni il mio fratellino più piccolo mi ha chiesto di tornare a giocare con lui. Da quel momento non ho più smesso.
Quando e come hai capito che il tennis sarebbe diventato la tua vita?
Da quando ho ripreso a giocare ho sempre avuto un grandissima passione, però ho cominciato a crederci veramente alla fine del 2016, quando avevo 20 anni, dopo una stagione parecchio difficile perché sono stato fermo 6-7 mesi per un infortunio e ho disputato la mia prima finale di un torneo Challenger. Lì mi sono detto “Matteo, può diventare la tua professione”.
Se il tennis non fosse diventato parte integrante della tua vita, a cosa ti saresti dedicato?
Ho sempre sentito una speciale connessione con gli animali, e sin da piccolo ho guardato tantissimi documentari. Mi sarebbe piaciuto aiutarli. Mia nonna mi ha sempre detto che avrei fatto il biologo, però bisogna studiare tanto! La passione, probabilmente, mi avrebbe guidato lì.
Matteo Berrettini

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Cosa deve sacrificare un tennista per poter raggiungere l'Olimpo dello sport?
Io non l'ho mai vissuto come un sacrificio, non mi sono mai sentito appesantito dalla vita che ho scelto. Ovvio che non è stata una vita “normale”: sono diplomato, ma gli ultimi due anni li ho passati da privatista. Se devo parlare di sacrifici, direi che ho sacrificato un po' le amicizie, e sicuramente non vedo così spesso la mia famiglia, ma mi sento comunque molto fortunato.
Quanto ti alleni prima di una competizione?
Dipende dal periodo. Il nostro blocco di allenamento principale è a dicembre. Poi durante l'anno i tornei si susseguono, e alcune settimane sono un po' più di “carico”, altre di “scarico”. Prima di un torneo, se inizia il lunedì, tendenzialmente mi alleno fino al giovedì precedente, massimo fino al venerdì, per 4-5 ore al giorno belle intense tra tennis e palestra (7 contando anche stretching e altro).
Preferisci l'Europa o gli States per giocare?
In Europa mi sento sicuramente più a casa, però il miglior risultato l'ho ottenuto negli States. Diciamo che mi piace giocare in entrambi i continenti, anche se sono diversi: i tornei americani sono un po' più “caotici” rispetto a quelli europei; in America si gioca solo su cemento, in Europa le superfici sono più varie. Anche sulle superfici non ho preferenze in particolare: fino all'anno scorso avrei detto terra, poi ho disputato un'ottima stagione su erba, e infine il miglior risultato della mia carriera l'ho ottenuto su cemento. Diciamo che sono un tennista a 360°!
Matteo Berrettini

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La partita che non dimenticherai mai?
È scontato citare i successi, ma trovo che anche le sconfitte siano molto, molto importanti, soprattutto le famose “legnate”, come quella che ho ricevuto da Federer a Wimbledon: è stata significativa e bellissima perché ho giocato contro il mio idolo in quello che è probabilmente il campo più importante del mondo e mi ha insegnato tanto. Però la partita che ricordo con più piacere è quella dei quarti di finale degli U.S. Open.
E come ci si rialza dopo una “legnata”?
Credo che la più grande qualità del mio allenatore sia quella di trarre il meglio da tutto ciò che di negativo può accadere (infortuni, partite brutte ecc), un mindset che mi ha sempre ispirato e aiutato a migliorare. Una volta subita una batosta, con il mio team ci chiediamo cosa fare per essere più pronti la prossima volta, che strategie adottare per arrivare allo stesso livello dell'avversario e così via. Credo sia l'unica strada percorribile in questi casi.
La partita che non avresti mai voluto giocare?
Non ce n'è una in particolare. Lo scorso anno, verso febbraio, facevo un po' di fatica a trovare la motivazione giusta per essere felice nel fare quello che facevo. Ci sono dei momenti in cui fare le stesse cose ogni giorno trasforma tutto in una routine un po' “pesante”. Però non c'è mai stata una volta in cui ho detto “non mi va di giocare questa partita”, anche se ce ne sono state alcune in cui sono sceso in campo un po' più scarico.
Matteo Berrettini

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L'avversario più duro da battere?
Per caratteristiche, credo che Đoković sia l'avversario più duro da battere. Ma in generale, lui, Federer e Nadal sono in vetta da tanto, sono tutti e 3 davvero imbattibili.
L'amico che non aspettavi di trovare sul campo da tennis?
Con Marco (membro del team di Matteo, ndr) ci siamo conosciuti in vacanza in Calabria a 8 anni. I nostri padri giocavano insieme, si sono incontrati lì, e hanno deciso di farci giocare insieme. Poi ci siamo incontrati in tante competizione U12, U14, U16, e ora lui è entrato a far parte del mio team, ed è anche diventato uno dei miei migliori amici. Siamo partiti da lontano e siamo entrati nell'élite, io da giocatore e lui da allenatore.
Matteo Berrettini

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I tuoi idoli, sul campo da tennis e al di fuori?
Sul campo sono cresciuto con Federer, ho sempre fatto il tifo per lui. Poi quando ho iniziato a partecipare ai tornei e a ritrovarmelo come avversario, ho pensato che forse avrei dovuto iniziare a tifare per me! (ride)
Come atleta e come figura di riferimento ho sempre avuto LeBron James, ricordo ogni sua partita. Mi piace come giocatore, ma anche ciò che fa per la comunità, al di fuori del campo da basket.
Sei giovane ma hai già infranto alcuni record. Prossimi obiettivi?
Quelli che ho raggiunto lo scorso anno non me li sono mai fissati, non li ho mai detti, forse perché non ci credevo nemmeno io. (ride) Diciamo che per ora punto a fare quanta più esperienza possibile.
E il tuo sogno qual è?
Il mio sogno è alzare un trofeo importante, magari uno Slam o un Masters 1000.