«Mia madre Caterina Boratto, grande attrice malinconica. Con Fellini fu magia e Pasolini la inondò di rose» | Corriere.it

«Mia madre Caterina Boratto, grande attrice malinconica. Con Fellini fu magia e Pasolini la inondò di rose»

diAlessandro Chetta

Marina Ceratto: «La morte del fratello partigiano è stato il dolore più grande. Ne parlava spesso con Pier Paolo, colpito da identitco lutto. In casa ottima chef di agnolotti piemontesi ma come genitrice era sempre un po' altrove»

«Mia madre Caterina Boratto, grande attrice malinconica. Con Fellini fu magia e Pasolini la inondò di rose»

Caterina Boratto con la figlia Marina

Marina Ceratto, giornalista e scrittrice, racconta la madre, Caterina Boratto, nell’unica maniera con cui i congiunti delle persone celebri possono farlo: una girandola di vicinanza e distacco, di memorie in soggettiva e sguardi mediati, in questo caso dal cinema: la torinese Boratto è stata una delle attrici più affascinanti del ‘900. 

In un’intervista lei ha affermato ‘Ho vissuto in simbiosi con mia madre, come un suo alter ego, ero ciò che è sopravvissuto di lei’. Cosa voleva dire?
«Adesso non ne sono più tanto sicura. Però da ciò che ricordo l’ho sempre supportata e con mio marito l’ho assistita in momenti molto difficili. A volte anche con l’aiuto di amiche molto care come la regista Emanuela Piovano e sua madre. Lei forse non si è resa conto di essere molto esigente e di pretendere sempre il mio aiuto. Non credo di somigliarle molto come carattere, assomiglio più a mio padre».

La morte del fratello partigiano a Cefalonia l’ha segnata?

«Tre morti erano un tormento nel suo cuore, quella del padre, Maurilio Boratto, quella del fidanzato Guido Guidi e quella di suo fratello, quest’ultima l’aveva devastata. Credo che mio padre l’abbia sposata per questa tragedia e l’abbia ricoverata in clinica alla Sanatrix perché era quasi impazzita di dolore».

Scomparsa nel 2010, famiglia canavesana originaria di Piverone. Sua madre come esprimeva la piemontesità?

«Sapeva, al contrario di me, molto bene parlare in piemontese e spesso proprio con Nello Pacifico, per me quasi uno zio, perché mi aveva fatto conoscere le lotte operaie in Piemonte».

Pare fosse una grande cuoca, faceva agnolotti piemontesi meravigliosi. Conferma?

«Sì, assolutamente. Lei non si considerava molto brava invece lo era come quando invitammo Roberto Olivetti con la moglie Elisa. Ho perso un po’ di memoria, ma mi sembra che ci fossero anche Rita e Paola Montalcini, da me amatissime perché si chiamavano l’una con l’altra Gioia mia…Le torinesi lo fanno, era un modo di parlare che per me era musica».

Com’erano i rapporti con Ceratto padre, proprietario della Clinica Sanatrix e legato alla Resistenza torinese?

«Da bambina era il mio dio e devo ringraziarlo per avermi spinto sempre verso la cultura. Volle assolutamente che facessi il liceo classico e si scontrò anche con Dogliotti che, dato che svenivo spesso, voleva farmi fare Economia domestica. Io non ho saputo mai dare un punto e conservo ancora il centrino di mia nonna Albertina che lo fece al mio posto. Era molto bella e da giovane somigliavo più a lei che a mia madre».

Ci racconta lo scontro con Anna Magnani. Quando avvenne e perché, in quale occasione?

«Ah di questo non ho troppa memoria perché la vita di quella donna, forse la più grande attrice italiana che abbiamo avuto, so che è stata molto dolorosa. Solo Roberto Rossellini l’ha capito. Sembra strano, vero? L’ha lasciata per la Bergman. Poi è da lei che ho conosciuto Manuel De Sica che insieme a Vittorio è come una rosa sul cuore».

Leggenda vuole che Caterina Boratto incontri Fellini in Campo de’ fiori.

«No, l’ha incontrata la prima volta in una latteria in cui andava anche Alberto Sordi e poi davanti ad una Standa o Upim del centro che non c’è più ed ha sfilato la penna ad un passante per prendere il suo indirizzo. Mamma tornò a casa un po’ sconvolta da quell’incontro inaspettato. Il suo migliore amico, Guido Sacerdote, insisteva ad ogni telefonata che lei si facesse bella e uscisse con un grande cappello. Un personaggio che andrebbe riscoperto, dobbiamo a lui le Kessler e Paolo Villaggio».

In ‘8 e mezzo’ è la signora eterea, la ‘bella passante’ di Brassens, a cui Mastroianni chiede ‘mi tolga una curiosità chi è lei?’. Le ha mai parlato dell’esperienza in quella pellicola epocale?

«Fellini si impossessava delle vite degli altri, anche a me chiese molte cose sulla scuola cattolica e cosa pensassi di Dio. Ma credo che tutti gli interpreti di quel film abbiano per molto tempo vissuto un sogno, perché sul set si respirava un’atmosfera assolutamente magica anche grazie ai ritiri a Bracciano con il suo terapeuta Ernest Bernhard, tanto che io mi misi ad un certo punto a fare analisi con Hélèn Herba Tissot».

Pasolini volle Caterina in Salò o Le 120 giornate di Sodoma, era una delle megere. Cosa le raccontò del poeta e di quel film ‘maledetto’?

«Lo incontrò, grazie ad Alberto Moravia, alle 10 del mattino e ritornò a sera inoltrata. Fu come si fosse innamorata. Pier Paolo mentre giravano Salò nel giorno del suo compleanno il 15 marzo, la inondò di rose, tanto che non sapeva più dove metterle. Passavano le ore a parlare delle loro reciproche tragedie, mamma della morte del fratello a Cefalonia, Pier Paolo della fucilazione del fratello nell’eccidio di Porzus. Lui la fece finalmente essere molto brava in Salò, che è la sua più grande interpretazione».

Altre pietre miliari sono Ardenne con Pollack, Primo Amore con Risi, Amici miei di Monicelli. Aneddoti?

Pollack guidava un aeroplano privato e dato che mamma ne faceva racconti fantasmagorici ed aveva grande talento, lo intervistai pensando a chissà cosa ma fu con me molto freddo. Con Risi che avrebbe dovuto diventare medico, parlava solo di medicina. Lo incontrai al funerale di Tonino Delli Colli e gli promisi che sarei andata a trovarlo, non fui affatto di parola e me ne rammarico ancora. Accompagnai mamma a fare Amici miei e quasi fui meravigliata di incontrare un Ugo Tognazzi molto depresso, lo ricordavo quando io era ragazzina che zittendomi, mi seguiva sul Lungomare di Ostia.

In 32 dicembre di Luciano De Crescenzo è la nonna che si sente giovane e s’innamora, relativizzando, dice il filosofo, la nozione di tempo. Si sentiva davvero così o sul finire dei giorni la scoprì immalinconita?

«Immalinconita lo era sempre, aveva molti rimorsi per mio padre, anch’io non sono stata un appoggio per lui negli ultimi mesi della sua vita e addirittura non l’ho baciato partendo con mia madre per la Calabria. Un grande rimorso».

Lei una volta ha detto ‘Mia mamma non era a suo agio nella mamma cattiva di Giulietta' in Giulietta degli spiriti. Com’era con lei?

«Sempre un po’ altrove, d’altronde non era nata per fare la mamma, un po’ come me. Poi pensava ossessivamente a Guido Guidi e a suo fratello fucilato a Cefalonia, anzi l’aveva riconosciuto in una foto di disperso, a Leopoli. Fu Massimo De Rita a far venire una santa donna che la fece pregare e stette subito meglio. Io frequentavo il suo gruppo Neocatecumenale perché pensava che avessi messo Dio sotto i piedi. Anzi, questo mi disse incontrandomi e creandomi un po’ una sorta di shock. Ma era un uomo divertentissimo e senza di lui forse, non avrei ritrovato Dio».

Contenta dell’intitolazione dei giardini in piazza Statuto?

«Avrei sperato in una via a lei titolata, ma dato che nella vita la più parte delle cose non è che vanità, e a volte non lo capiamo, non ho protestato».

Se comparisse ora, come uno degli spiriti di Fellini, cosa vorrebbe dirle?

«Cara mamma non so perché ti ho troppo amata seguendo la cometa di mio padre. Ma mi spiace di non poter portare sulla tua tomba i lillà, l’unico fiore che tu amavi. Spero comunque che lassù ti abbiano mostrato i salti mortali che papà faceva per trovarti le anguille marinate anche di domenica».

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13 maggio 2024