Orlando Duque, il re del Red Bull Cliff Diving - intervista | Gazzetta.it
Sports director Orlando Duque talks to Molly Carlson in the Divers Area during the final competition day of the seventh stop of the Red Bull Cliff Diving World Series at Polignano a Mare, Italy on September 18, 2022.

l'intervista

Orlando Duque, il re del Red Bull Cliff Diving: "La mia sfida è cercare i campioni di domani"

Il colombiano, il più iconico tuffatore dalle grandi altezze, oggi è direttore sportivo delle World Series che partiranno il 26 maggio ad Atene. Il 30 giugno la tappa di Polignano a mare

Pierfrancesco Catucci

Dici tuffi dalle grandi altezze, dici Orlando Duque, il primo campione delle world series del Red Bull Cliff Diving, il più iconico acrobata di uno sport che è cresciuto assieme a lui. Dici Orlando Duque, dici imprese straordinarie e tuffi dai posti più improbabili. Tuffo da un elicottero? Fatto. Tuffo da un iceberg in Antartide? Fatto. Tuffo nella giungla nel Rio delle Amazzoni? Fatto. Guinness dei primati per il primo tuffo da 10? Fatto anche quello. E avrebbe partecipato pure all’Olimpiade di Barcellona 1992 (dalla piattaforma 10 metri), se solo i problemi economici della sua Federazione nazionale non gliel’avessero impedito. Oggi, smessi i panni di atleta, il quasi cinquantenne colombiano è il direttore sportivo del Red Bull Cliff Diving, mentore dei tuffatori e anello di congiunzione con gli organizzatori delle World Series che ricominciano il 26 maggio ad Atene, prima di un salto negli Stati Uniti (Boston) l’8 giugno e il ritorno in Italia, nella ormai storica tappa di Polignano a Mare, il 30 giugno. Poi il 2 luglio in Irlanda del Nord (Costa di Causeway), il 10 agosto a Oslo, il 25 agosto a Montreal, il 29 settembre ad Antalya (Turchia) fino alle finali del 10 novembre a Sydney. 

Sports Director, Orlando Duque of Colombia climbs the ladder from the 21 metre platform during the final competition day of the first stop of the Red Bull Cliff Diving World Series in Boston, USA on June 03, 2023.

Orlando, come è cominciata la sua storia d’amore con le grandi altezze? 

“Sin da quando avevo 10-11 anni ho sempre frequentato il mondo dei tuffi tradizionali, ma il mio primo approccio con il Red Bull Cliff Diving è arrivato nel 1999, dieci anni prima della nascita delle World Series. Un colosso come Red Bull stava spingendo la disciplina e io avevo la possibilità di sfidare i miei idoli. Al primo tentativo, sono arrivato secondo in una gara, senza particolare allenamento. Non ero male (ride, ndr). Dal 2000 ho cominciato ad allenarmi più seriamente e mi sono dedicato a tempo pieno ai tuffi. Lì è cominciata la mia carriera”. 

Ha scoperto che era più bello da 27 che da 10? 

“In realtà ho cominciato a metà anni Ottanta con i primi tuffi per gioco da bordo piscina. Era divertente. Uscivo da scuola e andavo a tuffarmi con gli amici. C’era chi giocava a calcio, chi a basket e chi seguiva me. Chiaramente all’epoca non pensavo minimamente all’evoluzione che avrebbe potuto avere quella passione. Poi ho cominciato con i trampolini, le piattaforme e andavo sempre più su, ma restava un hobby. Poi sono arrivate le grandi altezze e lì, quasi senza che me ne accorgessi, è diventato qualcosa di più”. 

Anche perché è arrivato subito Gary Hunt a sfidarla ed è stata una bella lotta per oltre un decennio. 

“Ho dieci anni più di Gary, ma la nostra sfida ha portato entrambi ad alzare costantemente il livello. Lui è riuscito in pochissimo tempo ad arrivare all’apice e apprezzo tanto il fatto che sia sempre rimasto il gentiluomo che ho conosciuto più di 15 anni fa. Si è visto subito che avrebbe portato questa disciplina nel futuro e, dopo qualche anno in cui abbiamo battagliato, ha preso il volo. Ed è bello che ora ci sia gente come Constantin Popovici, Catalin Preda, Aidan Heslop che stanno portando lo sport ancora più in alto”. 

Lei, però, resterà quello delle imprese impossibili. Qual è stata la più complicata e spaventosa? 

“Direi il tuffo dall’iceberg in Antartide, perché c’erano troppe variabili incontrollabili. In tutti gli altri tuffi, avevamo molti più punti fermi. Lì era tutto contro di me, dalla logistica, al semplice pericolo del tuffo, alle condizioni climatiche, eccetera. Certo, c’era la Marina colombiana che mi ha supportato in tutto e per tutto, ma la situazione è stata davvero estrema. Sono stato lì sei settimane, un tempo infinito se sei rinchiuso in una nave militare. Era la prima volta che qualcuno si tuffava da un iceberg e c’era anche la paura che potesse rompersi. Poi il mare avrebbe potuto nascondere qualsiasi insidia. Anche altre imprese sono state complicate, ma cercavo sempre l’aspetto positivo: cose come il calore dell’acqua, per esempio. E l’Antartide diciamo che non è famoso per questo aspetto. Però è andato tutto benissimo e posso raccontare quella esperienza con orgoglio”. 

A proposito di sicurezza, nel suo ruolo di direttore sportivo è la figura che decide se ci si può tuffare o meno quando le condizioni sono al limite. Come si trova in questa veste? 

“È molto bello e credo sia il ruolo migliore a cui potessi ambire dopo aver smesso di gareggiare. Anche perché ho la fortuna di essere circondato da amici. Sono con loro in giro per il mondo e capisco cosa passa per la loro mente quando le condizioni non sono ideali. Conosco le loro paure, i loro stati d’animo e questo mi spinge a cercare sempre la soluzione migliore perché tutto sia fatto in sicurezza. Loro si fidano di me perché sanno che non li metterei mai in pericolo e questo è fondamentale. Poi c’è sempre la sensibilità e l’esperienza di ognuno di loro. C’è chi è nel giro da più tempo e sa gestire meglio le situazioni più complicate e chi invece è alle prime esperienze. Parlo con loro, cerco di dare il consiglio giusto, pur mantenendo il mio ruolo super partes”. 

Nel frattempo, lavora anche alla crescita di nuovi talenti… 

“Sì, abbiamo creato una specie di accademia che si chiama ‘Red Bull Under my wiiings’ e andiamo alla scoperta dei tuffatori del futuro in tutto il mondo. Per una settimana si allenano con me, hanno il sostegno di una struttura medica e fisioterapica di altissimo livello e cerchiamo di dare loro gli elementi base per capire se è una carriera che possono approfondire. Alcuni hanno già partecipato con qualche wild card alle World Series del Red Bull Cliff Diving e proviamo ad accompagnarli nell’élite di questo sport”. 

Una bella fortuna, visto che lei e tanti suoi colleghi (a cominciare dal nostro Alessandro De Rose) avete imparato col fai da te… 

“Noi non avevamo tutte le risorse che ci sono ora. Ma noi, quindici anni fa, non avremmo potuto mai competere con i tuffatori di oggi. C’è stata un’evoluzione della disciplina e, per il livello che si è raggiunto adesso, non è più possibile arrivarci senza un’adeguata preparazione fisica, tecnica e mentale. Ecco perché diamo loro tutto il supporto necessario per capire se questo sport fa per loro. E sono convinto che queste accademie daranno vita a tanti campioni di domani”.

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