Paparazzo, il cognome italiano più famoso nel mondo - Treccani - Treccani

Nel film Totò, Peppino e... la dolce vita del 1961, Totò dice a Peppino che i fotografi si chiamano “paparazzi”, ma l’altro intende materazzi. La parola gli è nuova e sconosciuta, e la interpreta attraverso un’altra più familiare.

Totò ebbe sul set un legame stretto col mondo dei paparazzi in occasione di questa pellicola, parodia della Dolce vita di Federico Fellini del 1960. Il film fu pensato per coprire le spese sostenute dalla produzione per ricreare a Cinecittà la via Veneto e altri ambienti della pellicola del regista riminese. Che Totò abbia coniato, proprio in quella occasione paparazzare, è difficilmente documentabile. Ma a lui è attribuita la paternità di quel verbo.

 

L’albergatore di Catanzaro e lo scrittore inglese

A proposito di paparazzi, tutti sanno che questa voce, ormai divenuta internazionale, deriva da Paparazzo, un cognome dell’area della Sila, in Calabria, forse d’origine greca (con il significato di ‘prete sarto’) o più verosimilmente latino-volgare (e in tal caso equivale a ‘paperaccio’).

George Gissing, romanziere inglese, scrisse a fine Ottocento un diario di viaggio in Italia citando un albergatore di Catanzaro, tale Coriolano Paparazzo, personaggio felliniano ante litteram di cui si ricorda in particolare un avviso appeso alle porte delle camere degli ospiti del suo Albergo Centrale: vi implorava i clienti di non andare a pranzare e a cenare altrove, ma di usufruire dei servizi della cucina interna dell’hotel, garantendo il meglio del meglio per i giorni futuri.

Lo scrittore e giornalista abruzzese Ennio Flaiano, che collaborava alla sceneggiatura del film La dolce vita (1960), colse dal diario di viaggio di Gissing quel cognome e lo propose a Fellini. I due stavano cercando un nome adatto al personaggio del fotografo.

Al regista pa-pa-raz ricordava il suono di una conchiglia che apre e chiude le valve e il rumore del flash di una macchina fotografica e forse anche il dialetto romagnolo (ne sarebbe una prova il personaggio di Snàporaz nella Città delle donne, interpretato da Marcello Mastroianni proprio come La dolce vita, e che risultava da una contrazione di t-ci snà un puràz, cioè ‘sei soltanto un poveraccio’, frase che il regista rivolgeva scherzosamente all’attore quando questo esibiva una flemma che Fellini definita tutta “ciociara”): comunque eccellente per il personaggio del fotografo dei divi del cinema interpretato dall’attore Walter Santesso.

 

Le spiegazioni felliniane

L’origine della voce termine Paparazzo lo stesso Fellini si divertiva a spiegarla in tanti modi: sarebbe stato il cognome di un suo compagno di scuola; poi sarebbe stato Flaiano a coniare il cognome basandosi sul nome dialettale abruzzese delle vongole; ancora, sarebbe stata l’attrice Giulietta Masina a suggerire al marito Paparazzo, mettendo insieme pappataci e ragazzi, ossia i ragazzi-zanzare, come in effetti erano percepiti da molti, con grande fastidio, gli appiccicosi fotoreporter; e l’idea dell’assonanza con il pappatacio, insetto ronzante e simile alla zanzara, è raccontata dallo stesso Fellini, in un articolo in inglese, Paparazzi on the Prowl, ovvero ‘paparazzi a caccia’, apparso sul «Time» nel 1961. La verità con il riferimento all’albergatore calabrese è però accertata.

Paparazzo si era trasformato in un nome comune già nel corso delle riprese della Dolce vita, quando il regista, per chiamare e spostare sul set il gruppo dei fotoreporter, usava rivolgersi a loro come “i paparazzi”, pluralizzando l’unico cognome che ricordava perché era anche l’unico assegnato a un personaggio con la macchina fotografica.

Con il successo del film, il termine paparazzo per indicare un qualsiasi reporter d’ambito mondano dall’italiano si è propagato in decine di altre lingue, con una curiosità: in quasi tutte paparazzi con -i finale (tipica marca dell’italiano per l’orecchio straniero) è tanto singolare quanto plurale.

 

Transonimie internazionali

Un ulteriore passaggio semantico ha caratterizzato la parola: da fotoreporter a simbolo di mondanità in generale – nomi di ristoranti, alberghi, sale vip, ecc. – e di italianità in particolare. La voce paparazzo ha dunque compiuto un percorso originale, diventando uno dei simboli dello spettacolo italiano e dell’Italia tutta, un nome che, grazie alla sua allusività e capacità evocativa, ha assunto un valore identificativo dell’italianità, specie nel commercio e in particolare nella ristorazione.

La Rete è piena di voci con base paparazz-, tra i quali possono citarsi i sostantivi: paparazzismo, paparazzume, paparazzaggine, paparazzata, paparazzeria, paparazzità, paparazzitudine, paparazzofobia, superpaparazzo, protopaparazzo, il femminile paparazza, paparazzetto, paparazzaccio; le voci verbali: paparazzava, paparazzerei, paparazzeggio, paparazzando, paparazziamo; e poi gli aggettivi e i participi: paparazzabile, paparazzevole, paparazzato e ultrapaparazzato... Se poi desideriamo ampliare la lista, spulciando nelle lingue straniere, iperpaparazzi e paparazzino sono documentati solo in inglese, paparazzista in finlandese, postpaparazzismo in spagnolo, paparazzese in portoghese brasiliano, paparazzita in varie lingue tutte diverse da quella italiana.

Si veda anche il titolo di un articolo che è quasi uno scioglilingua: Paparazzo paparazzato mentre paparazzava. Non è una novità. Certo è che Paparazzo ha superato per popolarità e diffusione, in Italia e ancor più all’estero, tutti gli altri nomi comuni e aggettivi derivanti da protagonisti di film.

 

Ma Paparazzo è un cognome o un soprannome?

All’origine, dunque, certo un cognome: ma in bocca a Fellini e a Mastroianni non sarà diventato forse un soprannome? Che cosa ce lo fa pensare? Vari particolari. Primo, nel film del 1960 i personaggi con cognome si contano sulle dita di una mano: il protagonista Marcello (Rubini nel film, peraltro appena citato), gli appartenenti alla famiglia Steiner e una figura trascurabile come Totò Scalise. Adriano Celentano è indicato come “il cantante”, Enzo Cerusico come “il fotografo”, Alfredo Rizzo come “il regista televisivo”, Umberto Orsini come “il giovane”, Jacques Sernas come “il divo” e poi Sylvia (Anita Ekberg), Maddalena (Anouk Aimée), Emma, Fanny, Robert, Nadia, Laura, Irene, Nico, Paola, Riccardo, senza mai un cognome.

Secondo: come detto, già nelle riprese Fellini si rivolgeva al gruppo dei fotografi appellandoli “paparazzi”. Il che, oltre ad aver accelerato il processo deonimico, sembra un’operazione onomastica più verosimile e condivisibile se si parte da un soprannome per sua stessa natura è attribuile a chiunque, che non da un nome di famiglia. Terzo: il significato di Paparazzo (discusso anche tra i linguisti) è stato spiegato in vari modi dai protagonisti, come se ci si divertisse a rispondere in modo sempre diverso alle domande di giornalisti e di curiosi, dando fondo alla propria fantasia etimologica. Anche questo aspetto sembra meglio correlarsi all’invenzione di un soprannome che non alla replicazione di un cognome.

Ma accontentiamoci della vulgata. Altrimenti dovrebbe cambiare anche il titolo di questo articolo.

 

Il ciclo Onomastica: un mondo da scoprire è ideato, curato e scritto da Enzo Caffarelli

Di seguito il link agli interventi già pubblicati:

 

 

Immagine: Screenshot tratto dal film di F. Fellini La dolce vita, via Wikimedia Commons

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