PICCININO, Niccolò in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

PICCININO, Niccolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PICCININO, Niccolo

Serena Ferente

PICCININO, Niccolò. – Uno dei maggiori condottieri del XV secolo, nacque probabilmente a Perugia nel 1386, da una famiglia originaria del borgo di Calisciana.

Il padre Francesco apparteneva al popolo perugino e possedeva una casa nella parrocchia di S. Fortunato a Porta Sant’Angelo «cum banchis aptis ad macellandum». Il biografo Giovan Battista Bracciolini riporta anche il nome della madre, Nina, che si occupò da sola del figlio dopo la morte del padre, ucciso quando Niccolò aveva dieci anni, forse da un membro della fazione popolare perugina dei Raspanti. Piccinino lasciò Perugia dodicenne per raggiungere lo zio paterno Biagio, con cui venne reclutato dal condottiero braccesco Bartolomeo Sestio e poi direttamente da Braccio Fortebracci. Sotto quest’ultimo avrebbe appreso l’arte del combattimento a cavallo.

A questo periodo risale il soprannome ‘piccinino’, che gli fu verosimilmente attribuito per la sua piccola statura, confermata da molte fonti. La sua ascesa continuò durante gli anni delle guerre negli Stati della Chiesa, della signoria braccesca su Perugia, Todi, Orvieto e altre terre umbre (1416-24) e delle guerre napoletane di Braccio. Alla morte di questi nel 1424, Niccolò affiancò l’erede designato dello Stato e della compagnia di Braccio, il quattordicenne Oddo Fortebracci, ma si ritrovò presto a capo della parte più consistente della compagnia un anno dopo, quando il giovane Oddo fu ucciso sul campo di battaglia in Val Lamone. Sebbene in competizione con altri capitani, come Niccolò, detto ‘della Stella’, e Carlo Fortebracci, a partire dal 1425 Niccolò Piccinino emerse come vero capo dei bracceschi in Italia e fu responsabile della svolta politica che li portò al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti (meritandosi in quell’occasione la pittura infamante a Firenze).

Niccolò fu uno degli autori principali dell’espansione dei domini viscontei nell’Appennino tosco-ligure-emiliano contro i Fieschi e, nel dicembre 1430, della difesa di Lucca dall’attacco fiorentino. La progressione dell’esercito visconteo nel 1431 continuò nel contado pisano, in Val d’Elsa e in direzione di Arezzo e Cortona, prima di essere bloccata dal duca stesso, che lo richiamò a Milano sul fronte veneziano e in Valtellina.

Nel 1433 gli fu affidato il ruolo di governatore pro tempore di Milano e l’organizzazione degli onori cavallereschi per la visita dell’imperatore Sigismondo, alla quale Filippo Maria non assistette. Nel panegirico funebre di Piccinino, Pier Candido Decembrio sottolineò quanto la prudenza e moderazione da lui mostrate in quell’occasione a Milano ne accrescessero la reputazione come uomo di governo.

Niccolò Piccinino fu anche protagonista della rivoluzione degli equilibri diplomatici italiani seguita alla sconfitta e cattura di Alfonso d’Aragona nella battaglia navale di Ponza del 1435. Fu lui a scortare il pretendente al trono napoletano da Genova a Milano e in seguito all’inattesa riconciliazione fra Alfonso e Filippo Maria entrò anche al servizio del re, riallacciando il rapporto tra bracceschi e aragonesi inaugurato da Braccio.

La corrispondenza milanese indica che Piccinino era diventato in quegli anni uomo di fiducia del duca di Milano, non soltanto su questioni militari, e tale fiducia dovette contribuire ad alimentarne le ambizioni personali di governo. Il 2 dicembre 1437 Filippo Maria gli concesse l’affiliazione alla casata viscontea, l’uso della biscia nello stemma gentilizio e un primo nucleo di possedimenti territoriali in parte sottratti ai Fieschi, comprendente Borgonovo Val Tidone, Ripalta in Val di Vara, Borgo Val di Taro e Varese Ligure, e poco dopo anche Arquata Scrivia e Castelletto nell’Alessandrino. Al cancelliere di Piccinino, Albertino da Cividale, furono date Calestano, Marzolara e Vigolone nel distretto di Parma.

Nel 1438 Piccinino diventò governatore di Bologna per conto di Filippo Maria, il quale sosteneva la fazione bentivogliesca contro il legato papale. Entrato in città il 20 maggio, favorì l’elezione di un nuovo collegio dei Sedici e stabilì una forma di protettorato, in parte visconteo, in parte personale, durato fino al 1443. Piccinino guidò le truppe viscontee contro l’esercito fiorentino guidato da Micheletto Attendolo alla battaglia di Anghiari (29 giugno 1440); la sconfitta lì subita segnò una battuta d’arresto delle ambizioni di Filippo Maria in Toscana, ma non di quelle di Piccinino. Il condottiero aspirava all’infeudazione di Piacenza, e forse persino al matrimonio con l’unica figlia del duca, Bianca Maria. Quando il duca sposò sua figlia, con in dote Cremona, al principale rivale di questi, Francesco Sforza, il Piccinino, sopravvissuto a una grave malattia, inaugurò l’ultima fase della propria carriera, in cui le mire di espansione militare diventarono apertamente personali.

Il 7 giugno 1442 Niccolò Piccinino veniva insignito del nome e dello stemma araldico della casa d’Aragona. Nel settembre 1442 acquistò con truppe braccesche i territori del cosiddetto Stato Pallavicino, confinanti con i suoi possedimenti di Borgo Val di Taro e controllati da Rolando Pallavicini, accusato di tradimento contro Filippo Maria Visconti. A novembre dello stesso anno era in Umbria contro Alessandro Sforza e conquistava Assisi, Gualdo e Norcia al fianco dei perugini, ma con l’intenzione di farne il proprio dominio e stabilire un patto di reciproco sostegno con i Baglioni, signori di Perugia, alcuni dei quali avevano militato sotto di lui.

Nuovamente richiamato a Milano da Filippo Maria Visconti nel 1443, Piccinino lasciò la guida della compagnia braccesca al figlio Francesco, sconfitto da Francesco Sforza e fatto prigioniero a Montolmo. Da tempo sofferente, al punto da dover essere issato a cavallo a braccio dai propri aiutanti, morì di idropisia a Cusago, vicino Milano, il 16 ottobre 1444. Fu seppellito nel Duomo di Milano per volere del duca.

Il matrimonio giovanile, l’unico, con Gabriella di Bartolomeo Sestio diede a Niccolò almeno uno, forse due, dei suoi tre figli maschi: Francesco, Jacopo e l’ultimogenito Angelo seguirono il padre nel mestiere delle armi fin dalla giovanissima età. Giovan Battista Bracciolini lo accusò dell’uccisione della moglie Gabriella per sospetta infedeltà riportando tre diverse versioni dell’omicidio.

Da giovane Niccolò Piccinino era noto per la speciale combinazione di talento e ferocia, alla quale gli anni di carriera aggiunsero una prudenza militare e politica che destava ammirazione. Sotto il suo comando la Compagnia dei bracceschi allargò considerevolmente la propria influenza oltre le aree degli Stati della Chiesa e del Regno di Napoli nelle quali Braccio aveva combattuto e tessuto alleanze, in particolare estendendosi alla parte meridionale del ducato di Milano intorno a Parma e Piacenza, a Bologna, alla Lunigiana e all’Appennino ligure-emiliano, ma anche alla Toscana non fiorentina. Il prestigio militare dei bracceschi e la rivalità con gli sforzeschi attrassero verso la compagnia condottieri minori, signori italiani e membri dei ceti di governo di città come Bologna, Lucca, Siena o Perugia. Alla morte di Piccinino l’eredità della compagnia e dei suoi contatti passò ai figli Francesco e Jacopo, mentre i possedimenti territoriali in Lombardia e Umbria si sgretolarono rapidamente.

La vertiginosa ascesa sociale di Piccinino dalle modeste origini perugine alla condizione di comes e al nome Visconti d’Aragona, dovuta interamente alle sue virtù militari, affascinò i contemporanei. La sua immagine come ‘Alter Mars’, celebrata già in vita da una medaglia di Pisanello (post 1442), fu consolidata poco dopo la sua morte nell’orazione funebre di Pier Candido Decembrio. Negli anni 1460, ai tempi dell’ascesa del figlio Jacopo, furono composti il poema epico-storico di Lorenzo Spirito da Perugia intitolato appunto L’Altro Marte e la biografia latina di Giovan Battista di Poggio Bracciolini, quest’ultima tradotta in italiano e stampata insieme alla vita di Braccio di Giovannantonio Campano da Pompeo Pellini nel 1572. Piccinino figura d’altronde in numerose collezioni quattrocentesche e cinquecentesche di vite di uomini illustri, a partire da quella, rimasta incompiuta, di Enea Silvio Piccolomini. Oltre alla medaglia di Pisanello e al ritratto nel pisanelliano Codice Vallardi, ora al Museo del Louvre, un suo ritratto a figura intera faceva parte del ciclo di Uomini Illustri affrescato forse da Domenico Veneziano nel 1438 nel palazzo Baglioni di Perugia, andato distrutto nel 1540.

Fonti e Bibl.: L. Spirito, Altro Marte, Vicenza 1489; G. Bracciolini, G.A. Campano, L’historie e le vite di Braccio Fortebracci detto da Montone et di Niccolò Piccinino perugini, tradotte in volgare da M. Pompeo Pellini, Venezia 1571; G.F. Hill, A Corpus of Italian medals of the Renaissance before Cellini, London 1930, n. 22.

A. Fabretti, Biografie dei Capitani Venturieri dell’Umbria, Montepulciano 1842; M. Longhi, N. P. in Bologna, 1438-1443, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per la Romagna, XXIV (1906), pp. 145-238; XXV (1907), pp. 108-162, 273-377; M. Mallett, Signori e mercenari. La guerra nell’Italia del Rinascimento, Bologna 1983; S. Ferente, La sfortuna di Jacopo Piccinino. Storia dei bracceschi in Italia, 1423-1465, Firenze 2005, pp. 6-20.

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