Vittime di sequestro: il difficile riadattamento dopo la liberazione

Stralcio dell’intervento della Dott.ssa Rita Russo Psicologa/Psicoterapeuta, fondatrice di Hostage Italia,“ Clinica Ricerca Interventi 20 anni dell’Associazione EMDR in Italia”,  Settembre 2019,Milano

Mi interesso di quest’ambito del trauma dal 2012, dall’incontro con Mariasandra Mariani, cittadina italiana rapita in Algeria, da Al Qaeda nel Magreb, dove è rimasta per 14 mesi  in condizioni fisiche e psicologiche estreme. Da questo primo incontro ne sono scaturiti altri con lei, con la sua famiglia, con altri ostaggi al loro rientro in Italia e con le loro famiglie. Famiglie che hanno vissuto in un “tempo sospeso”, in una snervante e angosciante attesa il ritorno a casa del loro caro.
Così è iniziata una proficua e sinergica collaborazione con l’Unità di Crisi della Farnesina, con l’Associazione EMDR e i terapeuti che si sono presi cura degli ex ostaggi, delle vittime del terrorismo e delle famiglie che ne hanno fatto richiesta.
Diversi cittadini italiani sono stati rapiti, negli ultimi anni, in Paesi esteri ed hanno vissuto la terribile esperienza della prigionia anche per lunghi periodi.

rita-convegno

 

In molti conflitti del nostro tempo la presa di ostaggi rappresenta l’arma preferita utilizzata dai gruppi terroristici, per esercitare potere e spargere terrore anche attraverso l’uso cinico, ma in genere efficace, dell’effetto mediatico che riescono a produrre.

L’esperienza maturata in questi anni, mi fa dire con profonda convinzione che il futuro benessere psicologico delle vittime di sequestro e del terrorismo, dipenda dal trattamento che riceveranno nelle ore, giorni e settimane successive l’evento vissuto e da un appropriato lavoro sulle memorie traumatiche. L’idea che le persone sopravvissute a un periodo di prigionia e ad un attacco terroristico possano riprendere da sole la loro strada, può non bastare ai fini di un buon riadattamento e dell’elaborazione del trauma. Gli ostaggi che sopravvivono in condizioni così particolari, sono riusciti in qualche modo ad adeguarsi all’ambiente che li circondava e come risultato sono riusciti a sopravvivere. Tuttavia le capacità che servono per sopravvivere come ostaggio sono diverse da quelle necessarie per riadattarsi alla normalità. Un trauma di lunga durata, come può essere un sequestro, lascia ferite psicologiche e tracce indelebili, che possono riemergere a distanza di tempo anche in persone che al momento hanno reagito in maniera valida.

IL  SEQUESTRO COME EVENTO TRAUMATICO
Il sequestro di persona è un evento fortemente traumatico perché costituisce un confronto con la morte o con la minaccia all’integrità fisica propria ed altrui, tale da favorire in molti casi lo sviluppo di sintomi e reazioni emotive a carattere difensivo di lunga durata, che rendono difficoltoso e complesso il riadattamento ad una vita normale e l’elaborazione del trauma.

Un sequestro priva forzatamente della libertà chi lo subisce, costringe a vivere per un periodo, talvolta lunghissimo, in primitive condizioni igieniche, sanitarie e alimentari, sotto la costante minaccia di morte e senza alcuna comunicazione con il mondo esterno. Condizioni che provocano reazioni psicologiche, cognitive e somatiche diverse a seconda della personalità della vittima e delle condizioni di prigionia.(via alcuni si sottomettono altri tentano di reagire aggressivamente, altri resistono.) Le vittime vivono, pertanto, tutta una serie di privazioni e di umiliazioni che possono avere un forte impatto sul funzionamento psichico, sociale e lavorativo immediato e futuro, è un trauma che ha conseguenze fisiche, psicologiche sulla vittima sopravvissuta e conseguenze sociali che toccano anche la famiglia, gli amici e le Istituzioni.

La liberazione dalla condizione di ostaggio non sempre chiude il capitolo del sequestro di persona. La difficoltà a riadattarsi a una vita normale e di riprendere contatto con la propria quotidianità, di riappropriarsi dei propri spazi e del proprio tempo dopo il rapimento, potrebbe costituire un altro elemento di stress. Il primo contatto con la famiglia è un’esperienza emotiva molto forte e può rappresentare anche una sfida. Le vittime di sequestro tornano cambiate nell’aspetto fisico e psicologico, così come i familiari sono cambiati nell’attraversare questa esperienza e si trovano a rinegoziare nuovi modi di entrare in relazione e a chiedersi come comportarsi in tali circostanze.

 A livello psicologico l’essere stati esposti, in modo continuo, a situazioni di pericolo e minaccia di morte tende ad avere effetti peculiari sulla memoria, sulla percezione, sull’identità, e se la vittima di un singolo trauma acuto può sentire di “non essere più la stessa”, la vittima di un trauma cronico può sentire di essere cambiata in modo irrevocabile e di aver perso del tutto il senso di se stessa:

“ …questo rapimento mi ha lasciato tracce pesanti. L’impatto con il mondo al mio ritorno è stato altrettanto duro. In primis mi sono ritrovata a fare i conti con un mondo molto cambiato …, ma a parte questo, che già non era poco, mi ritrovavo a fare i conti con una Me diversa … ” (vittima di sequestro).

Da quanto sin qui esposto, appare evidente l’importanza di un intervento specialistico appropriato che possa aiutare le vittime di sequestro e del terrorismo e le loro famiglie a ritrovare un nuovo equilibrio, dopo un’esperienza così devastante.

SUPPORTO AL RIENTRO IN PATRIA ED INVIO AD UNA TERAPIA EMDR

Nonostante ogni sequestro di persona sia un’esperienza unica e ogni vittima abbia vissuto e tuttora viva il proprio sequestro in modo personale e soggettivo, è possibile individuare alcune fasi che questa tipologia di vittime può attraversare dopo la liberazione e nel percorso terapeutico e quali siano le cure più idonee da seguire.

Nella fase acuta, subito dopo la liberazione e sin dal primo contatto, è fondamentale entrare in empatia e in sintonia con l’altro, stabilire immediatamente un legame, fornendo un supporto non invasivo, le vittime di sequestro diventano molto vigili, in prigionia captavano tutto perché semplicemente dovevano sopravvivere:“… dal momento del sequestro fino al rilascio, ho perso il senso del tempo, dello spazio e della vita. Per quasi sei mesi, l’impegno più importante che avevo era: non morire, non impazzire e non piangere.” (vittima di sequestro).

Importante è ripristinare in loro un senso di fiducia, profondamente minato dal rapimento e dalla detenzione, far recuperare sin dall’inizio un senso di controllo sulla propria vita, riducendo, in tal modo, la sensazione di essere stati assoggettati al comportamento dominante dei rapitori:“ …ci sarà un modo di riprendere le proprie libertà con calma ed è bene che non si venga costretti a scelte inutili ed irrilevanti per l’esterno, ma che, proibite fino ad un attimo prima potrebbero provocare ancora una certa tensione, attivando sensi di colpa o il ricordo del timore di una punizione” (vittima di sequestro).

In pratica l’intervento psicologico immediato sulla persona mira a normalizzare, e contestualizzare le forti reazioni emotive provate all’evento abnorme vissuto: “mi hanno minacciato ed il mio cervello ha iniziato a funzionare in modo diverso, ho sentito qualcosa che si spegneva dentro, mentre una corrente mi portava lontano. E’ come se fossi uscita da me stessa. Sentire uno specialista che mi dice che non sono matta mi tranquillizza molto” (vittima di sequestro).

Accogliere, normalizzazione, esserci nel periodo seguente la liberazione, ha favorito nei casi seguiti, la creazione di una “base sicura”, un riferimento che si è mantenuto nel tempo e che ha facilitato l’invio a un trattamento psicoterapeutico specialistico con EMDR.

Una trattazione a parte merita il supporto a favore delle famiglie degli ostaggi e delle vittime del terrorismo, durante la detenzione e al ritorno a casa del loro caro. Dal confronto con alcuni familiari ho iniziato a pormi delle domande: come hanno vissuto o vivono la notizia del rapimento del loro familiare? Come hanno affrontato e come affronteranno il suo rilascio? Con quali emozioni convivono nel lungo periodo della prigionia di un figlio, di una figlia, di un fratello, di una sorella, di un marito, di un padre. Da queste domande, per alcune delle quali non ci sono risposte semplici e dall’incontro con Giovanna Motka, madre di Federico Motka (rapito dall’ISIS in Siria nel 2014), e con  Marco Vallisa (rapito in Libia nel 2014), è nata l’idea di fondare Hostage Italia, un’Associazione indipendente e no profit che ha lo scopo di fornire supporto psicologico e pratico alle famiglie degli ostaggi e agli ostaggi stessi al loro rientro in Patria. Hostage Italia si avvale della preziosa collaborazione dell’Associazione EMDR e dei suoi terapeuti e prevede un supporto offerto anche da persone che in un modo o nell’altro sono state coinvolte ed hanno vissuto questa terribile esperienza del sequestro (ex ostaggi e familiari).

Nel concludere questo scritto il mio pensiero va inevitabilmente a chi nel mondo si trova ancora sequestrato e in ostaggio, e ai loro familiari che vivono nella preoccupazione costante e nell’attesa continua del ritorno a casa del proprio caro.