Alberto Aquilani: "In Italia manca il coraggio di buttare in campo i giovani, Mourinho ce l'ha. Ma di fenomeni ne vedo pochi" - Calcio - La Repubblica

Sport

Alberto Aquilani: "In Italia manca il coraggio di buttare in campo i giovani, Mourinho ce l'ha. Ma di fenomeni ne vedo pochi"

Alberto Aquilani, 37 anni
Alberto Aquilani, 37 anni 
L'ex calciatore di Roma, Fiorentina e Nazionale, a 37 anni, allena la Primavera della Fiorentina, con cui ha vinto tre Coppe Italia e una Supercoppa, ma ancora lui stesso non si sente pronto: "Sto provando a fare l'allenatore". E parla dei problemi del nostro calcio: "Servono le seconde squadre. Zalewski è la sorpresa di questa stagione, è una fortuna avere da noi uno come José"
2 minuti di lettura

FIRENZE. È stato una promessa delle giovanili, una stellina della Roma e della Nazionale, un emigrante. Oggi a 37 anni Alberto Aquilani, con le tre Coppe Italia e una Supercoppa vinte alla guida della Primavera della Fiorentina, ha davanti a sé la prospettiva di una carriera da allenatore. Sì, la prospettiva: "Perché sto ancora provando a fare l'allenatore".

Aquilani, quattro coppe non le bastano?
"Le vittorie fanno piacere, ma sono i ragazzi a farmi capire se sto lavorando come vorrei: credono a quello che gli racconti, ti seguono. Giocatori che ho allenato l'anno scorso mi chiamano per dirmi che si portano dietro i miei consigli. Uno di loro mi ha telefonato in un momento di difficoltà nel calcio dei grandi, perché vive fuori casa e sa che ho vissuto lo stesso. Queste cose non le vedi, a differenza di una coppa, ma valgono molto più".

Ecco, i ragazzi. L'Italia ha un problema a far emergere calciatori di talento, secondo lei perché?
"Il tema è delicato. Gli aspetti sono tanti, è inutile cercare 'il' problema. Per prima cosa, serve più coraggio. Buttare dentro un ragazzo anche quando non è pronto. Perché il campionato Primavera non ti forma per la Serie A. A meno che tu non sia proprio un fenomeno. Ma io tutti questi fenomeni, in Italia, non li vedo".

E che soluzione introdurrebbe?
"Una categoria intermedia: magari le seconde squadre. All'estero quando giocavo contro i ragazzi della seconda squadra vedevo ragazzi che erano già quasi uomini. In Italia i ragazzi delle Primavere sono lontanissimi dal livello dei professionisti, e un allenatore si accorge che i ragazzi sono acerbi".

C'è chi dice che passino troppo tempo sui cellulari.
"Prima se io facevo un gol in periferia non lo vedeva nessuno. Ora lo pubblicano sui social e migliaia di persone ti dicono che sei un fenomeno. È cambiata la velocità. Ma ha anche dei vantaggi, loro sono molto più informati, in un secondo trovano quello che non sanno".

E lei li vieta i telefonini?
"No, non dico di non usare il telefonino, è parte della loro vita. Ma imparare a gestirlo. Non mi piace quando vedo un gruppo di ragazzi che stanno tutti nello stesso posto tutti con i cellulari".

Un giovane che l'ha sorpresa in questa stagione di Serie A c'è?
"Mi ha sorpreso tanto Zalewski. Lo scorso anno l'ho affrontato con la Primavera e non mi aspettavo un impatto così importante con i grandi. È stato coraggioso Mourinho, facendolo giocare in un ruolo in cui non pensavo potesse giocare: l'avevo visto esterno offensivo, mezzala, ora in Serie A l'ho visto addirittura terzino. Ci voleva visione, non la hanno tutti. È una fortuna che in Italia ci sia uno come José".

Lei consiglierebbe ai ragazzi di andare all'estero?
"Lasciare Roma per me è stato un trauma, pensavo di stare lì per sempre. A quel punto volevo migliorare il mio bagaglio. A Liverpool ho trovato una cultura diversa anche nel lavoro. In Portogallo ho visto grandi talenti e strutture superiori a quelle italiane. La Spagna l'ho scelta perché volevo giocare nella Liga. Mi hanno proposto anche Paesi orientali, ma non li ho mai presi in considerazione".

È favorevole alla digitalizzazione del ruolo dell'allenatore?
"Un ragazzo magari ti dice: 'Mister, ho corso tanto', e tu gli dimostri che no, ha corso poco o male. Abbiamo tanti strumenti, rileviamo dati tecnici, fisici, tattici ed è utile anche per far capire a un calciatore perché non gioca. Ma poi ai numeri devi aggiungere due cose: l'occhio e il cuore".

C'è qualcuno a cui si ispira?
"Non credo molto nei modelli: il copia e incolla nel calcio non esiste, non puoi replicare i concetti. Magari c'è qualche allenatore che mi piace di più. A me piace che le mie squadre corrano in avanti e non indietro. Ma ho imparato che pensi di sapere una cosa e poi il campo ti dice altro".

Come mai ha iniziato con una Primavera?
"Intanto per questioni di patentini. Ma per me era essenziale partire dai giovani, perché avevo bisogno di approfondire, sperimentare. Altri magari ricevono proposte molto importanti e si fanno tentare, lo capisco eccome, ma non andava bene per me".

So che c'è una domanda che le fanno spesso.
"Se ho rimpianti. E dico di no: ho ottenuto ciò che ho meritato".

I commenti dei lettori