“Mio padre Jimmy Fontana, un genio deluso: il successo con ‘Il mondo’, poi il tradimento con ‘Che sarà’” - la Repubblica

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“Mio padre Jimmy Fontana, un genio deluso: il successo con ‘Il mondo’, poi il tradimento con ‘Che sarà’”

“Mio padre Jimmy Fontana, un genio deluso: il successo con ‘Il mondo’, poi il tradimento con ‘Che sarà’”

Luigi Fontana, figlio del grande cantante, ha scritto il libro ‘Il mondo che sarà’ in cui racconta la vita accanto all’artista, il successo, fino alla delusione del Festival di Sanremo 1971, quando la “sua” canzone venne affidata ai Ricchi e Poveri

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I nostri papà, le nostre mamme e quella loro canzone meravigliosa, quella canzone bella come il mondo che non si è fermato mai un momento. Il mondo la scrisse Enrico Sbriccoli, in arte (e che arte!) Jimmy Fontana. Un musicista grande e semplice, un compositore raffinato e appartato, un jazzista con la voce prestata a Sanremo. Jimmy Fontana è morto oltre dieci anni fa e il figlio Luigi, anche lui cantante e compositore, anche lui in arte Fontana, ha scritto un libro che è già una vita intera a cominciare dal titolo: Il mondo che sarà (Readaction Editrice). Il mondo. Che sarà. Cioè le canzoni speciali di suo padre. L’inizio e, in qualche modo, la fine.

Luigi, chi era suo papà?

"Una persona semplice, innamorata dell’entusiasmo e della musica che, letteralmente, lo corrodeva, se lo mangiava. Un maestro delle note. Quattro o cinque accordi gli bastavano per creare un capolavoro, ma lui era anche un ragioniere: quello che senza le canzoni sarebbe stato nella vita, come suo padre, direttore di banca a Macerata”.

Jimmy Fontana e suo figlio Luigi insieme in concerto (copyright Francesco Marmino)
Jimmy Fontana e suo figlio Luigi insieme in concerto (copyright Francesco Marmino) 

Invece come andò?

"Mio nonno Luigi mandò papà a Roma dalle Marche per studiare economia, ma il giovane Enrico nella capitale scoprì soprattutto il jazz. Un bel giorno, il nonno lesse sul Resto del Carlino di un promettente musicista, tale Enrico Sbriccoli. Lo richiamò all’istante. “Non ti pago gli studi perché tu perda tempo a cantare!”. Niente più Roma per un anno, a macerarsi a Macerata…”.

E poi?

"Poi intervenne una parola buona di mia nonna Francesca, così nonno chiamò mio padre e gli chiese: “Enrico, ma tu sei davvero così bravo a cantare?”. “Credo di sì”. “E allora torna a Roma: ti concedo due anni, vedi di farteli bastare”. Bastarono e avanzarono”.

La carriera di un predestinato?

"No davvero. Papà si trasferì a Milano, dove gli passavano davanti i cantautori, cosa che lui non era. Jimmy Fontana, però, era il migliore di tutti quando si trattava di melodizzare”.

A proposito: come mai Jimmy Fontana?

"Il nome d’arte lo scelsero lui e mia madre Leda: Jimmy come Jimmy Giuffre, clarinettista e sassofonista statunitense".

E Fontana?

"Quello, lo presero dall’elenco del telefono”.

Si diceva della melodizzazione.

"Il mondo vive di quattro accordi, “Che sarà” di cinque. Su questi pochi accordi papà è riuscito a creare delle melodie assolute e al tempo stesso semplici e facilmente comprensibili e godibili da chiunque. Quando mi misi a comporre anch’io qualcosa, papà arrivava e mi semplificava sempre le melodie, per lui contava l’essenzialità delle note. Si tenga conto che non aveva studiato né musica né canto, se non per un corso di dizione che doveva levargli una piccola zeppa, altro che Jovanotti…".

Suo padre scrisse “Il mondo”, il capolavoro, nel 1965. Come ci riuscì?

"Si chiuse in camera con la sua fida chitarra comprata a Barcellona. Do, la minore, fa, sol… Scrive la prima strofa e il ritornello, poi chiama Lilli Greco in RCA, il quale gli dice “è formidabile, però manca qualcosa”. Litigano, sebbene grandissimi amici, e si tengono il muso per due o tre mesi. Così papà scrive la parte intermedia e insomma finisce la canzone. A quel punto, tutto a posto: si tratta solo, per modo di dire, di scrivere il testo. Uno dei grandi amici di papà, cioè Gianni Boncompagni, butta lì che la sua compagna svedese gli fa spesso ascoltare un programma radiofonico dove, nella sigla, viene letta una poesia che parla del mondo. Perché non questo argomento anche per la nuova canzone?, propone Gianni”.

Firmata da Gianni Meccia.

"Esatto. Un pomeriggio, Meccia parte da Roma per Ferrara dove vivono i suoi genitori. “Ci vediamo tra una settimana”, dice a mio padre e agli altri della compagnia, “vado dai miei e provo a scrivere il testo”. Viaggia tutta la notte, arriva a Ferrara all’alba, raggiunge mamma e papà, fanno colazione insieme e poi Gianni si scusa: “Ora devo proprio tornare a Roma”. Lo guardano come un matto. Aveva il testo de Il mondo ben chiaro in mente, gli era nato guidando, nella notte. Un testo, tra l’altro, contro ogni regola, che inizia addirittura con una negazione: ‘no’”.

Jimmy Fontana
Jimmy Fontana 

No, stanotte amore non ho più pensato a te.

"La semplicità e la novità dei capolavori. Poi vanno in studio, cominciano a registrare, e dell’arrangiamento si occupa un certo Ennio Morricone. Chi ci capisce, nota subito dettagli tecnici geniali, “pennate” di chitarra con una profondità, una larghezza… Gli archi sembrano settecento invece di una trentina. E si incide su registratori a tre piste, altro che computer”.

Ennio Morricone
Ennio Morricone 

Sono tutti consapevoli di avere creato una meraviglia?

"Assolutamente sì. Il mondo partecipa al Disco per l’estate del 1965 e si piazza solo al quinto posto. Vince Orietta Berti con Tu sei quello. In platea, papà, Gianni Boncompagni e gli altri amici se la ridono. Il mattino dopo, il 45 giri de Il mondo riceve 80 mila ordini in quattro ore. E’ la svolta, il successo”.

Una giovane Orietta Berti sul palco del Festival di Sanremo
Una giovane Orietta Berti sul palco del Festival di Sanremo 

Seguiranno cinque anni molto intensi, poi il muro.

"Papà è ormai famosissimo, anche se non diventerà mai una star. Io dico che gli mancava il mistero. Era un simpaticone marchigiano che usava la cadenza dialettale per divertire gli altri, e che amava soprattutto cantare. Tutti gli dicevano di scrivere di più, ma Jimmy Fontana cantava. Dopo di che, in quegli anni nacquero La mia serenata, La nostra favola in versione cover, L’ultima occasione che in molti ritengono la cosa in assoluto più bella di mio padre, compresi Claudio Baglioni e Renato Zero”.

Come iniziò la colossale delusione?

"Da non credere. Papà mangia le cozze crude a Pozzuoli e si becca il tifo, è l’estate del 1970. Tre settimane con 41 e mezzo di febbre, la quarantena obbligatoria e la paura di morire. Quando sta un po’ meglio, comincia a comporre Che sarà: perché non ha la risposta, una risposta che riguarda la sua salute. In poco tempo la musica è fatta e un Franco Migliacci ispirato e autentico ne scrive i versi. La canzone in RCA piace moltissimo e il direttore artistico Ennio Melis decide che papà canterà Che sarà al Festival di Sanremo 1971 con José Feliciano, il grande cantante cieco che a quel tempo spopola. Allora mio padre parte per Los Angeles e va dal suo amico José, gli fa cantare la canzone, torna in Italia con il master in tasca e lo porta in casa discografica. Qui avviene il tradimento. Ennio Melis chiama papà e gli spiega che quella canzone intende farla cantare a Sanremo a un gruppo ingaggiato dalla RCA a peso d’oro, ma che non sta sfondando come si sperava: i Ricchi e poveri. Papà si rifiuta, e Melis gli risponde che, come autore, è suo diritto farlo, così come è diritto della RCA non portare Che sarà a Sanremo con nessuno, e poi sarà quel che sarà. Mio padre tiene duro per un mese e mezzo, intuisce che forse è di fronte a un bluff ma alla fine cede, secondo me sbagliando. Se io non avessi avuto soltanto sette anni, lo avrei scongiurato di non farlo”.

A Sanremo cantano dunque i Ricchi e poveri in quel modo, diciamo così, sbarazzino. E Jimmy Fontana che fa?

"Non mette più piede in RCA. ‘Provavo schifo e rigetto per quel posto e quella musica’, mi racconterà un giorno. Jimmy Fontana si dedica al tennis, diventa giudice di sedia internazionale, compone qualche sigla tv, musiche per bambini o telefilm e non smette mai di esibirsi. E io insieme a lui, per 32 anni sullo stesso palco. Tra Il mondo e Che sarà ci sono l’inizio e la fine della sua storia d’amore con la musica”.

Nessuno si pentì della carognata?

"Quel dirigente era stato diabolico, ma sul letto di morte ammise il rimpianto di non avere portato a Sanremo Che sarà cantata da Jimmy Fontana: sia chiaro, non un pentimento umano o artistico ma da affarista, perché in quel modo la RCA perse per sempre un cavallo di razza, e tutte le canzoni che avrebbe ancora potuto creare”.

Anche lei crede che suo padre non fosse finito, ma solo deluso?

"Mortalmente deluso, però sono convinto che altri tre o quattro grandi colpi li potesse ancora avere in canna. Nei tre decenni passati insieme sul palco, girando l’Italia in lungo e in largo, stasera a Mestre e domani a Otranto, ogni tanto papà mi ripeteva: ‘Luigi, ora che torniamo a Roma ci basta scrivere un’altra bella canzone e stiamo a posto di nuovo’. Purtroppo, non ne ha avuto il tempo. La necessità del libro è emersa, dentro di me, su suggerimento di Vincenzo Mollica che un giorno, mentre conversavamo del passato, tra ricordi e battute, mi ha detto: ‘Luigi, tu hai un’eredità di ricordi incredibile. Non dovrebbe mai andare dispersa. Devi scrivere un libro, è quasi un dovere morale, pensaci. E, secondo, me non dovresti scrivere una semplice biografia di tuo padre, ma l’intera storia della tua vita, nella quale si è sempre incastonata quella del tuo splendido papà’. Cinque anni ci sono voluti perché io portassi compimento la scrittura ed ora il libro c’è. Esiste. Ho anche allestito uno spettacolo dal titolo Un bianco castello fatato, con il quale debutterò in teatro il mese prossimo; un concerto con molti video, ogni canzone un racconto: i classici di mio padre e non solo. Si comincia il 6 maggio a Roma, Teatro Manzoni”.

Come morì papà?

"Nell’agosto 2011 aveva avuto un’angina pectoris che richiese l’innesto di un paio di stent. Si era sentito male sulla scaletta dell’aereo in partenza per la Sardegna, ovviamente per uno spettacolo: il medico prescrisse qualche pillola e un controllo appena rientrati a Roma, cosa che avvenne dopo un’altra serata a Fiuggi… L’intervento di routine andò bene e papà riprese la sua vita normalmente, del resto avrebbe cantato sempre, se fosse dipeso da lui. Ricordo una volta, a Los Angeles, questa sala concerto da 1500 posti dove papà ed io arrivammo insieme ai “Super 4”, cioè Meccia, Fidenco e Del Turco più ovviamente lui. Mio padre guardò la platea dove erano sedute solo cinque persone e disse: ‘Noi cantiamo, vero ragazzi?’. Avevo 21 anni, e lo ricordo come uno degli spettacoli più belli che io abbia mai visto. Tornando al momento della sua scomparsa, il dieci settembre del 2013, papà ha avuto una febbre settica causata da una poderosa infezione ai denti. Era provato, ma nessuno di noi immaginava quell’epilogo. L’otto settembre ha tenuto il suo ultimo concerto a Terni, l’undici l’ho trovato morto nel suo letto, nel sonno. Se n’è andato con la mano sotto la guancia, come quando dormiva”.

Signor Fontana, e da quel momento cosa fa il mondo?

“Gira. Ma si è anche fermato".

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