Dark Harvest Recensione

Dark Harvest: recensione dell'horror in streaming su Prime Video

24 aprile 2024
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Il David Slade di Hard Candy e 30 giorni di buio firma un film straniante e stralunato a partire da un celebrato romanzo di Norman Partridge. La recensione di Dark Harvest di Federico Gironi.

Dark Harvest: recensione dell'horror in streaming su Prime Video

Un luogo e una data precisa ce li abbiamo pure: siamo a Bastion, Illinois, nel 1962. Luogo e soprattutto data magari nemmeno casuali, anzi, ma comunque: pare di essere in un luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Quella piccolissima cittadina dall’economia incardinata ai campi di grano (rosso sangue, certamente) pare essere come Pleasantville, o Seahaven, o magari Wayward Pines. Bastion - che in realtà, guarda un po’, non esiste - è pura rappresentazione, puro palcoscenico, puro spazio cinematografico immaginativo. Il posto ideale per un horror, specie se poi quest’horror, che è Dark Harvest, gioca col genere e lo utilizza per scopi inusuali.

La fotografia è nitidissima, i toni sopra le righe il contesto chiaro: ogni anno, la notte di Halloween, si svolge la Corsa. I liceali più aitanti e coraggiosi devono evitare di essere uccisi e, anzi, di uccidere Sawtooth Jack, spaventoso e sanguinario spaventapasseri umanoide che risorge dai campi per mietere vittime e maledire i raccolti. Deve essere fermato prima della mezzanotte, prima che raggiunga la chiesa, pena anni e anni di carestia. Per il resto, durante la Corsa, liberi tutti di fare il panico. Ci sono i ribelli col ciuffo alla James Dean e ci sono i jock, ci sono i nerd che se la fanno sotto e c’è una ragazza nera. L’unica. C’è, soprattutto, Richie Shepard (Casey Likes, quasi una sottomarca del Johnny Depp di Cry Baby), fratello del vincitore della Caccia dell’anno precedente, che vorrebbe non essere da meno.

David Slade è quello di Hard Candy e 30 giorni di buio, il mestiere lo sa, ma soprattutto lo interpreta un po’ come gli pare. E allora, complice il copione furbetto e ironico di Michael Gilio, che adatta il romanzo di Norman Partridge, gira un film straniante e stralunato, dove si mescolano senza soluzioni di continuità drammi familiari e esplosioni del tutto fuori contesto di gore, amori proibiti e discorsi che attaccano il Capitale e le sue dinamiche sanguinarie e cannibalesche.

In Dark Harvest si scontrano frontalmente lo Stephen King della fine dell’innocenza e del lato oscuro del Sogno Americano, e il Victor Salva più anarchico, quello di Jeepers Creepers. Mentre a bordo strada i Misfits e Rusty il selvaggio stanno a guardare come umarell, commentado le scintille che scaturiscono dalla collisione, e Sawtooth Jack si rivela per quello che: non (solo) maschera horror azzeccata, ma vittima di mostruosità ben più grandi di lui.

Non c’è granché che abbia un senso logico, tradizionale e compiuto, in Dark Harvest, e il film - oltre che per un certo qual gusto per l’immagine di Slade - funziona proprio per questo. Per la sua libertà, per l’accumulazione, per il caos quasi dadaista che finisce però col rivelare un disegno preciso e coerente, per quanto fantasioso. Un appunto: se “Since I don’t have you” degli Skyliners è un azzeccato leit motiv musicale del film, ancora meglio ci sarebbe stata la versione acida realizzata dai Guns N’Roses ai tempi di “The Spaghetti Incident?”.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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