La musica entra nelle case
La musica nel periodo barocco diventa un fatto di costume, entrando a far parte della vita quotidiana a qualsiasi livello: il Re Sole era un bravo ballerino, Federico II un ottimo flautista e fantasioso compositore.
All’inizio del 600 con l’evoluzione della tecnica di costruzione degli strumenti, la diffusione della carta stampata e l’evoluzione generale della società europea, la musica entra sempre più nella compagine sociale dell’uomo barocco. Aumentano i teatri che danno spazio ai sempre numerosi musicisti professionisti, ma aumentano anche i musicisti dilettanti; non dimentichiamo che non esistendo all’epoca nessun mezzo di riproduzione del suono si suonava spesso a casa o in gruppo. Esisteva una vera e propria produzione musicale, detta anche da camera, che si svolgeva nelle case di sera o nei giorni di festa.
Questo cambiamento ha però radici profonde, piantate nel terreno del mutamento sociale: una grande spinta che ai giorni di disuguaglianza sociale e rigidità delle istituzioni sacre porta a un periodo di libertà e maggiore tolleranza da parte delle istituzioni. Una crescita esponenziale del mondo artistico non può che portare alla nascita di mille attività collaterali: aumentano le accademie, per i più ricchi, e i conservatori, per i meno abbienti; vengono scritti numerosissimi libri per avvicinarsi alla musica, per accostarsi nel modo corretto a un dato strumento e allo studio della teoria musicale. La teoria musicale subirà in questo periodo un rimaneggiamento che è arrivato fino ai giorni nostri: dopo un lungo studio condotto da illustri scienziati seguendo il filo del ragionamento matematico (principalmente Werckmeister e Neidhardt), nasce la scala temperata.
Tra tutte le discipline la regina è la matematica, vista come metro di misura dell’universo, e la musica viene concepita come un idea di perfezione tesa tra il mondo dei numeri e quello della fisicità. Esiste un vero e proprio esoterismo musicale: per gli uomini di scienza che vivono tra Seicento e Settecento esistono forze misteriose che operano nella natura, ma esiste anche una ‘regola generale’ che si può ricavare con il raziocinio.
La natura come modello
Ma il barocco musicale non si esprime solo su questo piano; il concetto fondamentale è che la musica viene affrontata con una vena quasi sperimentale, gli strumenti vengono usati in un modo non convenzionale: il violino godrà di grande successo proprio perché ‘oltre ad imitare vari canti di animali, tanto volatili quanto terrestri, imita e sa contraffare ogni genere di strumenti, quali le voci, gli organi, la viella, la cornamusa, il piffero, ecc., di modo che può arrecare tristezza, come fa il liuto, e vivificare come la tromba, e coloro i quali lo sanno trattare con perfezione sono in grado di rappresentare tutto ciò che passa loro per la testa’.
Questa dichiarazione di Padre Mersenne risalente al 1636 sembra dare il nulla osta per l’uso che si farà del violino come strumento per compiere acrobazie musicali di ogni genere: si assisterà alla scordatura delle corde o alla funzione imitativa (si cerca di rendere il cinguettio degli uccelli, viene scritto un pezzo intitolato Galli e galline). Nel 1746 secondo l’abate Charles Batteux ‘ogni cosa creata porta l’impronta di un modello’, dunque l’artista dovrà tener conto che ‘inventare non significa punto dare vita ad un oggetto, ma riconoscere là dove esso si trovi’. L’obiettivo è dunque ‘non l’imitare la natura tal quale essa è, ma tal quale essa può essere e tal quale la si può concepire nello spirito’.
Lo scopo finale è dunque quello di produrre partendo dalle parti più belle della natura, che unite si dovrebbero sublimare in qualcosa di più alto della somma dei singoli elementi, senza però risultare artificiale. Il fine, poi, dovrebbe essere quello di dare diletto all’ascoltatore. Possiamo dunque affermare che bello diventa sinonimo di vero, ribattendo all’affermazione di Baumgarten per cui pochi anni prima (1735) bello era ciò che non sembra né del tutto vero né del tutto falso: il verosimile. Nasce così la cosiddetta ‘musica a programma’, il cui scopo è quello di descrivere sensazioni, immagini, fenomeni ed eventi in musica: tanto per fare un esempio Alessandro Poglietti, maestro italiano che però lavora a Vienna nel 1671, scrive il ‘Capriccio sopra la ribellione di Ungheria’ il cui programma si compone di vari episodi quali prigionieri, processo, sentenza, congiura e decapitazione dei condannati. Lo stesso Bach verrà coinvolto dalla corrente della musica descrittiva, tanto nei primi anni quanto nel periodo della maturità, in cui non perderà mai occasione di sfruttare la tecnica di composizione evocativa quando questa si presenti. La situazione risulta più fredda in Italia, dove solo Vivaldi lavora in controtendenza, con il suo ‘concerto delle stagioni’ e con un’altra trentina di titoli tra cui ‘la caccia’, ’Il gardellino’, ’La tempesta di mare’. Si comincia ad offrire un numero consistente di esecuzioni musicali fuori dai tempi e dai luoghi canonici.
Riutilizzo dei temi nel rispetto dei fini
L’opera musicale spesso nasce per una circostanza particolare legata ad una committenza specifica, ma nonostante ciò, grazie alla moda delle trascrizioni, delle parodie e dell’arrangiamento, può vivere sempre di una vita nuova. Il musicista o compositore barocco, dovendo produrre opere che si collocano in una vasta gamma di tipologie in tempi brevi, è costretto ad un lavoro di ‘riutilizzo’ delle opere sue o di altri, anche considerando che il diritto d’autore arriverà solo nel tardo Ottocento. Nonostante questo lavoro possa sembrare un qualcosa fatto più per un fine economico che non artistico, la cultura dell’epoca non solo non si scandalizza di fronte a ciò, ma anzi lo apprezza. Il vincolo è comunque quello di utilizzare sì varie composizioni precedenti, ma rispettandone fini e lineamenti. Opera originale non è infatti quella che introduce qualcosa di nuovo, ma quella che meglio si adatta alle esigenze del momento: non si riutilizzerà mai un pezzo sacro per un’occasione profana, e viceversa.
Orchestre enormi
Conseguenza della diffusione della musica in tutte le classi è che musicisti dilettanti, amici, studenti cominciano a suonare sotto la guida di un direttore. La magniloquenza e l’ampollosità barocche però trovano anche altre strade per esprimersi, ed una di queste è l’aumento incredibile del numero degli strumentali annessi alle cappelle. Nel 1709, a Bologna, per la nomina di un cardinale fu eseguito un pezzo di Torelli in San Petronio da 180 elementi; alla vigilia del Natale 1740 sono circa 200 gli strumentisti che si esibiscono in un concerto spirituale nella sala pontificia di Monte Cavallo (oggi il Quirinale). Partendo poi dalla memoria delle gilde medievali si arriva alla fondazione di associazioni, società ed accademie di carattere musicale, nelle quali la musica riveste un ruolo di intrattenimento educativo. Si allarga anche il mercato dell’editoria musicale, che porta all’ampliamento del vocabolario strumentale. Giocoforza è che, ad assumere pari se non maggior valore, è il virtuoso strumentista rispetto al vocalista.
Grazie all’allargamento della ‘pratica musicale’ anche tra la borghesia si fomenta il mercato del collezionismo e quello della produzione di strumenti musicali; nascono liutai che sono tutt'ora leggendari, e in molti casi insuperati per qualità e perfezione: basti citare Antonio Stradivari e Giuseppe Guarnieri del Gesù. Discorso parallelo va fatto anche per i cembalisti (tra cui Tschudi e Kirchmann), il cui lavoro di ricerca porta alla creazione di un nuovo strumento a corde percosse, il forte-piano.
La composizione, che ha subito una grandissima trasformazione nelle ultime fasi del Barocco, diventa la ricerca di simmetria ed equilibrio, proporzionalità matematica e la ripartizione logica dei ruoli solistici e di gruppo. E’ evidente come si cerchi di parlare della sostanza attraverso la forma, o meglio di dare la precedenza alla forma sulla sostanza, quest’ultima spesso solo un ‘pretesto’.
Musica e poesia
Nonostante la crescente attività musicale questa arte era considerata come l’ultima delle arti, filosofi come Cartesio consideravano la musica un intrattenimento non utile alla conoscenza ed alle funzioni fondamentali dell’uomo. La poesia invece era considerata la prima delle arti perché concettuale e didascalica.
Le arti belle dovevano in un modo o nell'altro imitare la natura, ma se la cosa era facile o possibile per pittura o scultura per la musica era difficile da chiarire. La musica è accusata di essere insignificante e non servire a qualcosa. Nel melodramma la musica è utilizzata e concepita a commentare modestamente i concetti espressi dalle parole.
Il concetto di natura tra 600 e 700 muta, se all'inizio ha il significato di ragione e verità poi assume il valore di sentimento e spontaneità espressiva. La poesia è ammessa come arte piacevole imitazione della natura ma non la musica, piacevole gioco di suoni, bandita dai filosofi.
Per quanto ne dicessero i filosofi però aristocratici e borghesi apprezzavano molto questa musa perché divertiva. Non mancavano quindi polemiche e dibattiti sui migliori temi o forme musicali.
Molti criticavano la musica perchè sviliva l'opera scritta dove gli attori fanno cose strambe e muoiono cantando; Saint Evremond, letterato francese dell'epoca, condanna il melodramma 'Se desiderate sapere cosa è un opera vi dirò che è un lavoro bizzarro fatto di poesia e di musica, dove il poeta ed il musicista impediti l'un l’altro si danno una gran pena per far un cattivo lavoro' ed ancora 'una stupidaggine piena di musica, di danze, di macchine, di decorazioni, una magnifica stupidaggine ma pur sempre una stupidaggine' e mentre veniva pronunciata questa condanna il melodramma trionfava in tutta Europa. Per la cultura ufficiale dell'epoca l'arte è ammessa solo se presenta la verità tramite ragione, in modo più gradevole, ma la musica non si piega alla poesia ed anzi sono i libretti a piegarsi alla musica.
Si sviluppa su questi temi la polemica tra l’arte musicale italiana e francese: mentre il melodramma francese è austero e legato al significato dell'opera con una musica che può essere monotona, in Italia la musica ha maggior impeto e l'opera ha scarso valore razionale. Si schierano 2 scuole di pensiero a favore o contro il melodramma italiano più piacevole ma meno serio.
L'abate Du Bos per primo cerca di elevare la musica ad arte tentando di argomentare che essa sia imitativa: La musica ci piace perché tocca dei sentimenti con lo stupore la meraviglia l'illusione …Così come il pittore imita i colori la musica imita la voce, i sospiri, i sentimenti e le passioni anzi è superiore alle altre arti. Il concetto di natura ora è verità di sentimenti con essa le parole aumentano la capacità di comunicare, la musica è integrazione verbale. Il Du Bos si rifà all'origine degli antichi greci quando era usata per i drammi favoleggiando così un passato mitico. Nel 700, secolo dell'artificio, il concetto di natura prende anche il senso di classicismo arcadico, con scene pastorali e idilliache con ninfette che saltano tra cartapesta colorata; Batteaux arriva a dire che l'arte supera la natura e la perfeziona perchè sceglie i tratti migliori.
Anche Rameau entra nella polemica prendendo la difesa della musica, anche perché la sua opera fu giudicata barbara e barocca, un fracasso di dissonanza ed artifici ed italianismi, l'accusa peggiore da dare ad un musicista francese. Non possedendo Rameau una cultura letteraria ne filosofica affrontò il problema dal punto di vista fisico matematico. Poiché la musica era considerata un lusso capriccioso senza razionalità, Rameau ceca di dimostrare la razionalità e l’ordine naturale della musica. Basandosi su una cultura cartesiana nel suo primo trattato è animato da una convinzione che non l'abbandonerà mai: l'armonia si fonda su un principio naturale e originario e quindi razionale ed eterno. La musica è scienza che deve avere delle regole stabilite che devono derivare da un principio evidente che non si può rivelare senza la matematica.
Gli enciclopedisti e il mito della musica italiana
Verso la metà del 700 un opera italiana La serva padrona rappresentata a Parigi da una troupe di Buffoni creò una nuova disputa musicale. Da una parte gli antibuffonisti si ergono a difensori del gusto aulico e classicheggiante della tradizione francese e dall’altra i buffonisti difesi ed innalzati dagli enciclopedisti formano seppur con molte incertezze la futura concezione musicale che privilegia l’espressione dei sentimenti. Diderot, D’alembert, Marmolent, Voltaire, Rousseau seguono sempre la terminologia di un tempo quali imitazione della natura, buon gusto ed espressione degli affetti ma dando a questi termini un significato nuovo e a volte opposto a quello della tradizione.
Seppur gli enciclopedisti furono degli amatori e dilettanti musicali, essi impressero una significativa impronta a favore della musica italiana prendendo parte alle dispute in qualità di critici ed abili polemisti più che di filosofi o teorici.
L’enciclopedia è un opera ampia a cui prendono parte diversi autori che esprimono dei giudizi non uniformi ed è impensabile che sia diversamente se teniamo conto che sono ben 1700 le voci dedicate alla musica.
A Rousseau fu affidato il nucleo più importante delle voci musicali ed egli, buffonista, ama l’opera italiana per la sua semplicità spontaneità e freschezza detestando la musica francese perché astrusa ed artificiosa. E’ curioso notare che nella polemica di mezzo secolo prima era la musica italiana ad essere definita barocca ed artificiosa e questo deriva dal cambiamento del concetto di natura che se per Lecerf era equivalente a ragione e tradizione per Rousseau era spontaneità ed immediatezza istintiva. Rousseau si distingue nelle sue argomentazioni per aver considerato la musica come linguaggio dei sentimenti e di aver elaborato una teoria sull’origine del linguaggio che giustificasse e fondasse questo concetto trovando quindi una giustificazione teorica e filosofica.
Rousseau non ama la musica strumentale ma quella vocale poiché la vede come originaria e primitiva espressione dei sentimenti pensando sempre al mitico periodo dell’uomo allo stato di natura e parola e musica costituivano un nesso inscindibile per esprimere in modo più completo le sue passioni ed i suoi sentimenti. All’origine quindi i linguaggi erano musicalmente accentuati e per via della civilizzazione questo aspetto si è andato perdendo con il triste effetto di aver privato le lingue della loro melodiosità originaria in favore dell’espressione dei ragionamenti:‘in origine non ci fu altra musica che la melodia, né altra melodia che il suono modulato della parola; gli accenti formavano il canto, le quantità formavano la misura e si parlava sia per mezzo dei suoni che del ritmo che delle articolazioni che delle voci’. Per Rousseau le lingue nordiche ‘francese tedesco inglese’ sono dure parlano alla ragione, quelle orientali o meridionali ‘ arabo persiano ma soprattutto italiano ’ sono molli, musicali e possono meglio esprimere l’imitazione delle passioni e dei sentimenti.
Melodia e armonia vengono considerate come due elementi contrastanti, se la melodia ritrova la sua originaria condizione come accento delle parole l’armonia è invece ‘ un invenzione gotica, barbara ‘ che deturpa la vera essenza della musica.
Rousseau pensa all’armonia in modo superficiale mettendo tutto: polifonia contrappunto fuga. Per il francese offre solamente una bellezza convenzionale che non tocca il profondo del cuore regalando solo diletto superficiale non imitando la natura. La natura è presa come canone di giudizio e con nuovo significato è sinonimo di passione e sentimento. Se per Rameau la musica incarnando il principio del verbo divino ha cercato un fondamento eterno della musica attribuendone una posizione privilegiata ed assoluta, Rousseau distante dal pitagorismo di Rameau la considera come linguaggio che parla al cuore dell’uomo. Per Rameau è un linguaggio universale perché tutti gli uomini sono partecipi alla ragione per Rousseau invece la musica rappresenta un fattore storico culturale essendo ognuno toccato solamente dagli accenti che gli sono familiari, cambiando le melodie a seconda dei popoli. La musica è frutto del genio che non ha regole ma si esprime in totale libertà al contrario della concezione armonica che si esprime attraverso la ragione e formule matematiche. I due si accusarono reciprocamente: Rameau era considerato un dotto ma senza genio e Rousseau un incompetente, il dissidio tra i due era ideologico ma entrambi comunque uniti dalla aspirazione di dare alla musica una sua dignità di arte e autonomia espressiva.
D’Alembert vede la questione sotto un ottica diversa ed in parte opposta rispetto quella di Rousseau: la musica in una gerarchia delle arti è posta all’ultimo posto e la sua imitazione della natura è effimera ed al massimo onomatopeica. L’origine della musica è diversa da quel che pensa Rousseau, se all’inizio significava poco più che rumori poi si evolve in linguaggio per esprimere i sentimenti dell’anima, ed il carattere linguistico viene proprio tratto dal progresso e dai lumi, di conseguenza quello che per il primo era naturale ed originario per il secondo è artificiale e convenzionale.
Anche Voltaire esprime giudizi affini al pensiero razionalista e classico per cui la musica ha una posizione nettamente inferiore alla poesia perché si rivolge ai sensi e non allo spirito e per lui il giudizio si esprime in fine al mi piace non mi piace, all’Opera non si possono che criticare dei suoni: quando si è detto ‘ questa ciaccona, questa loure non mi piace ’, si è detto tutto. Ma alla Commedie si esaminano idee, ragionamenti, passioni, passioni, la condotta, l’esposizione, il nodo, e lo scioglimento drammatico, la lingua. E’ possibile provarvi metodicamente di conclusione in conclusione che voi siete uno stupido che avete voluto fare dello spirito ’.
Diderot si dimostra più innovativo per lui la poesia è legata ad una tradizione e cultura barbara e selvaggia che si va affievolendo man mano che cresce la civiltà, mentre la musica rimane espressione che più tocca i nostri sentimenti nelle parti più intime. Diderot paragona la musica strumentale allo schizzo preparatorio di un quadro che rimanendo indeterminato lascia spazio alla immaginazione mentre la musica vocale è paragonata al quadro finito che esprime compiutamente la comunicazione lasciando meno spazio alla immaginazione. La musica non rappresenta più l’evasione della mitologia piacevole cornice dorata di un mondo in declino ma esprime i tumulti di animo umani toccando i nodi più istintivi dei sentimenti. Sempre imitazione della natura, ma non vista più come arcadica visione ma come ‘le cris animal’. Appello al realismo e rivalutazione della musica in Diderot coincidono con l’affermazione di un mondo in cui predomina lo spirito vitale, lo slancio e l’impulso delle passioni, esprimendo forse per la prima volta l’autonomia artistica della musica.
Bach e l’illuminismo
A differenza della polemica francese ed italiana di natura estetica e filosofica che concerne prevalentemente il melodramma, la cultura tedesca affronta analoghi problemi con la polemica sul contrappunto. Il perno esplicito ma soprattutto implicito di questa discussione è infatti la musica di Bach che partendo da concezioni pitagoriche matematiche sviluppa una musica che ‘a null’altro deve mirare che all’onore di Dio e alla ricreazione dell’animo’.
La musica bacchiana risulta ai contemporanei complessa, ampollosa, retorica ed eccessivamente virtuosa, pur esprimendo nei suoi confronti lodi per l’enorme talento come organista lo si critica per eccessiva artificiosità che non è razionale e non si piega al buon gusto galante dei sentimenti che imitando la natura devono sgorgare dalla musica con linee melodiche semplici e toccanti per far provare sentimenti agli uditori. Per quanto nella cultura tedesca la musica strumentale sia superiore a quella vocale a differenza del gusto francese ed italiano essi tuttavia, influenzati anche dagli enciclopedisti, non apprezzano il virtuosismo e prediligono la galanteria della musica come un lusso che serve ad ornare gli avvenimenti sociali. Nel famoso trattato del Quantz (1752) il buon gusto deve essere la linea principe per la produzione musicale, buon gusto che ci è dato dalla esperienza diretta e da una buona conoscenza musicale quindi la ragione, in conclusione la soggettività del giudizio estetico costituisce il presupposto per liberarsi dal principio di autorità. Sempre il Quantz considera lo scopo ultimo della musica di suscitare passioni ed emozioni nell’ascoltatore. C.P.E. Bach, figlio del grande maestro, si unisce nella polemica contro il virtuosismo, l’esecutore ha come fine l’interpretazione del brano musicale così come concepito dal compositore, chi esegue si deve immedesimare nella passione e trasmettere il sentimento che il compositore ha voluto esprimere. Con il circolare di queste idee vengono anche limitati gli abbellimenti arbitrari lasciati all’esecutore dell’opera, diventando non più elemento aggiuntivo e superfluo ma parte integrante ed essenziale della composizionesuperfluo ma parte integrante ed essenziale della composizione.