Recensione Il diario di una Tata - Everyeye Cinema

Recensione Il diario di una Tata

La Mary Poppins del nuovo millennio?

Recensione Il diario di una Tata
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Il cinema, come tutte le arti, ha i suoi topoi, uno di questi è quello della Tata. Tutti abbiamo scolpito nella mente il volto di Julie Andrews in Mary Poppins, che canta Supercalifragilistichespiralitoso armata di ombrello e bombetta. Con quel film, seminale oserei dire, tutti i cineasti successivi che abbiano affrontato l'argomento si sono dovuti scontrare da Mrs. Doubtfire a quest'ultimo Diario di una Tata, presentato in anteprima a Venezia quest'anno.

Annie (Johansson) si è appena laureata in economia, sua madre (Murphy) vorrebbe che sostenesse un colloquio in CitiGroup per entrare nel mondo della finanza, ma la nostra protagonista non è per nulla convinta. Dopo il disastroso "provino" alla banca, Annie si ritrova a vagare, sconsolata, a Central Park quando, in maniera rocambolesca, salva un bambino (Art) che rischiava di essere investito da un manager in SegWay (quello strano veicolo a due ruote che va tanto di moda negli U.S.A). Farà così la conoscenza della madre del pargolo, chiamata semplicemete Mrs. X (Linney), la tipica donna dell'Upper East Side, modaiola, ricca e poco interessata al proprio figlio. La signora X le offrirà un impiego da Tata full time, e la nostra Annie accetterà, attratta dall'idea di poter abitare a Manhattan, ma il piccolo Grayer le renderà la vita impossibile.

Il film diretto dalla coppia Berman e Pulcini è abbastanza tradizionale, i protagonisti sono spigliati e la trama scorre in maniera lineare e prevedibile con l'ovvia storia d'amore e le ovvie superficialità nella definizione dei personaggi (le mamme dell'Upper East Side sono tutte modaiole, i bimbi sono tutti dispettosi, i padri tutti fedifraghi...). Tuttavia la pellicola riesce a riservare comunque qualche sorpresa, l'idea di narrare il tutto come un enorme flashback di Annie e l'annullamento dei nomi propri (Mr. e Mrs. X, il figaccio di Harvard...), conferisce al tutto un'atmosfera surreale e fiabesca, consona al genere ed alla vicenda raccontata; a ciò contribuiscono anche i frequenti sogni ad occhi aperti di Annie, che volando con un ombrello e citando alcune battute di Julie Andrews, si concede alcune divertenti strizzatine d'occhio al capolavoro Disneyano.Peccato che la critica sociale abbozzata in alcune scene (bellissima da questo punto di vista la sequenza della festa nell'ufficio del Signor X, con il bimbo travestito da Bush) rimanga, appunto, un abbozzo ed i registi non calchino mai la mano sul grottesco, probabilmente costretti dalla produzione che voleva un film per famiglie. Il film, comunque, da questo punto di vista resta piuttosto interessante anche se presuppone una certa conoscenza della grande mela per poter cogliere alcune sfumature più sottili (come la contrapposizione fra East e West Side, l'uso della metropolitana o la rigida divisione sociale sottesa alle varie aree della città che si estendono fra Park Avenue e la BroadWay). Sarebbe interessante vedere la verve ironica di Pulcini e Berman applicata a film più seri: probabilmente i risultati sarebbero tutt'altro che deludenti. Chissà che qualche produttore, vedendo il film, non colga il messaggio.
Tutto il cast si comporta bene ed offre interpretazioni spiritose, anche se in alcuni casi sconfinanti nel manierismo (come l’amica di Annie interpretata da Alicia Keys, spessa come una carta di caramella). Anche la regia fa il suo dovere senza grosse difficoltà, il film prende corpo principalmente in interni e probabilmente il budget per le classiche panoramiche su New York latitava, non regalandoci scorci particolarmente affascinanti. Complessivamente non siamo di sicuro di fronte ad un capolavoro della commedia americana; la sceneggiatura infatti, a parte qualche battuta molto felice, si attesta su livelli medio bassi e nessun attore spicca sugli altri. Comunque il risultato è decisamente godibile e la storia diverte, a patto di accettare le superficialità suddette. La Johansson può ambire a ruoli di ben altro spessore, speriamo non decida di buttarsi via con troppi ruoli di questo tipo, che, seppur divertenti, sviliscono un’attrice dalle ben più ampie possibilità artistiche.

Blooper finanziari

Ci permettiamo di segnalare un piccolo Blooper forse sfuggito ai produttori: Annie ad inizio film fa riferimento ad un Colloquio alla Goldman Sachs, i due registi però dopo mostrano il famoso simbolo di CitiGroup, ovvero l'ombrello rosso che, fra l'altro, avrà una grande importanza nel film. Probabilmente hanno confuso i due istituti finanziari!

Diario di una Tata Il Diario di una Tata non promette molto. Ma mantiene tutto se guardato con l’occhio giusto: non siamo di fronte ad una commedia sofisticata di Woody Allen e neppure alla demenzialità di certe produzioni contemporanee. Il film è patinato e piuttosto banalotto. Ma non è sempre detto che sia un male, soprattutto sotto Natale dove la scelta nel film leggeri si riduce molte volte alle sole "opere" di Boldi e de Sica. Quest’anno l’alternativa c’è, noi vi consigliamo di sceglierla.

6.5

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