Le priorità dell'America - Limes
numero del mese

Fine della guerra

Conflitti infiniti perché senza scopo
sono la malattia dell'Occidente
Solo il ritorno alla politica ci salverà
numero del mese

Fine della guerra

Conflitti infiniti perché senza scopo
sono la malattia dell'Occidente
Solo il ritorno alla politica ci salverà
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Conflitti infiniti perché senza scopo
sono la malattia dell'Occidente
Solo il ritorno alla politica ci salverà

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Le priorità dell'America

La carta inedita della settimana.
carta di Laura Canali
Pubblicato il
Dettaglio della carta di Laura Canali. Per la versione integrale, scorri fino alla fine di questo articolo.
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La versione integrale della carta si trova alla fine dell'articolo.

La carta inedita a colori della settimana è dedicata agli Stati Uniti.

La mappa illustra l'informale impero dell'America e i principali dilemmi che il Numero Uno deve affrontare: i quattro rivali conclamati (Cina, Russia, Iran, Corea del Nord) tendono ad allinearsi tra loro, mentre le crisi e i conflitti armati si moltiplicano. 

Delle incognite americane ha scritto Federico Petroni nel numero di Limes “Mal d'America”:

La crisi dell’idea di sé genera concreti limiti all’operato degli Stati Uniti.

Il principale: l’America sfiduciata è meno disponibile a fare la guerra. La sovraestensione imperiale ha generato un paradosso: oggi le aree di massima priorità degli Stati Uniti corrono lungo il Rimland eurasiatico, a ridosso dei rivali che vogliono costruirsi sfere neoimperiali e presso potenze a cui allearsi per impedirlo; ma sono le stesse aree in cui Washington faticherebbe a vincere una guerra (Taiwan) o anche solo a entrarci (Est Europa) per non scoprirsi altrove. Dove e a quali condizioni combatterebbe? Questa è la domanda che ha innescato la Guerra Grande. I suoi avversari hanno capito e provano a vincere senza attaccarla direttamente, cioè a sovraccaricarla di molteplici punti di pressione senza far scattare le sue linee rosse.

Il ridimensionamento delle priorità genera una crisi con gli alleati in Europa. Se l’America si tiene le risorse per un intervento in Asia, il nostro continente è nudo. I costi del contenimento della Russia sono scaricati sui membri europei della Nato, che nella prospettiva statunitense devono rinunciare al loro stile di vita per armarsi e garantire il grosso della dissuasione convenzionale. L’America è stata il federatore storico del continente. Organizzare questo processo senza la sua guida, tenendo assieme le diverse priorità geografiche e percezioni della minaccia russa delle nazioni europee, sarà il grande banco di prova di questi anni.

Gli Stati Uniti provano a compensare il fallimento della deterrenza radunando attorno a sé gli alleati. Ma la loro crisi d’identità geopolitica complica il tentativo di unire i soci europei e asiatici in una coalizione unica, operazione già complicata per la ritrosia dei diretti interessati. Il punto è che Washington non può chiamare questo gruppo per quel che è: l’Occidente. Per un doppio paradosso: i progressisti lo vedono come il concetto nefasto per eccellenza, ma sono gli stessi che invocano alleanze più salde; mentre i conservatori si stracciano le vesti per la perdita dei valori tradizionali dell’Occidente, ma sono gli stessi che usano la clava con i satelliti. Senza contare che il termine allontana potenziali partner come l’India. Delimitare l’impero senza la possibilità di nominarlo testimonia della difficoltà dell’impresa.

Washington sta poi abbandonando l’ortodossia della globalizzazione. La visione finora più articolata viene da Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden. Oltre alla feroce critica del neoliberismo e degli accordi di libero scambio, nel suo pensiero si intravede il concetto di limite. La missione americana viene circoscritta a difesa dalle aggressioni militari e garanzia della libertà dei mari. Vasto programma, privo però di diritti umani e proiezione della democrazia. Continua a parlare di leadership statunitense ma in un contesto completamente diverso: è più un’offerta al mondo per impedire ad altre potenze di colmare i vuoti che la pretesa di essere l’unico sistema possibile. Però sulla Cina non va oltre a: «Capiamo che ha un visione fondamentalmente diversa». È la difficoltà, anzi l’imbarazzo, degli Stati Uniti a convivere con altri imperi.

Sul fronte interno, la discordia impedisce di mobilitare risorse. Gli Usa restano nettamente l’attore più ricco del pianeta, con un patrimonio nazionale almeno triplo rispetto alla Cina. Ma non è orientato alla guerra. La Repubblica Popolare ha duecento volte la capacità cantieristica statunitense. La Russia produce le munizioni che le servono, l’industria bellica americana no. Attingere al surplus di risorse è straordinariamente complicato...

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Carta di Laura Canali - 2024
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