Uno degli ultimi crucci per la Stretto di Messina ha messo radici nella preistoria. Si chiama laminaria ochroleuca, ha foglie lunghe fino a sette metri e verdissime, fusto sottile e dorato e in teoria dovrebbe popolare solo i freddi mari dell’Atlantico e un pezzetto di mare di Alboran, tra Spagna e Marocco. E invece — si è scoperto di recente — prolifera anche nello Stretto, tra Cannitello e Santa Trada. Esattamente nella zona in cui dovrebbero poggiare i pilastri calabresi del Ponte.
Problema non da poco per la società: tutelata dalla convenzione di Berna, la laminaria è specie delicatissima, vive di fotosintesi, quindi qualsiasi modifica dell’ecosistema — dal sedimento calcareo delle rocce a cui si ancora alle correnti che consentono alle foglie di trovare l’inclinazione adeguata per ricevere la luce — ne mette a rischio la stessa esistenza. E adesso che, dopo anni di sussurri, i sub dello Scilla diving center hanno individuato la foresta, nessuno ha intenzione di permetterlo.
Per anni, quelle alghe giganti sono state leggenda, chiacchiere di pescatori. «Circa trent’anni fa — racconta Cristina Condemi, istruttrice subacquea e diver — erano stati fatti alcuni tentativi di individuarla, ma non era stato trovato nulla». Nei racconti di chi di mare vive regolarmente sono tornate quelle alghe grandi come lenzuoli che imbrigliavano nasse e reti, ma non si è mai approfondito. Nel luglio scorso, da un pescatore è arrivata una nuova soffiata, per la prima volta accompagnata dai “punti”, le coordinate buone per individuare la foresta.
«Eravamo scettici, ma quando a settembre siamo riusciti finalmente a verificarli è stato incredibile. È stato come trovarsi catapultati nell’Atlantico». Già a 45 metri è possibile vedere le prime laminarie. Ma è quando si va più giù, a 50 o oltre, che si mostrano in tutta la loro magnificenza. «Abbiamo calcolato — spiega il documentarista Maurizio Marzolla — che questa foresta assorbe più anidride carbonica di una di alberi». Stime approssimative, mentre già si lavora ad una mappatura, ma già permettono di affermare che nello Stretto c’è un polmone antichissimo che fa respirare tutta l’area.
Non è l’unico incontro inatteso che si possa fare sui fondali tra Reggio e Messina. «Qui — spiegano dallo Scilla Diving center — vengono sub da tutto il mondo per studiare i pesci trombetta». Generalmente vivono a 200 o 300 metri di profondità, ma le correnti dello Stretto li portano fino a 30. Insomma, è come se bastasse passeggiare per le strade di un borgo per vedere un leopardo.
«La biodiversità dello Stretto è impressionante — spiega Condemi — ci sono mobule, le mante del Mediterraneo, si possono vedere squali di diversi tipi, alcuni anni è zona di transito per le balene. Chiunque venga qui, anche solo per fare un’immersione, non riesce a credere che vogliano distruggere tutto questo con il cemento».