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Matty Healy, alla ricerca di una via tra il pop e Bon Iver

Il frontman dei The 1975 compie 35 anni
Matty Healy, alla ricerca di una via tra il pop e Bon Iver

La scorsa settimana il frontman dei The 1975 Matty Healy è stato elogiato da Robbie Williams che l'ha indicato come l'unica tra le pop-rock star del giorno d'oggi che si discosta dal grigiore generale. Oggi il musicista nato vicino Londra compie 35 anni. Lo festeggiamo proponendovi la lettura della nostra recensione dell'ultimo album della sua band, "Being funny in a foreign language", pubblicato nell'ottobre del 2022.

Parte come un disco di Bon Iver, con quelle atmosfere rarefatte e minimaliste tipiche degli album di Justin Vernon, con la voce che sembra arrivare da un punto lontanissimo, mascherata dagli effetti. Ma già al secondo pezzo diventa un disco dei Coldplay più danzerecci, quelli di “A head full of dreams”, tra funk e ultrapop, continuando a flirtare con il revival degli ’80 – stavolta quelli più sintetici – della band di Chris Martin in “Looking for somebody (To love)”. Tempo tre minuti e in “Part of the band” siamo di nuovo nei territori bucolici e campestri di Bon Iver (con tanto di “ma ma ma” che fa tanto “Skinny love”), tra archi e chitarre acustiche. Forse i 1975 dovevano farsi altro, per riuscire a ritrovare una loro dimensione alla fine di un silenzio discografico durato due anni e di una rivoluzione all’interno del loro gruppo di lavoro.

Dopo la separazione da Mike Crossey, primo, storico produttore della band britannica, al fianco dei 1975 dagli esordi fino a “I like it when you sleep, for you are so beautiful yet so unaware of it” del 2016, a saltare stavolta è stata la testa – si fa per dire – di Jonathan Gilmore, altro storico collaboratore della formazione guidata da Matt Healy.

Solo che stavolta l’avvicendamento in cabina di produzione è stato più travagliato del previsto (e si sente, ascoltando l’album). In un primo momento i 1975 avevano deciso di affidare il mucchio di canzoni destinate a far parte di “Being funny in a foreign language”, ideale successore di “Notes on a conditional form”, a BJ Burton, l’alter-ego di Justin Vernon, il produttore dietro al sound minimalista e introspettivo dei dischi di Bon Iver.

“1975” (titolo scaramantico ricorrente in ogni disco del gruppo), la stessa “Part of the band”, “Human too”, “When we are together”: evidentemente era tardi, rispetto alla tabella di marcia, quando Matt Healy e compagni si sono accorti che il disco stava entrando fin troppo nell’orbita sonora di riferimento di Vernon, allontanandosi dalle sonorità riempi pista dei loro lavori.

E qualcosa, della matrice originale, è inevitabilmente rimasto in “Being funny in a foreign language”, registrato tra gli Electric Lady Studios di New York e i Real World di Peter Gabriel a Box, nel Wilthshire dell’Inghilterra. Tardi, ma non troppo. A fare i miracoli, per strappare via i 1975 da quel mood da autunno nel Wisconsin tipico dei dischi di Bon Iver, ci ha pensato Jack Antonoff, l’uomo capace di mettere d’accordo Taylor Swift e St. Vincent, Florence and the Machine e Lana Del Rey, che ha restituito alla band la sua attitudine più pop, dopo il caos di “Notes on a conditional form” (un’ora e venti minuti di durata, tra idee confuse e altre poco a fuoco: certe testate arrivarono a dargli una stella su cinque).

La macchina – quella della copertina, ambientata in uno scenario apocalittico, è abbandonata vicino a una spiaggia – è stata rimessa in pista. Ora sta ai 1975 non perdere di nuovo il controllo.

Scheda artista:   
1975
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