Il codice penale Zanardelli fu approvato unanimemente alle Camere il 30 giugno del 1889. Anche deputati della destra storica convennero, come ormai irrinunciabili, su una serie di principi: divieto d’estradizione per reati politici, abolizione dei lavori forzati, diminuzione delle pene per reati d’opinione e di parola – persino nei confronti del re e della religione del regno. Il vigente codice Rocco differiva marcatamente dal regio decreto 6133. Una differenza qualitativa (prospettica) e non solo quantitativa (pene più lunghe, più reati, più poteri di polizia): tra i delitti contro la personalità dello Stato, si affacciava la forte repressione nei confronti delle associazioni sovversive.

L’articolo 270, tuttavia, non definendo la sovversione violenta, si prestò durante il fascismo a essere interpretato in modo estensivo, a scopi di prevenzione politica e di contrasto alle opposizioni clandestine. Nel regime repubblicano, dalla fine degli anni di piombo in poi, la giurisprudenza andò nel senso di verificare nel concreto quegli atti di rovesciamento degli ordinamenti economici e sociali.

Operazione Sud ribelle

Scheda del Processo

L’accusa: associazione sovversiva, cospirazione politica, devastazione, associazione a delinquere, attentato agli organi costituzionali dello stato e all’ordine economico.

Le parti: 13 militanti, accusati d’aver fatto parte di un’associazione sovversiva denominata “rete meridionale del sud ribelle”; lo Stato si costituisce parte civile per i presunti danni all’immagine cagionati durante il forum di Napoli e il G8 di Genova per 5.000.000 di euro
Le date:
2000 – inizio delle indagini
2002 – ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 23 indagati (18 in carcere, 5 ai domiciliari)
2004 – richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 13
Com’è finita:
2008 – la Corte di Assise di Catanzaro pronuncia sentenza di assoluzione per tutti gli imputati
2010 – la Corte d’Assise d’Appello conferma
2012 – su ricorso della Procura Generale di Catanzaro, la Cassazione assolve definitivamente tutti gli imputati

La storia del processo

[…] Il rischio sarebbe altrimenti stato quello di tornare alla mentalità fascista della punibilità del senso critico, in quanto quest’ultimo idoneo a “deprimere lo spirito pubblico” e a fiaccare la “resistenza della nazione”. Nulla di tutto questo fu considerato nella notte tra il 15 e il 16 novembre del 2002 quando ventitré ordinanze di custodia cautelare, per presunti sovversivi degli anni Zero, furono notificate ad attiviste e attivisti di un’associazione politica – invero, nei fatti un comitato d’opinione – detta “rete meridionale del Sud ribelle”. I numeri ricordano i faldoni dei supermaxiprocessi. L’ingordigia bulimica del megablitz ha vari limiti tecnico-processuali e di sicurezza sostanziale per le persone: i processi durano molto più a lungo, le posizioni processuali sono molto meno chiare, la macchina giudiziaria ingolfa votandosi anima e corpo a una e una sola ipotesi accusatoria, a detrimento del contrasto agli altri, più circoscritti ma impattanti, fenomeni illeciti.

Oltre cinquantamila pagine di traslitterazione cartacea del materiale d’indagine. Due anni di inchiesta (2000-2002) e due vertici internazionali del 2001 sotto la lente: il Global Forum di Napoli e il G8 di Genova. Si introducono le modalità mediatico-giudiziarie oggi così consolidatamente alla ribalta. C’è una ipotesi forte di reato associativo per cui procedere, pur così difficile da ricondurre alla configurazione delle norme incriminatrici: ieri un indistinto sovversivismo disordinato e violento; oggi la contaminazione urlata e sparata nel mucchio, mescolando delitti, appartenenze, ricostruzioni. C’è una dubbia competenza territoriale (must della Calabria giudiziaria negli ultimi due decenni). La ricerca del criterio attributivo dell’ufficio come dogma per provare a governare il recepimento pubblico. E c’è la sfinge del “caso”, il dichiarare che un contesto ambientale purchessia è ora e per sempre laboratorio di un qualcosa che ancora non esiste: ieri il “modello Cosenza” centrale operativa del disagio sociale; oggi il “modello Calabria”, incubatrice della dismissione dei diritti. Una e una sola lettura: quella giusta.

Populismo giudiziario, però, se caratteristica del populismo apparentemente popolare, come ci ricorda Massimo La Torre nel recente “Il grande smottamento” (2023), è in realtà quella di escludere chiunque ad esso non soggiaccia. Il marchese del Grillo elevato a Panottico. Solo chi spia può spiare; solo chi punisce può punire. Un così massivo impegno giudiziario contro cittadini innocenti spediti nelle carceri speciali (il regime penitenziario relativo al terrorismo è lo stesso di quello mafioso) distolse dall’opportunità di comprendere e meglio contrastare la riorganizzazione in atto nel crimine organizzato. Meno estorsione diretta e più riciclaggio. Più approvvigionamento di stupefacenti che smercio diretto. Più influenza sul capitale legale che monopolio su quello illegale. Si preferì creare la chimera dell’eversione. Le imputate e gli imputati furono assolti in ogni grado di giudizio.

Domenico Bilotti

Autore

Docente università Magna Grecia