Il paleolitico ed i mitici anni ’80 si ritrovano a braccetto quando David “Dave” Morgan (Sean Astin) e Stanley “Stoney” Brown (Pauly Shore), due giovani sul perdente andante, decidono di organizzare una festa in giardino per guadagnarsi la loro rivalsa nei confronti dei difficili anni scolastici. Decidono quindi di scavare una buca per farci una piscina, ma dopo una scossa di terremoto dal terreno emerge un blocco di ghiaccio nel quale è rimasto perfettamente conservato un cavernicolo. Il giorno dopo, quando il ghiaccio comincia a sciogliersi e i due studenti vanno a controllare, si trovano davanti ad un giovane troglodita che soprannomineranno Link (Brendan Fraser). Cercheranno, con non poche difficoltà, di adattarlo alla società americana di tutti i giorni, facendo anche fare un generoso salto in avanti al loro stato sociale scolastico.
La trama de Il mio amico scongelato, dell’allora esordiente Les Mayfield, non fu sicuramente ideata per marchiare in maniera sempiterna la storica memoria della settima arte e, se si analizza questo preciso dettaglio, si può considerare il suo obiettivo di mantenere il genere puramente comico e adolescenziale, decisamente centrato.
Lo stesso Mayfield, reso immortale appena due anni dopo grazie al suo secondo film Miracolo nella 34ma strada, tentò poco e nulla per migliorare le melense gag, gli scadenti sketch e la prevedibilissima progressione del racconto sceneggiato da Shawn Schepps e reso a tratti irritabile dalla performance di un urticante Shore, per cui non c’è nulla di cui meravigliarsi se questa pellicola sia presto finita tra le “Introvabili” dell’Home Video e fuori dai palinsesti televisivi. Tutto dannatamente giusto.
Ma in realtà un motivo per cui questo Z-Movie del 1992 merita di essere attenzionato da chi vi scrive dalla tastiera del suo affannatissimo e sgangherato PC esiste: Encino Man (il titolo originale con cui uscì nelle sale americane) ha dato il via ad un cerchio che si è concluso soltanto lo scorso 13 Marzo, un percorso di vita e di rivincita lungo trent’anni che ha avuto come protagonisti due degli interpreti del film.
Sto parlando di Brendan Fraser e di Ke Huy Quan, conosciutisi sul set della dimenticabilissima commedia di Mayfield e riabbracciatisi, dopo tre decenni, da assoluti protagonisti della notte più importante del cinema mondiale, il primo vincitore del premio come Miglior Attore Protagonista per la straordinaria interpretazione in The Whale di Darren Aronofsky, l’altro premiato come Miglior Attore Non Protagonista per il suo eclettico personaggio nel pluripremiato Everithing Everywhere All at Once di Daniel Kwan e Daniel Scheinert.
Da Il mio amico scongelato all’Oscar, passando attraverso trent’anni di alti e bassi (più bassi che alti) e lunghi periodi di buio e provando a riprendersi da quei rintronanti ganci sotto il mento che solo la vita ed Hollywood sanno assestarti come si deve.
Da una parte Brendan Fraser, ex sex-symbol di commedie anni ’90 di discreto successo, arrivato alla consacrazione da divo con il ruolo di Rick O’Connell ne La mummia di Stephen Sommers e poi dimenticato altrettanto velocemente dopo la forte depressione e le accuse di molestie sessuali subite da parte dell’ex presidente della Hollywood Foreign Press, Philip Berk. Dall’altra parte Ke Huy Quan, ragazzino prodigio che a soli 13 anni aveva già recitato al fianco di Harrison Ford in Indiana Jones e il tempio maledetto di George Lucas e ne I Goonies di Richard Donner, per poi ritrovarsi con Sean Astin nel film di Mayfield per una piccola particina e già in pieno declino rispetto alla carriera in pieno lancio del collega.
Il commovente abbraccio e le rispettive congratulazioni per il traguardo conquistato tra i due attori ai Critic Choice Awards, è stato come il lieto fine di un trentennale docufilm sulla conquista del proprio posto nel mondo, un traguardo da raggiungere a cui ognuno di noi è destinato sin dal primo vagito su questa enorme palla impazzita che gira nello spazio, la cui distanza dal punto di partenza non viene mai rivelata…chi la vede spensierato dall’alto verso il basso in fondo ad una facile discesa, chi al contrario la vede inneggiare al termine di una lunga e ripidissima salita e chi, infine, se la ritrova davanti a sorpresa dopo una serie infinita di logoranti e pericolosi tornanti.
Il cinema, come la vita, è fatto da punti di vista. La critica ha massacrato Il mio amico scongelato. Io sarò, per i motivi di cui sopra, leggermente più misericordioso. Ma provate a far valutare ad oggi la pellicola a Fraser e Quan e vediamo se sono della stessa idea.
Alessandrocon2esse
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