ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùAddio alla scrittrice premio Nobel per la letteratura

Addio ad Alice Munro, i racconti come forza letteraria

Premio Nobel per la letteratura nel 2013, è scomparsa a 92 anni dopo una lunga malattia

di Stefano Salis

Alice Munro

2' di lettura

Da quanti anni abbiamo imparato a leggere, amare e meditare (non sempre in quest’ordine) i libri di Alice Munro? Da venti anni almeno, noi che la abbiamo sentita arrivare in punta di piedi, grazie a quella particolare e vivacissima eleganza che solo i racconti, l’arte nella quale eccelleva davvero, che sono i mattoni della letteratura e che, spesso, sono guardati con diffidenza dagli editori perché non hanno il presunto respiro dei grandi romanzi e dai lettori perché li lasciano stupefatti epperò ancora ingolositi, non sazi di quelle intense e brevi esperienze letterarie.

Alice Munro, canadese, morta all’età di 92 anni (dopo un decennio di una malattia che lascia tramortiti in un mondo a sé stante), Premio Nobel per la Letteratura nel 2013, di raccolte di racconti ne aveva pubblicate più di dieci. Molti i premi letterari, per tre volte il Governor General’s Literary Award, il National Book Critics Circle Award, l’O. Henry Award e il Man Booker International Prize. In Italia è un nome legato a Einaudi, presso cui sono usciti Il sogno di mia madre (2001), Nemico, amico, amante... (2003), In fuga (2004), Il percorso dell’amore (2005), La vista da Castle Rock (2007), Segreti svelati (2008), Le lune di Giove (2008), Troppa felicità (2011), Chi ti credi di essere? (2012), Scherzi del destino (2013), Danza delle ombre felici (2013), Uscirne vivi (2014), Lasciarsi andare (2014), Amica della mia giovinezza (2015), Mobili di famiglia (2016), Una cosa che volevo dirti da un po’ (2016) e La vita delle ragazze e delle donne (2018 e 2019).

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Per oltre 60 anni di carriera letteraria, Munro, ha esaminato la nostra vita quotidiana con la lente della narrativa breve: per questo “il Cechov canadese” (definizione che le diede Cynthia Ozick), il cui corpus era fondato soggetti tradizionalmente ignorati dal mainstream era riuscita a costruire, narrando storie discrete di persone semplici in una piccola realtà canadesi un mondo nel quale specchiarsi.

Di lei disse Jonathan Franzen che era «uno dei pochi scrittori, alcuni vivi, la maggior parte morti, che ho in mente quando dico che la narrativa è la mia religione». C’è molto di vero in questa frase del collega americano. La forza della narrativa di Alice Munro era, è, e sarà, un valico, una prova, un cimento per chi si vuole confrontare con la scrittura; per i lettori, al contrario, custodiva il segreto di un piacere sottile: le forme brevi nelle quali si è espressa sono la radice del leggere letteratura, gioielli incastonati e cesellati nelle pagine di un libro.

Sosteneva di avere scritto sempre storie personali: forse è questo il compito di un grande scrittore. Riuscire a parlare direttamente a un lettore dappertutto nel mondo pur scrivendo di cose così vicine a sé stesso. L’effetto di una fratellanza, di un comune destino, di una vita sbagliata o giusta che sia, da accogliere per ciò che è: un’eco della nostra mortalità, da celebrare, però, tutti i giorni. Alice Munro ha avuto la forza di donarci questo in pagine misurate, empatiche, determinate. Vere.

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