Il Marchese de Sade e quell'incomprensibile perversione
Storia Che Passione
il Marchese de Sade e quell'incomprensibile perversione

Il Marchese de Sade e quell’incomprensibile perversione

Lo stesso uomo, mille facce. Nato Donatien Alphonse François de Sade, fin da subito identificabile con il titolo Marchese de Sade, per via del suo pensiero controverso e polarizzante sarà soprannominato “apologeta del male” e al contempo “divin marchese”, morirà da comune cittadino, status evidenziato da quel “D.A.F. Sade” con il quale amava firmarsi. Un aspetto apparentemente banale, quello dell’onomastica, che però si erge a paradigma esistenziale. Sì, perché i mille nomi del marchese sono le mille facce della sua personalità. E se oggi il mondo filosofico, letterario e scientifico lo ricorda, è per via di quella sua incorruttibile molteplicità. Tratto peculiare per il quale sconterà anni di prigione, nonché di enorme sofferenza.

Quella che segue non è una narrazione biografica, quanto più un approfondimento sul lascito culturale che quest’uomo, vissuto grosso modo tra la seconda metà del XVIII secolo e il primo quarto del XIX, ha generato consapevolmente, contro tutto e tutti.

La Parigi del 1740 accoglie lietamente la nascita del giovane de Sade. Esponente di una nobilissima famiglia provenzale imparentata con i Borbone sovrani di Francia, il giovane Donatien trascorse i primi anni della sua vita più con gli zii che con i genitori. In particolare il fratello di suo padre, il libertino Jaques François Paul Aldonce de Sade, lo educò introducendolo a quel meraviglioso cosmo letterario di cui lo stesso Marchese de Sade conserverà fino alla fine una fascinazione non indifferente. La vena artistica era riconoscibile fin dai primi anni, anche se l’atteggiamento eclettico del ragazzo suggeriva un futuro tutt’altro che blando e anonimo. A soli 16 anni, come sottotenente nel Reale reggimento di fanteria, partecipa a quel conflitto che chissà per quale ragione facciamo fatica a definire mondiale. Nella Guerra dei Sette Anni si distingue per capacità di comando e ardore.

Tornato in patria, l’ormai adulto marchese si sposa, pur controvoglia per via di una focosa relazione extramatrimoniale. Saranno le nozze ad innescare la carriera letteraria del Marchese de Sade e, allo stesso modo, ad acuire una tendenza già rilevante negli anni della maggiore età: la perversione. Assiduo frequentatore di case chiuse, circondato di amanti e a sua volta spassionato cultore di prostitute e lucciole. Man mano il passaparola tra i salotti dell’aristocrazia parigina crea un’aurea pesante, che grava sulle spalle del belloccio di casa de Sade. L’immoralità è l’accusa mossa dalla corte, le sbarre sono la condanna. La prigione sarà un’amica di lunga data per de Sade, se contiamo come in gattabuia (includendo anche gli anni di manicomio) egli trascorrerà ben 27 anni della sua vita.

Tuttavia la cella della Bastiglia – o di chissà quale altra galera – sarà ispiratrice per il nostro uomo. Non è un caso se in prigionia vengono fuori alcuni dei capolavori letterari che contraddistinguono l’opera del divin marchese. Gli scandali, come detto, si accumulano. Alcuni sono di portata nazionale, anzi, internazionale! L’affaire Arcueil del 1768 lo fa finire ancora una volta dietro le sbarre. Una prostituta lo accusa di tortura con fini esplicitamente sessuali. Nelle sfere alte de Sade ha tanti nemici e pochi amici. Lo scandalo si fa sempre più grande e lui subisce l’onta del disprezzo.

Non fa in tempo ad uscire di prigione che vi ritorna, questa volta a seguito di un altro grande scalpore: si tratta del cosiddetto Scandale de Marseille. Dopo aver acquistato i servigi di quattro prostitute (l’accusa parla invece di rapimento) D.A.F. Sade e un suo valletto le inebriano con un afrodisiaco, di cui fanno uso anche i medesimi. Le donne, il giorno seguente, accusano il nobile non solo di avvelenamento, ma anche di sodomia! De Sade fugge in Italia ma il destino lo riconduce dietro le sbarre. E intanto lui scrive, sfornando capolavori come Le 120 giornate di SodomaDialogo tra un prete e un moribondo e Aline e Valcour, oltre alla prima versione di Justine o le disavventure della virtù. Sono classici della letteratura erotica, ma anche drammi teatrali e saggi filosofici.

Limpido è il talento letterario del marchese, con il quale esplica in modo scorrevole il suo pensiero sul senso del piacere, ma anche sul rifiuto dell’autorità e sull’importanza di una concezione ateistica in un mondo come quello in cui vive. Le sue idee sono scomode e persino il re di Francia trova costantemente il pretesto per arrestarlo (detenzione di Vincennes e di Parigi poi; 13 anni complessivi). D’altronde in qualche modo si deve pur dimostrare rigore morale per mascherare ciò che accadeva dalle parti di Versailles. La persecuzione politica nei confronti di de Sade è costante, ed anzi, diviene una consuetudine accettata dai diversi regimi che si impongono nella Francia dell’epoca. La Rivoluzione, di cui egli è strenuo sostenitore e a cui partecipa personalmente (spogliandosi dei titoli nobiliari), lo giudica comunque sovversivo durante il Terrore. Napoleone ordina addirittura la distruzione di tutti i testi in circolazione firmati dal marchese.

Sotto il regime napoleonico, il Marchese de Sade finisce a Charenton, un ricovero per deviati mentali. Un altro nome per “reclusione”. La condizione mentale dell’uomo, oramai sessantenne, è davvero precaria. Nelle cartelle dell’istituto si sottolinea come il fu marchese è “ospite” della struttura per via del suo “perpetuo stato di demenza libertina“. Morirà consumato dalla malattia, dai debiti e dalla depressione, nel 1814. I parenti bruceranno gran parte delle opere sopravvissute alla spietata censura degli anni precedenti. Quel che rimase comunque suscitò dibattiti in campo psicanalitico e artistico (surrealismo). Vero, dal Marchese de Sade origina il termine sadismo, indicativo del sentire comune nei suoi confronti. Tuttavia quella sua perversione fu incompresa, perché giudicata scomoda per i tempi che correvano.

Vi lascio con l’epitaffio che lo stesso divin marchese compose, chiedendo comunque di essere sepolto nell’anonimato più assoluto tra i boschi della sua proprietà, nei pressi di Épernon. Egli scrisse: “Passante / inginocchiati per pregare / accanto al più sfortunato degli uomini / Egli nacque nel secolo scorso / e morì in quello presente / Il dispotismo dal volto odioso / gli fece guerra in ogni tempo / Sotto i re questo mostro orrendo / s’impadronì interamente della sua vita / Sotto il Terrore riapparve / e mise Sade sul bordo dell’abisso / Sotto il Consolato risorse / e Sade ne fu ancora la vittima”.