Bill Murray, una vita da leggenda e una filmografia strabiliante

Vorremmo tutti fare la vita di Bill Murray

Una vita incredibile più ancora dei ruoli nella sua filmografia: gli aneddoti si sprecano e sono tutti bellissimi.

Suonare e cantare dal vivo non su un palco qualsiasi, ma a Cannes, dentro a un cinema. Se c’era un possibile protagonista di un evento più unico che raro, non poteva che trattarsi di Bill Murray, non solo uno dei più grandi commedianti al mondo, ma anche l’attore in grado di attirare più leggende sulla sua vita fuori dai riflettori. Sulla Croisette l’attore, oltre per presentare The French Dispatch, il (deludente) film di Wes Anderson in cui ha una particina, ma anche e soprattutto per The cradle of civilization.

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Il film è un documentario su un concerto tenuto a giugno 2018 nell’Acropoli di Atene dallo stesso Murray con il violoncellista tedesco Jan Vogler (conosciuto per caso in aereo anni prima), la pianista Vanessa Perez e la violinista Mira Wang, ultima tappa di un tour europeo in cui l’attore canta, recita, scherza e balla ritrovando quel rapporto diretto con il pubblico a lungo messo in pausa a causa della carriera cinematografica. "Ad Atene durante lo show l’ambiente era così straordinario che mi è sembrato di esibirmi da sotto un vecchio drappo cadutomi addosso".

A Cannes dopo la proiezione Murray è salito sul palco non per ringraziare, ma per regalare ai presenti una manciata di minuti del concerto che poco prima si era visto sul grande schermo. È stato eccezionale. Mentre riceveva rose lanciate da ogni angolo ha invitato tutti a continuare a divertirsi fuori: "La notte è giovane! Usciamo e festeggiamo!".

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Purtroppo poco dopo lo abbiamo perso di vista. Peccato. Ogni volta che si ha a che fare con lui si ha la percezione che non si possa neanche immaginare dove si possa andare a finire. C’è uno straordinario sito, Bill Murray Tales, che raccoglie tutte le sue straordinarie avventure lontano dai riflettori, quantomeno quelle di cui si ha conoscenza, dal suo spuntare all’improvviso a feste di liceali a quando, una volta, salito su di un taxi per un percorso di 30 km, dopo aver ascoltato le lamentele dell’uomo alla guida, "lavoro troppo, non riesco ad esercitarmi con il sassofono", si mise lui alla guida cosicché l’altro potesse esercitarsi con il sassofono che teneva nel bagagliaio. Il mito intorno alla sua figura è tale che qualche anno fa hanno anche realizzato un doc, The Bill Murray Stories: Life Lessons Learned from a Mythical Man, purtroppo non distribuito ancora in Italia.

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Senza se e senza ma: Bill Murray è unico, assolutamente fuori dagli schemi della classica star hollywoodiana. Anche senza curiosare tra gli aneddoti che lo circondano, basterebbe leggere, anche solo brevemente, la sua biografia. Classe 1950, membro di una rock band giovanile, rimane purtroppo orfano di padre a 17 anni. La famiglia è povera, lui si arrangia più che può fino ad essere ammesso a Medicina, venendone però cacciato perché trovato dalla polizia aeroportuale in possesso di marijuana. Fa lavori di poco conto, ma ama il teatro e fa improvvisazione con un gruppo di Chicago.

Kate GreenGetty Images

È così che l’amico John Belushi si convince a presentarlo a quelli del National Lampoon per la loro trasmissione radiofonica, di cui diventa autore. Da lì il passaggio al Saturday Night Live è breve. Il cinema arriva subito dopo con Polpette (1979) di Ivan Reitman che lo vorrà poco dopo sia in Stripes - Un plotone di svitati (1981) che, soprattutto, Ghostbusters (1984), con cui raggiunge la popolarità internazionale.

Stripes - Poster
Stripes - Poster

A questo punto, invece di cavalcare l’onda del successo, lascia tutto. Si prende tre anni, da 1985 al 1988, per andare alla Sorbona a studiare filosofia. “Penso che in tutti noi ci sia la convinzione che ci sia qualcosa di più grande di noi stessi, che ci sia una ruota molto più grande che sta girando. Pensare che siamo il centro del mondo o l'unica ragione della sua esistenza è un po' assurdo”.

Quando tornò negli States, lo fece solo per cominciare a lavorare a specifici e ricercati progetti, niente ricerca di cachet da capogiro, solo film, e soprattutto registi, che gli piacciono. Da allora ha lavorato con tutti i più grandi autori statunitensi di commedie e simili: Richard Donner (S.O.S Fantasmi), Frank Oz (Tutte le manie di Bob), Harold Ramis (Ricomincio da capo), Tim Burton (Ed Wood), i fratelli Farrelly (Kingpin, Osmosis Jones e Scemo &+ Scemo 2), Jim Jarmusch (Coffee and Cigarettes, Broken Flowers, The Limits of Control e I morti non muoiono) e, soprattutto, Wes Anderson, di cui è diventato una sorta di feticcio: ben 9 progetti di cui 2 da doppiatore (Fantastic Mr. Fox e L’isola dei cani). Il prossimo anno riprenderà il ruolo di Peter Venkman in Ghostbuster Legacy, diretto da Jason Reitman, figlio di Ivan. Non era sicuro di accettare l’offerta. L’ha fatta dopo aver ricevuto tante lettere, tra cui anche quella dei critici Elvis Mitchell e Hampton Stevens, che lo pregavano di tornare a fare una commedia allegra. “Mi sono convinto quando mi hanno detto che la scelta di film un po’ malinconici hanno un effetto sulla mia stessa vita, che è comunque dura. Ho così pensato che sì, posso farcela”. Noi non vediamo l’ora.

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