Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani | National Geographic

Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani

Nel XIX secolo il Principe Alberto I di Monaco ha dedicato la sua vita all’oceano. Successivamente, il suo pronipote ha portato avanti la tradizione.

DI Robert Kunzig

pubblicato 29-04-2024

Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani

Il Principe Alberto I di Monaco, che morì nel 1922, fu il pioniere dell’oceanografia e riconobbe, molto prima di altri, i danni che l’uomo può provocare al mare.

FOTOGRAFIA DI BAIN NEWS SERVICE, LIBRARY OF CONGRESS

Il Principato di Monaco, un’enclave mediterranea nel territorio della Francia, è il secondo Paese più piccolo del mondo, dopo la Città del Vaticano. Per girarlo tutto a piedi è sufficiente una mattina, è più piccolo di Central Park di New York.

“Quando sono arrivato in questo Paese per la prima volta”, racconta Maguy Maccario-Doyle, ambasciatore degli Stati Uniti presso il Principato di Monaco, “Ho pensato che tutti noi monegaschi potremmo trovare posto nell’hotel Hilton di New York che ha 3.000 camere”.
I cittadini del Principato sono più di 8.000 circa; invece la popolazione, per lo più abbiente, è tre volte più numerosa.

Il 25 aprile del 1921 il sovrano di Monaco, il Principe Alberto I, si recò a Washington D.C. per partecipare a un incontro dell’Accademia Nazionale delle Scienze e ricevere una medaglia. È il punto di partenza ideale per raccontare una storia che riguarda questo piccolo Stato che ha svolto un ruolo essenziale nella salvaguardia del mare, una storia di eredità che attraversa quattro generazioni, da un Alberto a un altro.

Il Principe Alberto I arrivò a New York per la prima volta sul suo yacht reale, l’Hirondelle II, che era una nave da ricerca oceanografica completamente attrezzata: il principe era un esploratore e aveva già partecipato a 28 missioni scientifiche. A partire dagli anni ’80 del 1800 aveva solcato il Mediterraneo e l’Atlantico, dalle Isole di Capo Verde al largo dell’Africa occidentale fino a Spitsbergen nella regione Artica. Aveva tracciato le correnti dell’Atlantico del Nord e recuperato ogni sorta di strane creature dagli abissi. Per quel motivo, nel 1918 l’Accademia l’aveva insignito della Medaglia Agassiz. A causa dell’influenza spagnola aveva dovuto rimandare il ritiro del riconoscimento.

Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani

Nel corso di più di tre decenni, il Principe Alberto I esplorò i mari su quattro imbarcazioni, una più grande dell’altra. Qui è ritratto a bordo della sua ultima, l’Hirondelle II, attorno al 1913.

FOTOGRAFIA DI Library of Congress
Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani

L’Hirondelle II era lunga 82 metri e raggiungeva la velocità massima di 15 nodi.

FOTOGRAFIA DI Bain News Service, Library of Congress

All’incontro del 1921 partecipava anche Albert Einstein per spiegare la sua teoria della relatività. Ma si discuteva anche del “problema di far girare un’automobile a un incrocio” e della “temperatura dell’epidermide dei pachidermi” (si racconta che Einstein borbottò seccamente “Ho appena sviluppato la teoria dell’eternità” mentre il tempo sembrava non passare mai nella sala delle conferenze). Il contributo del Principe Alberto Grimaldi, intitolato “Studi dell’oceano”, si posizionò in qualche modo a metà strada per quanto riguardava l’importanza scientifica. 

Eppure, qualcosa di quel discorso risuona ancora in modo potente: la lungimirante consapevolezza di Alberto, insolita per l’epoca, che anche l’oceano avesse dei limiti. Molto prima dell’avvento delle navi officina, prima del declino delle scorte ittiche e delle barriere coralline in tutto il mondo, in un momento in cui la popolazione umana era un quarto di quella di oggi e pochissime persone parlavano di ambiente, e tantomeno di ambiente globale, il principe mise in guardia dagli effetti distruttivi provocati dalla pesca a strascico con navi “sempre più potenti” che “si spingono sempre più al largo, sempre più in profondità”. Auspicava l’istituzione del “principio di distretto riservato”, ovvero quella che in seguito avremmo chiamato area marina protetta. 

Circa un secolo più tardi, la National Geographic Society promuove la creazione di quelle aree protette attraverso il programma Pristine Seas. Il presidente del comitato consultivo del programma (che tuttavia non è un finanziatore) è il Principe Alberto II, pronipote di Alberto I. L’attuale Principe Alberto non è un oceanografo ma ha viaggiato più di Alberto I e ha potuto constatare i danni inflitti all’oceano che il suo antenato poteva solo vagamente prevedere. Come sovrano, anche se del secondo Stato più piccolo al mondo, il Principe Alberto II ha la possibilità di parlare con i suoi pari e aprire molte porte a nome del mare.

“È stato un partner fondamentale nella creazione di alcune di queste riserve marine”, spiega Enric Sala, ecologo marino e National Geographic Explorer in Residence, fondatore del programma Pristine Seas. “Si dedica molto a questo progetto”. 

Ovviamente, sono in molti a farlo, ma non tutti hanno alle spalle una storia così affascinante.

La prima mostra a Parigi

Il 1848, l’anno in cui nacque il Principe Alberto I, fu l’anno in cui il Principato di Monaco venne ridotto alle dimensioni attuali, perdendo il suo entroterra agricolo che passò definitivamente sotto il controllo della Francia. Erano tempi duri per il Principato e la famiglia Grimaldi che governava fin dal 1297. Prima che Alberto diventasse maggiorenne, tuttavia, suo padre e l’astuta nonna trovarono una soluzione: aprirono il Casinò di Montecarlo. Quella decisione avrebbe permesso in futuro ad Alberto di trascorrere la vita solcando i mari ma gettò anche un’ombra indelebile sulla sua vita.

Nei primi anni ’80 del 1800, dopo alcuni periodi trascorsi nelle marine di Francia e Spagna e un primo matrimonio tanto breve quanto disastroso, Alberto viveva una vita spensierata a Parigi corteggiando una vedova americana che suo padre disapprovava. Poi, all’inizio del 1884, si imbatté in una mostra presso il Museo di Storia Naturale.

Due navi francesi avevano appena concluso una serie di spedizioni nell’Atlantico e la mostra era piena delle creature delle profondità marine raccolte dagli esploratori. Sui tavoli trovavano posto tantissimi barattoli in cui erano conservati i campioni: un’anguilla detta pellicano proprio a causa delle sue enormi mascelle; una serie di strani granchi, vermi e molluschi; i primi microrganismi degli abissi, analizzati nel laboratorio di Louis Pasteur. Le pareti erano rivestite con i disegni delle creature. Le reti usate per catturarle erano appese al soffitto. Uomini dai cappelli a cilindro e donne dai lunghi abiti si accalcavano attorno ai tavoli.

La mostra ebbe un enorme successo, e fu un punto di svolta per Alberto. Già appassionato di navigazione con il suo yacht, prese la decisione di affiancarvi l’aspetto scientifico, “nonostante”, come ricordò in seguito, “l’assoluta mancanza di incoraggiamento da parte del mio entourage più stretto”. L’oceanografia non era una tipica occupazione dei principi ma Alberto aveva le risorse, grazie al casinò, ed era convinto di poterlo fare meglio di chiunque altro. 

“Quel senso del dovere, forse in quanto sovrano, risulta evidente nei suoi scritti”, spiega Antony Adler, storico del Carleton College, il cui libro Neptune’s Laboratory riporta una narrazione dettagliata del Principe Alberto. “Non era una persona che trasmetteva incertezza”. 

Nel 1889 aveva raccolto campioni sufficienti per realizzare la sua prima mostra. All’Esposizione Universale di Parigi, dove fece il suo debutto la Torre Eiffel, Alberto riempì metà del Padiglione del Principato di Monaco ai piedi della torre con campioni oceanici e attrezzature. Il 1889 fu un anno straordinario per lui: a settembre suo padre morì e Alberto gli successe come sovrano del Principato. Poche settimane dopo sposò la vedova americana che divenne la Principessa Alice. 

Presto fece realizzare un nuovo yacht a cui diede il suo nome a bordo del quale Alberto avrebbe trascorso la maggior parte del tempo in mare lontano da lei. E così andò avanti per i successivi 25 anni fino alla Prima guerra mondiale. Le sue imbarcazioni divennero sempre più grandi e meglio equipaggiate.

“Il capo di Stato ha trascorso così tanto tempo esplorando…Quelle spedizioni erano epiche”, prosegue Sala, che ne ha guidate diverse anche personalmente. “Era così avanti per i suoi tempi”.

Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani

Durante una regata nel 1910 a Kiel, in Germania, il Principe Alberto I (a sinistra) raggiunse l’Imperatore tedesco Guglielmo II (con il cappello bianco) a bordo del suo yacht, il Meteor. Il Principe più tardi provò senza successo a convincere Guglielmo a non coinvolgere il suo Paese in quella che sarebbe diventata la Prima guerra mondiale.

FOTOGRAFIA DI De Agostini, GETTY IMAGES

L’oceanografo come una rock star

Alberto fu anche un pioniere della divulgazione. Secondo un articolo del 1913 nel quotidiano San Francisco Chronicle, che Adler mi ha mostrato, le lezioni pubbliche del Principe Alberto a Parigi erano gratuite ma erano già al completo e così popolari che le persone rivendevano i biglietti a prezzi maggiorati. Il titolo di quell’articolo riportava “A rischio della sua stessa vita, il potentato di Monaco fa incetta di tesori nelle grandi profondità marine”.

I giornalisti non furono sempre così gentili. La ricchezza del Principe Alberto proveniva da Montecarlo in un momento in cui le scommesse erano comunemente considerate immorali se non addirittura illegali. Questo argomento fu al centro dei commenti feroci dei giornalisti di entrambe le sponde dell’Atlantico per tutta la durata della sua vita.

“C’era un’intera serie di fumetti satirici pubblicati in Francia e in altri Paesi europei così come negli USA”, spiega il suo discendente, il Principe Alberto II. “Questo lo irritava molto”. 

Ma potrebbe aver alimentato la sua motivazione a fare del bene con il suo denaro.

A Parigi, Alberto I fondò istituzioni per la pace e la paleontologia nonché per l’oceanografia. “Per lui, tutti questi aspetti erano collegati”, prosegue Adler, dall’idea che la scienza potesse essere il motore del progresso umano e della collaborazione internazionale. 

La più grande istituzione fondata da Alberto fu senza dubbio il Museo oceanografico che fece sorgere direttamente nella Rocca di Monaco a filo con le rocce che si tuffano nel Mediterraneo. Serviva in qualche modo a controbilanciare il Casinò di Montecarlo, sul lato opposto del porto, e il Principe riempì questo edificio monumentale con i suoi campioni e la sua attrezzatura, come la nassa triedrica che aveva usato per intrappolare una nuova specie di pesce d’altura, il Grimaldichthys profondissimus, detto anche “Pesce di Grimaldi” a una profondità di oltre 6.000 metri al largo delle Isole di Capo Verde.

Sala, che crebbe a nord di Barcellona, in Spagna, vicino alla Costa Brava, ricorda chiaramente la sua prima visita al “tempio del mare”.

“Quando compii 19 anni, ottenni la patente e la mia prima auto usata, uno dei primi viaggi che feci fu da casa mia al Principato di Monaco”, spiega. “Partii di notte e arrivai lì al mattino, all’apertura del museo”. Assonnato ma euforico, Sala iniziò a visitare quel mondo incantato, “Una specie di ricostruzione dal vivo di 20.000 leghe sotto i mari, come se Jules Verne ne fosse stato l’architetto”. 

All’inaugurazione del museo, nel 1910, l’unico figlio di Alberto, Louis, non partecipò alla cerimonia. I due si erano allontanati, la madre del ragazzo, prima moglie di Alberto, aveva lasciato il palazzo di Monaco appena pochi mesi dopo il matrimonio, quando era ancora incinta. Alberto aveva incontrato Louis solo quando quest’ultimo aveva 10 anni. Durante le sue lunghe assenze in mare, la seconda moglie, Alice, si legò a un compositore. Una sera del 1902, vedendo i due amanti scambiarsi sussurri presso il teatro dell’opera di Monaco, Alberto divenne furioso e la schiaffeggiò pubblicamente. Anche lei se ne andò. 

“Le voci del mare in tempesta e del vento in burrasca sono meno crudeli di una singola parola cattiva dalla bocca di coloro che abbiamo amato”, scrisse Alberto nelle sue memorie, "La carriera di un navigatore".

Quella volta sembrò che il suo fallimento come uomo di famiglia potesse intaccare la sua eredità di esploratore. Louis non mostrava il minimo interesse per il mare. Dopo la morte del grande uomo nel 1922, l’Hirondelle II fu venduta e concluse la sua carriera come nave carboniera nel canale di Panama.

Le generazioni passarono.

Nel 1957, Jacques Cousteau diventò direttore del Museo Oceanografico; aveva appena diretto "Il mondo del silenzio", un film che mostrava alle nuove generazioni le meraviglie del mare.

Una foto scattata al museo nel 1960 mostra un raggiante Cousteau che guarda il Principe Ranieri III e sua moglie, la famosa attrice Grace Kelly, mentre esaminano una foto a grandezza naturale del Principe Alberto I, appoggiato alla ringhiera di una delle sue barche. Ranieri tiene in braccio il figlio di due anni e suo erede, Alberto, in modo che il bambino si trovi faccia a faccia con il suo antenato. Il giovane Alberto ha uno sguardo preoccupato ma al contempo totalmente rapito.

Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani

Il Museo Oceanografico di Monaco, qui in un’immagine di poco successiva alla sua apertura nel 1910.

FOTOGRAFIA DI DE AGOSTINI, GETTY IMAGES
Come il piccolo Principato di Monaco è diventato un gigante della tutela degli oceani

Lo scheletro di un delfino è solo uno dei molti oggetti in esposizione oggi presso il Museo Oceanografico. Jacques Cousteau rimase direttore per diversi decenni.

FOTOGRAFIA DI Alexander Prautzsch, PICTURE ALLIANCE, GETTY IMAGES

Raccogliere il testimone

Un passaggio del discorso che fece il Principe Alberto nel 1921 mi ha colpito particolarmente quando l’ho letto per la prima volta: “Trovandosi in presenza della ricchezza, si potrebbe dire che l’uomo perde completamente l’idea della provvidenza. Sembra quindi soffrire di una vertigine che lo trascina verso la radicale distruzione delle cose perché non esiste un dono della natura che possa sopravvivere alle imprese sconsiderate dell’ingegno umano”.

Quando ho parlato con il Principe Alberto II, gli ho chiesto di quel passaggio. Era seduto nel suo ufficio al terzo piano della torre est del palazzo di Monaco, l’ufficio che era stato di sua madre. Ha le finestre su tre lati che si affacciano sul porto, sulla piazza del palazzo e sulle montagne. Il Principe era pensieroso.

La Prima guerra mondiale aveva sconvolto il suo antenato, mi ha detto il Principe Alberto, e il discorso all’Accademia Nazionale conteneva ancora tracce di quella delusione. “Riteneva che l’umanità avrebbe facilmente potuto distruggere se stessa”, ha spiegato Alberto II. “L’idea che potesse distruggere il pianeta arrivò molto dopo ma credo che in qualche modo fosse già nei suoi pensieri”.

Eppure, Alberto I mantenne fino all’ultimo la sua fiducia ottimistica nel potere della scienza di guidare l’uomo, ha proseguito Alberto II. E per tutta la vita “le persone che meno apprezzò furono gli indolenti”.

Il punto di svolta è arrivato nel 1992, quando ha accompagnato suo padre, il Principe Ranieri, al Summit della Terra di Rio de Janeiro. Lì si è reso conto che “a parte i grandi discorsi, si sta facendo molto poco” per affrontare i problemi ambientali globali. Decise che il Principato di Monaco avrebbe fatto di più quando sarebbe arrivato il suo momento. La fondazione da lui creata ha donato oltre un centinaio di milioni di dollari a varie cause tra cui la salvaguardia del mare. La Monaco Blue Initiative promuove un dialogo di alto livello su scala globale proprio su questo tema. Nel 2021, i guadagni del casinò rappresentavano meno del 4% dei ricavi del suo Paese, ha spiegato il Principe.

“Spero che le persone riescano a capire che è il momento di agire”, ha concluso il Principe. “E spero che le parole del mio trisavolo trovino un’eco e siano di ispirazione, proprio come è successo a me”.

Una versione precedente di questo articolo riportava che la Fondazione Principe Alberto II aveva donato quasi mezzo miliardo di dollari a varie cause. La cifra corretta è oltre un centinaio di milioni di dollari.

 

L'articolo è stato pubblicato originariamente in lingua inglese su nationalgeographic.com.