Il nipote di Churchill: "Johnson non sarà mai all'altezza di mio nonno" - la Repubblica

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Sir Nicholas Soames 

Il nipote di Churchill: "Johnson non sarà mai all'altezza di mio nonno"

Sir Nicholas Soames attacca il premier britannico. Sulla Brexit: "Per me è inconcepibile non essere più parte della Ue: uscire dall'Unione è una perdita enorme". Sul coronavirus: "Ora bisogna tornare tutti a lavorare, ma il governo non ha il fegato di imporre la linea"

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LONDRA. Di Winston Churchill ha la pelata lucida, le parolacce adorabili, lo humour affilato e una cristallina classe inglese. E anche lui è un “Sir”, Sir Nicholas Soames, 72 anni, nipote del primo ministro ed eroe britannico, quel nonno dell’umiliazione di Gallipoli, dell’ora più buia di Dunkirk e della vitale vittoria contro Hitler. Sir Nicholas è stato parlamentare per 36 anni prima di essere defenestrato da Boris Johnson lo scorso autunno per la sua opposizione a una Brexit dura. Sir Nicholas è figlio di Mary Spencer-Churchill (quinta figlia di Sir Winston) e Christopher Soames, Commissario ed veterano europeo, ex ambasciatore britannico in Francia vicinissimo a De Gaulle e uno dei principali fautori dell’ingresso del Regno Unito in quella che oggi è l’Ue. Sir Nicholas è stato a lungo sottosegretario alla Difesa, è amico intimo del futuro re Carlo d’Inghilterra ed è anche il pronipote di Robert Baden-Powell, il fondatore del movimento dei boy scout, anche lui come Churchill nel mirino dell’iconoclastia statuaria del movimento anti-razzista Black Lives Matter. Proprio in questi giorni Sir Nicholas sta divorziando dalla seconda moglie Serena Smith sposata nel 1993 e, vestito grigio e calze rosse, accoglie Repubblica per questa intervista esclusiva nel suo ufficio a Westminster, a pochi metri dal Parlamento che tanto ha amato nel corso della sua lunga carriera politica. Soames parla di tutto: della vera eredità di suo nonno Winston, della follia della Brexit, del governo Johnson “il peggiore di tutti", di Boris “che non sarà mai un nuovo Churchill, e anzi, non è mai stato un vero brexiter”. Ma Sir Nicholas vuole iniziare dal coronavirus, “una cosa terribile, però ora bisogna tutti tornare a lavorare. È folle rinchiudersi tutti a casa”.

Ma non è pericoloso Sir Nicholas?
“Credo che il Covid19 sia una malattia gravissima, soprattutto per quelli della mia età, non mi fraintenda. Ma i giovani devono tornare a lavorare. I sindacati hanno messo paletti assurdi. E il governo non ha il fegato di imporre la linea e dire: “Tornate tutti al lavoro”.
 
Forse Johnson è molto prudente visto quello che è accaduto con la prima ondata e oltre 46mila morti ufficiali…
“Vero. Ma bisogna tornare a instillare fiducia. Neanche durante il Blitz dei nazisti ci siamo rinchiusi così”.
 
Ma questo è un nemico invisibile, Sir Nicholas.
“Certo. Ma la gente non ha più fiducia di ricominciare a vivere. Anche perché il governo Johnson manda continuamente messaggi contrastanti. E poi tutto è iniziato a liquefarsi quando Dominic Cummings (il “rasputin” di Boris Johnson, ndr) ha fatto quel viaggio al Nord durante il lockdown con la famiglia. Da quel momento le persone hanno iniziato a dire: “Perché dovrei rispettare anche io le regole?”. Gli inglesi non amano le scorrettezze. In questo Paese l’onestà è tutto”.
 
In effetti anche un recente studio ha confermato questa percezione: sempre più persone hanno ignorato le regole e disposizioni anti Covid19 dopo il caso Cummings.
“Perché ha danneggiato profondamente il governo e lo stesso primo ministro. Boris è estremamente fedele a suoi, sapeva che se avesse buttato giù Cummings, sarebbe venuto giù tutto. Lo stesso è accaduto con il ministro Robert Jenrick, accusato di favori in un appalto con un amico. Salvato pure lui. Johnson non scaricherà mai nessuno dei suoi”.
 
C’è una “gang culture” nel governo?
“Un sottosegretario stamattina mi ha detto: “Amo il mio lavoro, ma qui è tutto folle. Qualsiasi decisione ministeriale deve essere sottoposta e decisa da Downing Street”. È un governo mediocre. Anzi, nei miei 36 anni a Westminster non ho mai visto un esecutivo così penoso: è il peggiore di tutti. Perché è basato puramente su un obiettivo, la Brexit. E per questa monotematicità anche i suoi protagonisti, scelti per questa affiliazione, sono mediocri. È molto grave. Il partito è ostaggio dei brexiter, di questi cani pastori tedeschi da prendere a calci nelle… Quanti europeisti sono rimasti nel partito come deputati? Dieci? Il resto è tutta gente che non ha un briciolo di visione globale. E si permettono di parlare di “Global Britain”. Ma purtroppo anche gli europeisti britannici, anche quelli più appassionati, hanno le loro colpe: hanno dato per scontata l’appartenenza all’Europa e non ne hanno mai davvero lodato pubblicamente i pregi negli anni. Hanno ignorato il virus dell’antieuropeismo, che ha prima infettato il partito conservatore e poi tutto il Paese. Un peccato mortale”.
 
Nel corso della sua lunghissima carriera politica, ha mai visto un personaggio simile a Dominic Cummings?
“Mai. Guardi, non ho nulla contro di lui. Il giorno in cui Boris ha licenziato me e altri 21 parlamentari che si erano opposti alla Brexit dura, l’ho incontrato a Downing Street: mi sono presentato e mi è parso una persona a modo. Ma il suo modo di fare, totale e aggressivo a Downing Street, non l’ho mai visto a Londra”.
 
C’è chi lo paragona a Charles Powell, il potentissimo segretario privato di Margaret Thatcher.
“Stronzate! Charles ha sempre usato il suo potere con estremo giudizio nell’interesse dell’allora prima ministra. Cummings invece ha dimostrato più volte di agire in maniera estrema, sbagliata e deleteria. Alastair Campbell (lo spin doctor di Tony Blair, ndr) aveva proprio ragione: quando diventi la notizia, è tempo di farti da parte”.
 
Che cosa ne pensa del destino del Regno Unito sotto il segno della Brexit? Un accordo con l’Ue sulle relazioni future sembra molto complesso. Il “No Deal” è possibile. E ora c’è anche la congiuntura catastrofica della crisi del coronavirus. È preoccupato?
“Molto. Anche vedendo il contesto, gli scontri con la Cina, l’amministrazione Trump… temo, tra l’altro, che il governo Johnson voglia sfruttare la crisi del coronavirus per spacciare la Brexit come una nota a piè di pagina della tormenta economica imminente. Per me è inconcepibile non essere più parte dell’Ue. Certo, il referendum va rispettato. Ma l’Europa è sempre stata un’entità che ha moltiplicato le forze del Regno Unito, non il contrario, come qualcuno ci vuole far credere. Nonostante le differenze, siamo sempre riusciti a farci sentire in Ue. Uscire dall’Unione per noi è una perdita enorme, come lo è per l’Europa. Siamo diventati un Paese molto meno saggio e ponderato”.
 
Suo padre era un fervente europeista, per questo cercava sempre di convincere Charles de Gaulle a far entrare Londra in Europa quando era ambasciatore in Francia.
“Se mio padre, Monnet, Schumann, De Gasperi ci vedessero ora, sarebbero sconvolti: perché abbiamo dimenticato le lezioni della Storia. Anche con l’America, abbiamo sempre avuto un gran rapporto e siamo sempre stati il raccordo tra Stati Uniti ed Europa, anche perché quest’ultima ha sempre un po’ travisato gli Usa. Quando mio padre era Commissario europeo, mi diceva sempre che Europa e Stati Uniti avrebbero spesso avuto materie di conflitto ma che niente avrebbe potuto recidere il loro legame, nonostante le difficoltà. Ora c’è uno come Trump che ha distrutto tutti questi rapporti ed equilibri e che spinge per farci lasciare l’Europa nel modo peggiore possibile. Che il suo amico sia un distruttore disfattista come Nigel Farage (l’euroscettico principe in UK, ndr) la dice lunga di quanto sia un cretino!”.
 
Sir Nicholas, lei teme per il futuro del Regno Unito? Ha paura che si possa tornare al disagio economico e sociale degli anni Settanta?
“No, non credo. Ci aspettano tempi molto difficili, ma sono convinto che questo Paese ce la farà, ancora una volta, e ritroveremo la strada giusta. Il Regno Unito si è sempre rialzato, da ogni difficoltà o crisi. Abbiamo enormi riserve di conoscenze, esperienze, scienza, eccellenze, cultura, un gigantesco “soft power”, basti solo pensare alla Bbc, al British Council… Come dicevo all’inizio, abbiamo bisogno di fiducia, per questo voglio che la gente torni a lavorare, voglio vedere le strade di Londra di nuovo vive. Certo, la Brexit oramai è irreversibile e c’è già chi se ne pente: l’altro giorno in Cornovaglia, che ha votato in massa per uscire dall’Ue, il governo locale ha chiesto a Johnson come faranno senza i 700 milioni dell’Europa per i prossimi dieci anni. L’unica cosa che mi viene da rispondergli è: “Fuck Off!””.
 
Boris Johnson è un nuovo Churchill, come sogna di essere?
“Per carità. Certo che no. Boris non lo è. Nessuno potrebbe mai esserlo. Guardi, ho letto con molto piacere la biografia di Boris su mio nonno e ho apprezzato che lo abbia fatto conoscere anche alle nuove generazioni. Non ho nulla di personale contro di lui. Ma quando l’anno scorso mi ha chiesto il voto per la Brexit prima delle elezioni io gli ho detto: “Boris, non voterò mai per te. Per due motivi. Uno: non condivido affatto la tua linea sulla Brexit. Anzi, non sei neanche un vero brexiter. Secondo: non sarai mai un buon primo ministro”.
 
Quindi lei crede che Johnson sia un brexiter di convenienza?
“Non ho mai pensato che lui creda davvero nella Brexit. Quando era corrispondente del Telegraph a Bruxelles si divertiva a fare l’euroscettico. Ma secondo me non lo è mai stato. Ha semplicemente deciso che gli faceva comodo in quel momento. Neanche Margaret Thatcher sarebbe mai arrivata a tanto, anzi il suo discorso di Bruges, il mio preferito, dimostra quanto in realtà ci tenesse all’Europa. In ogni caso: no, non è affatto il nuovo Churchill, nessuno lo è”.
 
Qual è stata la sua reazione quando, qualche settimana fa, durante una manifestazione antirazzista di Black Lives Matter, un ragazzino ha imbrattato con lo spray la statua a Parliament Square di suo nonno Churchill, bollandolo come “razzista”?
“È stato un grosso dolore, ma non mi ha sorpreso più di tanto: un paio di anni fa ero stato invitato a tenere un discorso alla Oxford Union ed ero rimasto sconvolto dall’ostilità di molti studenti verso mio nonno. Hanno estrapolato alcune sue frasi del passato, in un’epoca in cui era assolutamente normale dire qualcosa che oggi non è accettabile. Oppure lo hanno accusato di aver voluto la carestia in India, cosa che non è affatto vera. Quelle sue affermazioni oggi vengono considerate  oltraggiose e offensive. Ma sono decontestualizzate. Perciò dico: studiate la Storia! E soprattutto non rinnegatela".
 
Lei è anche il pronipote di Robert Baden-Powell, fondatore dei boyscout e la cui statua è stata altrettanto minacciata per razzismo.
“Lui combatté nella Guerra dei Boeri e in quel contesto nacque il movimento. Anche lui era figlio del suo tempo. Ma non si può cancellare la Storia. C’è un’ignoranza oramai diffusa e disarmante, unita a una decontestualizzazione perenne, mentre alcune persone sfruttano ogni occasione o persona per attaccare l’establishment. È orrendo”.
 
Lei crede che il Regno Unito sia un Paese afflitto da “razzismo sistemico”, ossia non esplicito ma pervasivo in tutte le strutture della società, come dicono gli esponenti di Black Lives Matter in Uk?
“No, affatto. Purtroppo l’immigrazione è un tema che viene spesso politicizzato e, ogni tanto, gestito in maniera pessima, anche in Regno Unito. È innegabile che molti nella comunità nera si sentano discriminati. Possiamo migliorare. Ma credo che questo sia un Paese molto tollerante, equo e soprattutto non razzista”.
 
Quali sono i suoi ricordi di suo nonno?
“Ne ho qualcuno da ragazzino, ma pochi”.
 
Per esempio, quando da bambino si sedette sul letto di Churchill e gli disse: “Nonno, è vero che tu sei l’uomo più grande del mondo?”. E lui…
“…e mi urlò: “Sì, ma ora levati dai piedi!”. Haha, sì. Ma purtroppo, a parte queste poche immagini da ragazzino, ricordo poco altro. Lui è stato anche molto male negli ultimi anni della sua vita. La mia più grande tristezza è di non aver mai avuto una conversazione seria con lui: mio nonno Churchill era troppo vecchio e io ero troppo giovane. Ma con me è stato sempre molto affettuoso, questo non lo dimenticherò mai. Però non l’ho mai conosciuto come leader mondiale”.
 
È il suo più grande rimpianto?
“Forse sì, ma ho letto il più possibile su di lui e il resto me lo sono fatto raccontare da mio padre e mia madre. Aveva le fragilità di tutti noi, ma aveva un’umanità straordinaria. E un pregio unico, che può essere la vera eredità per noi in questi tempi difficili”.
 
Quale?
“Riusciva a trasferire nelle persone un’incredibile speranza e fiducia nel futuro, nonostante le disgrazie. È anche per questo che allora riuscimmo a sconfiggere il nazismo. Oggi abbiamo bisogno di quella stessa determinazione collettiva per aggirare uno scoglio immane come la Brexit”.
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