Disposti a tutto per la letteratura ecco i romanzieri secondo Piccolo - La Stampa

Quanti anni fa sono trent’anni fa? Viene da rispondere: nel 1974, invece la risposta reale è più traumatica ed è: nel 1994. Praticamente ieri. E ieri, insomma a trent’anni di distanza da noi e dalla nostra incredulità, Francesco Piccolo pubblicava con minimum fax Scrivere è un tic. I metodi degli scrittori, un agile libricino pieno di porte che conducono a mondi interi, e che adesso torna in libreria in una nuova edizione per Einaudi.

Attenzione, però: non è un manuale, non fornisce consigli su come si debba scrivere, o su quale tavolo farlo, in che stagione o con quale luce. È piuttosto un compendio di occhiate acute dentro le stanze reali e immaginarie di alcuni grandi autori, nella loro vita interiore e nel loro motore.

Che cos’è il talento di uno scrittore, se non un capriccio del destino che rende quel qualcuno capace di scrivere e un altro no? Ecco. Eppure riceverlo in dono non basta: come tutti i fuochi, va custodito, alimentato. «Bisogna avere la capacità di accorgersi del proprio talento, ma anche, soprattutto, la capacità di predisporre la propria esistenza in modo da metterlo in atto», scrive Piccolo per spiegare una cosa che diceva Francis Scott Fitzgerald, ovvero che il genio consiste appunto nel «mettere in atto» ciò che si pensa, e quindi nel saperlo proteggere con delle abitudini. E proprio Fitzgerald, racconta Piccolo, era diviso in due dalla voglia di scrivere dandosi delle regole e degli orari, facendo una vita per così dire sana pur amando le feste, e il dispiacere che gli procurava deludere la moglie Zelda, la quale, pare, era molto più party animal di lui e dopo due o tre giorni trascorsi senza andare a ballare si offendeva e faceva scenate.

In maniera simile al povero Francis trascinato di malavoglia a fare baldoria la pensava Flaubert, che diceva: “Bisognerebbe vivere come un borghese e scrivere come un pazzo”. Nel senso: le sregolatezze e le droghe lasciamole a chi vuole fare lo scrittore o il poeta e pensa che il genio si esprima così; noi che scrittori lo siamo, sappiamo che la disciplina è fondamentale. Ancora Piccolo: «Il metodo può essere questo: riuscire a ingabbiare un lavoro — frazionato, istintivo, incostante — in un sistema organizzato in un certo numero di ore, in una scansione precisa di riscritture e correzioni, e finanche in un sistema di riti e superstizioni». Perché va bene non credere nello spirito santo dell’ispirazione, ma un rituale qui e là aiuta a trovare un centro in mezzo alla fatica.

Piccolo ha scritto questo libro per anni, quando ancora non era uno scrittore, molto prima del successo, del premio Strega, delle sceneggiature diventate poi film e serie TV che oggi fanno parte del nostro canone, e l’ha fatto quasi in segreto, collezionando frasi e stralci di interviste di chi faceva il mestiere dei suoi sogni. Ha indagato la scrittura come vocazione e come lavoro, perché sapeva che in entrambi i casi stava studiando la vita che gli era toccata in sorte, e voleva cercare di capirla nel modo in cui si capisce una magia o l’ingranaggio di un orologio, che poi forse sono la stessa cosa. Per possedere il mestiere, tuttavia, non è necessario dedicarsi soltanto alla scrittura pura, ci spiega Piccolo (anche perché in Italia è raro che si possa vendere tanto da farlo accadere), e infatti ha raccontato in un’intervista a Malcom Pagani di aver pensato a lungo, quando ancora abitava a Caserta, che si sarebbe occupato di basket e avrebbe fatto il giornalista sportivo scrivendo sempre di basket. Per lui alla fine è andata diversamente, ma ci sono molti scrittori che per buona parte della carriera hanno fatto (anche) altro. Da Italo Calvino che era ufficio stampa all’Einaudi nel periodo glorioso in cui c’erano tutti gli dèi di chi lavora nei libri (Giulio Einaudi, Cesare Pavese, Felice Balbo, Natalia e Leone Ginzburg), a Carlo Emilio Gadda che da giovane è stato ingegnere, professore, soldato e intanto scriveva, «e non da dilettante: prendeva appunti per i romanzi a venire».

Il punto forse è proprio questo: sapere di avere dentro i libri che verranno, covarli con pazienza o con furia a seconda di come si è, e portarli con sé mentre si fa tutto il resto, fino al momento in cui li si potrà far venire fuori. E nel frattempo non smettere mai di sapersi scrittori. Bisogna poi frapporre qualcosa «sulle soglie tra noi e la vita», dice Piccolo, e nel suo caso quella cosa è la sveglia presto e il tempo che dedicherebbe soltanto alla scrittura, cioè una dedizione che ha fatto di lui «un pessimo marito, un pessimo padre, un pessimo amico; una persona senza hobby di alcun tipo», e nel caso di Calvino era la moglie Chichita, che lo schermava dal mondo ma gli riferiva quel che accadeva così che lui potesse, volendo, farsi venire nuove idee. Questo librino fatto di porte e di segreti insegna che ci sono tanti modi per affrontare il mestiere della scrittura e i tic che comporta, e un unico modo per essere scrittori: sapere che, comunque vada, sarà il mestiere a mangiarsi l’esistenza, e non viceversa. Diceva Aldo Busi: «Per la scrittura io ho fatto tutto, mi sono ridotto persino a vivere».

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