Murder Ballads di Nick Cave, quando l'abisso ti guarda dentro
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Murder Ballads di Nick Cave, quando l’abisso ti guarda dentro

Nick Cave e PJ Harvey ai tempi di Murder Ballads

Quando, nel 1996, esce Murder Ballads, Nick Cave sta per compiere quarant’anni e ha già all’attivo otto album coi suoi Bad Seeds. Il progetto di Murder Ballads è davvero peculiare.

È lo stesso Nick Cave a raccontare la curiosa genesi del concept album.
L’idea di Murder Ballads viene a Nick in seguito alla composizione di O’Malley’s Bar, vera e propria murder ballad registrata durante le session di Let Love In, album del 1994.

“Non potevamo usare O’Malley’s Bar su nessuno dei nostri altri dischi. Quindi dovevamo fare un disco, un ambiente in cui le canzoni potessero esistere.”

Nick Cave

Muder Ballads nasce insomma intorno a questa canzone. Il titolo, tradotto alla lettera, vuol dire ballate omicide e allude a un vero e proprio sottogenere del folk anglosassone in cui si narrano le vicende, e spesso le conseguenze, di efferati assassinii. L’album vende benissimo, più di tutti gli altri lavori coi Bad Seeds, e ottiene anche il plauso unanime della critica.

Il successo dell’album è favorito dall’alta rotazione del video di Where the wild roses grow, pezzo in cui Nick duetta con Kylie Minogue e che rimanda vagamente all’iconografia dell’Ofelia di Amleto. La canzone, a dispetto dei temi assai violenti, è di una dolcezza inarrivabile, e la bellezza del video attira molti fruitori lontani dal cupo mondo della band.

“Ero un po’ consapevole del fatto che la gente sarebbe andata a comprare l’album Murder Ballads e lo avrebbe ascoltato e si sarebbe chiesto ‘per che cazzo l’ho comprato?’ perché la canzone di Kylie non era una vera indicazione di come fosse effettivamente il disco.”

Nick Cave

Quando il disco esce nei negozi, Nick Cave è già un cantautore estremamente affermato. Coccolato dalla critica (l’onnipresente Scaruffi lo colloca al primo posto tra i cantautori della storia) e amato dal pubblico, Nick ha una storia personale non proprio facile.

Cave è nato in Australia nel settembre del 1957 e ha passato una giovinezza inquieta, segnata da una tragedia che gli lascia un forte senso di colpa, acuito dalla sua personalità fortemente spirituale. A 21 anni, nella stessa notte in cui lo arrestano per un furto, il padre perde la vita in un incidente stradale. Il fatto impressiona fortemente il giovane Nick, che forse vi vede una sorta di punizione divina.

La sua prima band, i Concrete Vulture, cambia nome prima in Boys Next Door moniker con cui pubblica nel ’79 Door Door – e poi in The Birthday Party. Arrivato in Europa e influenzato da Lydia Lunch, Nick desta scalpore per le sue animalesche esibizioni, spesso sotto l’effetto di droga e alcol.

Il suo grande talento lirico, la voce cavernosa e caratteristica e la presenza scenica inimitabile, lo mettono però in luce. Con la formazione dei Bad Seeds, sempre col sodale Mick Harvey, arriva il successo.

Una serie di dischi di grande qualità e arriviamo al 1996, con l’idea di un concept album sul tema più cupo possibile. Non solo la morte, ma quella violenta, con dieci storie nere in cui l’efferatezza e la violenza la fanno da padroni. Le atmosfere sono quelle tipiche della murder ballad, come detto, vero e proprio genere letterario anglosassone.

Dalle suggestioni di Edgar Allan Poe a John Keats, dalle citazioni del Paradiso Perduto di Milton ai traditional del folk, tutto permea le atmosfere di Murder Ballads di mistero, angoscia e un certo tono apocalittico caro a Nick Cave.

L’apertura è affidata alla lunga Song of Joy, classica storia del terrore narrata in prima persona dalla voce cavernosa di Nick. La vicenda sembra iniziare bene, con la storia d’amore tra il narratore e Joy, una ragazza che sembra portare la gioia nei cuori di nome e di fatto. Il tono cupo della musica, la voce tombale di Cave, tutto fa però capire che le cose andranno a finire malissimo.

E infatti la donna inizia presto a cadere nella depressione, la voce del narratore sembra sempre più quella di un pazzo sadico.

She grew so sad and lonely/Became Joy in name only

Il narratore, un medico, assente per una visita, ritrova la donna e i figli uccisi misteriosamente. Il tono e gli ultimi versi fanno però sospettare che l’assassino sia la stessa voce narrante. Il finale offre un crescendo musicale, tra rasoiate di chitarra, inquietanti cori ed effetti ambientali, che precipita in pieno l’ascoltatore in un clima di terrore.

Si passa a Stagger Lee, uno dei grandi climax di Murder Ballads e forse della carriera di Nick Cave. La ballata prende spunto da un classico tradizionale del folk e del blues, rimasticato in tutte le salse e con la storia di un delinquente che si macchia di vari omicidi. La prima versione pare essere del 1895.

La versione di Nick Cave and the Bad Seeds è un capolavoro e suona come fosse un loro originale, molto più di tante canzoni che lo sono. La storia è semplice: Stagger Lee, piantato dalla sua donna, entra in un bar e dà il via a un’insensata mattanza. La base, al limite di dub e hip-hop, è straniante; la prestazione di Nick Cave è incredibile: difficile distinguere la finzione con la realtà, tanto Nick si cala nel personaggio.

I veri colpi di pistola aprono un finale da brivido che chiude perfettamente una canzone di una violenza mai vista. La versione di Cave trae la maggior parte dei testi da una trascrizione del 1967 pubblicata nel libro del 1976 The Life: The Lore and Folk Poetry of the Black Hustler.

A rallentare il ritmo e abbassare i toni arriva un’altra ballata tradizionale rivista e corretta da Nick Cave, la splendida Henry Lee. I toni, intendiamoci, si abbassano solo per la dolcezza della melodia e per l’andamento quasi cantilenante. La storia, infatti, è anche qui violenta: una donna che uccide Henry Lee perché questi la respinge, per restare fedele alla girl I have in that merry green land.

Il pezzo propone uno splendido video e il duetto con una giovanissima PJ Harvey, con cui all’epoca Nick intrattiene una chiacchierata quanto breve e intensa relazione.

Lovely Creature è, in un crescendo di sordida violenza, la storia di un femminicidio. La base musicale e l’andamento sono sostenuti, quasi una versione dark e inquietante dei Dire Straits. La voce di Nick Cave pare arrivare diritta dal fondo di un nero abisso, con un dolce coretto femminile a fare da contraltare.

Si prosegue con un altro duetto, quello con Kylie Minogue di cui abbiamo già accennato. Ancora una volta il pezzo è dolcissimo, e ancora una volta si narra di un femminicidio, con la giovane Elise Day che viene uccisa dal suo amante, forse perché troppo bella per sfiorire. La Minogue canta con tutta la dolcezza soffusa di cui è capace e appare – bellissima – nel video, quasi un quadro preraffaellita che prende vita.

A questo punto, Murder Ballads prende una via particolare, con alcune canzoni che suonano quasi come cover delle precedenti dello stesso album. The curse of Millhaven racconta le terribili gesta di Loretta, detta Lottie; la ragazza, quindicenne, vive a Millhaven:

 I live in a town called Millhaven,
And it’s small and it’s mean and it’s cold

La ragazzina altro non è che una spietata killer di bambini, ragazzi e di chiunque le si pari davanti. Un caso di follia che le costa ovviamente l’internamento. Al processo le chiedono se provi rimorso e lei risponde di essere dispiaciuta, perché se fosse rimasta libera avrebbe avuto ancora tanto lavoro da fare.

They ask me if I feel remorse and I answer, “Why of course!
There is so much more I could have done if they’d let me!

La canzone riprende la stessa melodia di Henry Lee, solo con un andamento da folk indiavolato.

Si va avanti con un’altra dolcissima ballata dal sapore amaro e violento, The Kindness of Strangers. La storia è quella di Mary Bellows, ragazza dell’Arkansas che sogna di vedere il mare. Purtroppo, il suo sogno si realizzerà proprio prima di essere uccisa da uno squallido personaggio incontrato sulla strada.

La canzone, una ballata quasi in stile anni Sessanta, di quelle dal testo spensierato da cantare col vento tra i capelli, è emblematica dell’intero disco. È infatti straniante il contrasto tra la violenta crudezza delle storie narrate e il tono, malinconico e dolce, di molte melodie. Nel finale possiamo sentire Mary piangere, mentre Nick declama con tono commosso il testo.

Crow Jane è un pezzo davvero accattivante, con un soffuso ritmo jazzato e il titolo condiviso con una vecchia ballata blues. Crow Jane, però, è farina del sacco di Nick Cave. Si tratta la storia di una donna, resa violenta da chissà quali traumi, che si prende la sua vendetta impugnando una Smith & Wesson.

Siamo arrivati a O’Malley’s Bar, la canzone attorno a cui si è sviluppato l’intero progetto di Murder Ballads. La canzone è lunghissima, quasi un quarto d’ora, ed è un vero e proprio film. Violento, ovviamente. La storia, ancora narrata in prima persona, a testimonianza di una sincera fascinazione di Nick cave verso il tema, è quella di un uomo che entra in un bar e fa una strage.

La parte musicale, in modo meno cupo, è ricalcata su quella dell’iniziale Song of Joy; anche se, in realtà, è probabilmente il contrario, dato che O’Malley’s Bar è il primo pezzo scritto dell’album.

La chiusura è un piccolo raggio di luce, una cover di Bob Dylan e l’unica canzone in cui non muore nessuno. Death is not the end viene definita da Nick Cave come un ironico segno di punteggiatura per chiudere il disco. Oltre a Nick, nel brano che chiude Murder Ballads ritroviamo le voci di PJ Harvey e Kylie Minogue. Con loro Shane MacGowan dei Pogues, Anita Lane e Blixa Bargeld.

All’uscita il disco, nonostante il tema non proprio leggero, vende bene e riscuote il plauso unanime della critica. Alcuni, pur trovandolo bellissimo, lo definiscono genuinamente snervante; effettivamente, la cieca violenza dei testi e la lunghezza fuori misura di alcuni componimenti, suggeriscono di prendere questo capolavoro a piccole dosi.

Murder Ballads, in ogni caso, è ancora oggi saldamente nei primi posti di qualsiasi classifica dei migliori dischi della storia. Il suo connubio tra gotico, visioni cinematografiche e al limite della cronaca nera, le incredibili interpretazioni di Nick Cave, tutto fa di Murder Ballads un disco irripetibile.

L’abisso che forse Nick Cave sperava di esorcizzare attraverso la musica, però, tornerà negli anni a colpire l’australiano, perseguitato da gravi tragedie personali e familiari.

Perché, come diceva Nietzsche, “quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro.”

— Onda Musicale

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