Lamberto Dini: “I miei 90 anni felici ora che governa Draghi. Amo gli Usa, ma Castro mi cucinava le aragoste” - la Repubblica

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Lamberto Dini: “I miei 90 anni felici ora che governa Draghi. Amo gli Usa, ma Castro mi cucinava le aragoste”

I ricordi dell'ex premier. "Mi piace il soprannome Lambertow, ma D'Alema era più americano di me".

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Lamberto Dini, lei oggi compie 90 anni, ricorda cosa voleva fare da piccolo?
"L'ingegnere. Poi scelsi la facoltà di economia a Firenze perché era vicina a casa mia, e fu la mia fortuna. La vita è fatta di circostanze".
Quando capì che era quella la strada giusta?
"Nel 1959 ero in America, all'università, e non ho mai capito chi da Roma mi segnalò al Fondo Monetario. Venni esaminato da sei capi dipartimento diversi a Washington. Fui preso, con la supervisione sull'Europa. Guadagnavo dieci volte quello che in Italia prendeva un bancario laureato".
Lei Mario Draghi l'ha conosciuto bene.
"Quando ero ministro dell'Economia lui era direttore generale del Tesoro. C'è sempre stata grande cordialità tra noi. Abbiamo fatto molti viaggi di lavoro insieme".
Che tipo è umanamente?
"Molto riservato".
Il suo governo, nel 1995, è stato spesso accostato a quello di Draghi. Anche lei veniva da Bankitalia.
"Il mio era un governo tecnico, di scopo. Questo è di larghe intese e può durare tutta la legislatura".
Per fare cosa?
"Le vaccinazioni, per cominciare, perché senza la messa in sicurezza degli italiani non c'è futuro. E poi spendere con intelligenza i fondi del Recovery Fund. La nostra economia è bloccata da vent'anni. Dopo si potranno fare le riforme, che nessun partito da solo potrebbe realizzare".
Si è vaccinato?
"Sì, due settimane fa".
Come valuta le prime mosse di Draghi?
"Non va ogni sera in tv come il suo predecessore, fa parlare i fatti. Mi pare già un buon inizio".
Non è fin troppo silenzioso di fronte al Paese?
"Vedrà che la sua parola si farà sentire, quando sarà il momento".
Vi siete telefonati?
"No, non l'ho disturbato, ne avrà fin sopra i capelli".
Conte le pareva troppo presenzialista?
"Soprattutto troppo temporeggiatore. È stato con Salvini e con il Pd. Quali sono le sue vere idee?".
Non ha il merito di avere portato i fondi del Recovery?
"Questo lo dice Casalino. Ma non l'ha deciso Conte, bensì gli altri paesi, a cominciare dalla Merkel, a cui si deve una svolta storica. Ce li hanno dati perché eravamo in mutande".
Non è un giudizio ingeneroso?
"Nulla di personale".
Draghi però è stato criticato per la qualità non eccelsa dei suoi sottosegretari.
"I ministri del Recovery li ha scelti lui, il resto è stato segnalato dai partiti. L'ex governatore della Banca d'Italia Menichella diceva: "Queste sono le carte e con queste bisogna giocare"".
Cosa farebbe con Alitalia?
"È costata alla collettività già 13 miliardi, l'avrei messa da tempo in liquidazione e fatto una nuova società liberata del personale in esubero".
Che Italia era quella che governò nel 1995?
"Era prima dell'euro. Non c'erano i populisti. Il Pil cresceva del 2-3 per cento annuo. Nel centrodestra c'erano Berlusconi e Bossi, nel centrosinistra i Popolari e il Pds".
Lei subentrò al primo Berlusconi.
"E feci la riforma delle pensioni. Consideri che i dipendenti della pubblica amministrazione fino a quel momento potevano andare in pensione dopo 19 anni e 6 mesi di servizio".
Che qualità deve avere un premier?
"Esperienza e competenza. E da queste qualità discende una certa saggezza. Qualità che sono un po' mancate nel recente passato. Nel Movimento 5Stelle c'è chi pensa ancora che bisogna nazionalizzare le banche".
Il soprannome Lambertow le piace?
"Non mi dispiace, è un riconoscimento al mio legame con l'America".
Durante l'intervento in Kosovo nel 1999 Clinton la sospettava di essere filo serbo. Era vero?
"Non condividevo i bombardamenti a tappeto sulla Serbia, ma non perché fossi filo serbo, semplicemente perché gli Usa avevano deciso di fare da soli".
Lei era il ministro degli Esteri nel governo D'Alema.
"Era più tollerante nei confronti degli Usa di quanto lo fossi io".
Nel 1998 scoppiò il caso Ocalan. Il deputato di Rifondazione Ramon Mantovani portò il leader curdo del Pkk in Italia. Il governo D'Alema ne era al corrente?
"No, nessuno lo era. Non potevamo darlo ai turchi, perché lì vigeva ancora la pena di morte. Furono mesi molto complicati".
Come può l'Italia riconquistare un ruolo in Libia?
"È in corso uno stallo. Dobbiamo reinserirci con un ruolo nella partita di riconciliazione nazionale avviata dalle Nazioni Unite".
Che ricordo ha di Gheddafi?
"Mi accolse nella sua tenda con grande amicizia. Mi disse che era disposto a darci il suo petrolio e importare da noi tutto quello di cui la Libia aveva bisogno. Questi erano i rapporti".
E di Fidel Castro?
"Mi fece tenere una lezione all'Università all'Avana, e venne a sentirmi. Alla fine mi disse: "Adesso lei deve venire a cena da me, perché nessuno cucina meglio di me le aragoste"".
Quanto la offesero gli attacchi dei suoi avversari a sua moglie Donatella?
"Attaccavano lei per le sue imprese, perché io ero inattaccabile. La politica è fatta anche di gomitate".
Ci furono delle inchieste della magistratura.
"Nel 2013 la Corte d'appello l'ha assolta perché il fatto non sussiste. Fino a quel momento ero un candidato possibile del centrodestra per il Quirinale, venuta meno quell'opzione cessarono anche gli attacchi".
Come trascorre il tempo?
"Leggo, studio. Mi chiamano per avere dei pareri. Con l'ascesa di Draghi si sono rifatti vivi in tanti".
Come festeggerà?
"Avrei voluto fare una grande festa con tutti gli amici storici, ma non si può. Starò a casa, con la famiglia. Cos'altro si può fare in tempo di pandemia?"
Novanta anni pesano?
"Preferirei essere più giovane".
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