Tra Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani è gelo a processo: in tribunale a distanza di sicurezza e senza mai guardarsi - la Repubblica

Roma

Tra Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani è gelo a processo: in tribunale a distanza di sicurezza e senza mai guardarsi

Tra Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani è gelo a processo: in tribunale a distanza di sicurezza e senza mai guardarsi
(ansa)

Cronaca dall’aula IV di piazzale Clodio: mentre i pm chiedevano 8 anni per l’ex leader An e 9 per la compagna (forse ex) i due erano ai due estremi della stanza. E non si sono nemmeno salutati

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In aula, a processo, si sono ignorati. Il gelo. Lei da una parte, lui dall’altra. Elisabetta Tulliani, compagna o ex di Gianfranco Fini in un angolo, accompagnata da un amico mentre l’ex leader di An era circondato dai suoi avvocati. Non uno sguardo. Niente. Di certo il destino, almeno in tribunale, li porterà ancora a braccetto per un po’. Ma non per troppo. Ancora un mese, visto che la sentenza è attesa per il prossimo 18 aprile.

I pm hanno chiesto per entrambi condanne pesanti: 8 anni a Fini e 9 a Tulliani. L’accusa che è una macchia per l’ex capo della destra italiana: aver contribuito a lavare soldi sporchi dell’imprenditore Francesco Corallo con l’acquisto di una casa a Montecarlo di proprietà del partito che lui ha sempre guidato. Operazione battezzata quando era presidente della Camera.

(ansa)

I motivi per rompere tra i due, o che già ne hanno sancito la rottura, potrebbero essere diversi. Ma è proprio l’inchiesta sull’appartamento nel Principato, forse, che ha generato la massima tensione. Si pensi alla pubblica accusa di “tradimento” che Fini fece a processo proprio lo scorso anno, puntò il dito contro Tulliani. "Sono stato ingannato da Giancarlo e dalla sorella Elisabetta che insistettero affinché mettessi in vendita l’immobile. Solo anni dopo ho saputo che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui. Anche il comportamento di Elisabetta mi ha ferito: dagli atti del processo è emerso che lei era comproprietaria e poi appresi anche che il fratello le bonificò una parte di quanto ricavato dalla vendita. Tutti fatti che prima non conoscevo”.

Insomma, secondo la tesi di Fini, cognato e compagna avrebbero agito alle su spalle. Ieri tra le lacrime Tulliani ha cercato di difenderlo con dichiarazioni spontanee, arrivate al fotofinish, molto tardive secondo qualche avvocato, senza nessun contraddittorio. “Tutta colpa di mio fratello”, questo la sintesi del messaggio. Poi si è alzata ed è andata via.

Fini è rimasto in tribunale, seduto nei primi banchi, una foto sbiadita del leader della destra italiana che nelle piazze, nei teatri, arringava le folle dei militanti e dei simpatizzanti che accorrevano per ascoltarlo. Grande eloquenza, ereditata dallo storico segretario del Msi, Giorgio Almirante, a cui anche i più acerrimi nemici riconoscevano questa qualità.

Un ricordo sbiadito i confronti in televisione, spesso duri, mai banali, con l’altro leader della sinistra, anche lui un grande ex, Massimo D’Alema. Adesso Fini conta i giorni, forse da solo, che lo separano da una sentenza che potrebbe rappresentare la fine di un ciclo per una delle personalità che ha segnato la seconda Repubblica.

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