“Sgomberare CasaPound. Non c’è alcuna crisi abitativa”: le motivazioni delle 10 condanne per chi vive nel palazzo in via Napoleone III - la Repubblica

Roma

“Sgomberare CasaPound. Non c’è alcuna crisi abitativa”: le motivazioni delle 10 condanne per chi vive nel palazzo in via Napoleone III

“Sgomberare CasaPound. Non c’è alcuna crisi abitativa”: le motivazioni delle 10 condanne per chi vive nel palazzo in via Napoleone III

Gli inquilini del palazzone all’Esquilino non sono persone che rimarrebbero senza un tetto sulla testa in caso di sgombero. Perché “la verifica della situazione economico patrimoniale degli occupanti attesta lo svolgimento di attività lavorativa e la percezione di redditi da parte degli stessi”

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Quella durata vent’anni al civico 8 di via Napoleone III non è un’occupazione dettata da un’emergenza abitativa. E gli inquilini del palazzone all’Esquilino non sono persone che rimarrebbero senza un tetto sulla testa in caso di sgombero.

Perché «la verifica della situazione economico patrimoniale degli occupanti l’immobile effettuata dalla Guardia di Finanza attesta lo svolgimento di attività lavorativa e la percezione di redditi da parte degli stessi».

L’irruzione di Casapound nel palazzo del Demanio, datata 2003 e costata già 4, 5 milioni alle casse dello Stato , è piuttosto «l’occupazione stabile di un immobile, trasformato dagli odierni imputati in abituale residenza, senza che la finalità abitativa possa peraltro ritenersi prevalente rispetto a quella di militanza politica».

È tutto scritto nelle motivazioni con cui lo scorso giugno il tribunale di Roma ha emesso dieci condanne a due anni e due mesi di reclusione, ordinando anche il dissequestro dell’immobile e la sua restituzione al Demanio. Il giudice Ilaria Amarù negli atti ha riportato i fatti ricostruiti dal pm Eugenio Albamonte e accertati in aula: «È emerso che l’immobile di via Napoleone III, di proprietà del Demanio dello Stato, dato in concessione a uso governativo al ministro della pubblica istruzione fin dal 1958, risulta abusivamente occupato dagli imputati a far data dal 17 dicembre 2003, quando, approfittando che l’immobile fosse libero e incustodito, circa 50 aderenti all’associazione di promozione sociale denominata Casapound Italia forzavano il portone di ingresso e vi si stabilivano». Tra loro c’erano anche gli esponenti storici della galassia nera romana, gli imputati Gianluca Iannone, Simone e Davide Di Stefano.

«Abbiamo dato casa a 20 famiglie», dicevano. Ma non erano solo appartamenti. In quei sei piani con magazzini, seminterrati, guardiole e alloggi c’era anche un’area riservata ai militanti neri che venivano dalle altre parti d’Italia. E uno spazio per i convegni. Per questo motivo il giudice nelle motivazioni, oltre a sottolineare i redditi degli occupanti, ha ribadito che le finalità dell’occupazione di via Monteleone sono soprattutto politiche.

Inoltre, sul piano giuridico, il magistrato spiega che un immobile si considera oggetto di “invasione” anche quando non viene esercitata violenza per impossessarsene

«La nozione di invasione (contenuta nel capo di imputazione, ndr) non si riferisce necessariamente all’aspetto violento della condotta” e se “l’occupazione si protragga nel tempo, determinando un’immanente limitazione della facoltà di godimento spettante al titolare del bene, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l’allontanamento del soggetto o con sentenza di condanna». Adesso c’è la condanna, chissà se arriverà anche l’allontanamento.

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