ALESSANDRO de' Medici, primo duca di Firenze in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

ALESSANDRO de' Medici, primo duca di Firenze

Enciclopedia Italiana (1929)

ALESSANDRO de' Medici, primo duca di Firenze

Carlo Capasso

Nato a Firenze nel 1510, egli iniziò col 1532 il periodo del principato nella città che più a lungo aveva mantenuto la forma repubblicana. Dovette la sua fortuna all'ambizione dello zio, il papa Clemente VII, che prediligeva lui e il cugino Ippolito, benché illegittimi di nascita, a danno del ramo collaterale della casa medicea, discendente da Lorenzo fratello di Cosimo il Vecchio. Alessandro era figlio naturale di Pietro, figlio a sua volta di Lorenzo il Magnifico, mentre Ippolito era figlio naturale di un altro figlio di Lorenzo, Giuliano; ambedue erano nipoti di papa Leone X, figlio del Magnifico.

Quando, con gli accordi di Barcellona (1529) e di Bologna (1530), Clemente VII si riaccostò all'imperatore Carlo V e lo incoronò imperatore, credette giunto il momento di riporre in Firenze la sua famiglia, cacciatane il 1527, e ottenne da Carlo V non solo l'aiuto materiale alla conquista della città (1530), ma anche il consenso di porvi un capo di sua scelta, dipendente dall'impero. Voleva così spezzare i vincoli con il passato e creare un diritto emanante non dalla città ma da un potere estraneo ad essa. E designò il giovane A., già insignito del titolo di duca di Penne. Avrebbe forse preferito Ippolito, ma costui era già stato fatto cardinale da tempo e destinato ad altro. Fu perciò messo da parte, anche se voglioso di buttar l'abito clericale e ascendere al principato. A. venne a Firenze nel 1531. Ma per qualche tempo la sua posizione non fu troppo chiara, sia che l'imperatore non avesse ancora egli stesso deciso quale somma di poteri dovesse darsi al nuovo signore, sia che Clemente lavorasse ad estendere il più possibile questi poteri, in danno di quella libertà che, secondo i patti precedenti e la patente imperiale ad A., sarebbe dovuta rimanere intatta. Dopo lunghi dibattiti, parve opportuno dar forma legale all'assetto definitivo vagheggiato dai Medici, convocando un parlamento straordinario, il quale, con definitive sanzioni del 4 aprile 1532, poneva al posto dell'antico gonfaloniere, col nuovo titolo di duca, il giovane A., e gli metteva a fianco un nuovo consiglio di 200 membri eletti a vita, dai quali 48 dovevano essere poi scelti a costituire un senato. Tre senatori, cambiati ogni 3 mesi, dovevano più specialmente assistere il duca nel governo dello stato. Essi avevano l'apparenza, evidentemente, di rinnovare il vecchio meccanismo della signoria.

V'era in questo assetto ancora qualche riguardo alle forme tradizionali della repubblica fiorentina; e non pochi si lusingavano che ne sarebbe nata una proficua collaborazione dei più notevoli elementi delle varie classi cittadine. Se non che apparve subito che il nuovo assetto portava in pratica all'esclusione delle vecchie famiglie che avevano osteggiato tradizionalmente la signoria medicea. Si formò pertanto, quasi subito, un grosso e rumoroso partito di opposizione che per molti anni ebbe una parte notevole nella storia del nuovo principato: all'estero, specialmente dopo i primi anni, più che nell'interno della città stessa. Vi avevano parte alcuni elementi notevoli e forti, sia per potenza economica, come gli Strozzi, sia per le numerose e rilevanti relazioni famigliari e politiche con le principali famiglie o con gli uomini più in vista degli altri stati italiani e delle corti più importanti, come la papale, l'imperiale, la francese. Più noti, tra costoro, gli Strozzi, i Ridolfi, i Gaddi, i Salviati: tra i quali ultimi il cardinal Salviati, che per lungo tempo poté apparire destinato alla tiara.

Non tutti i principali uomini politici di Firenze erano con ciò passati all'opposizione: alcuni accettarono il nuovo regime, dandogli il loro appoggio, per desiderio di vantaggi personali, come il cardinal Cibo, oppure per una più alta visione politica, come il Guicciardini. Il quale, ben conscio che Firenze non poteva mantenersi a lungo con la vecchia forma repubblicana, pensava che un principato limitato da alcune sagge restrizioni, e che si valesse largamente degli uomini esperti e di valore, potesse dare consistenza e vera tranquillità allo stato. Concetto, questo, ch'egli non solo sostenne di fatto nei momenti in cui il duca A. si valse della sua opera, ma che cercò di attuare anche nella scelta del successore, Cosimo, nel 1537.

E il duca, nei primi tempi del suo governo, si valse effettivamente del consiglio e del senno del Guicciardini e di altri notevoli personaggi, come Baccio Valori, e in special modo Francesco Vettori. Parve allora che il nuovo assetto, se mirava incontestabilmente ad accentrare la somma dei poteri e delle decisioni nelle mani del governo e più ancora del capo, e quindi si avviava verso un vero principato, tuttavia avesse il merito, che poi era in sostanza il titolo e il diritto alla sua esistenza, di avere introdotto una maggiore giustizia distributiva di diritti e di doveri tra le varie classi dei cittadini, e altresì di risollevare economicamente la vita fiorentina, assai prostrata dalla crisi e dalle guerre del 1527-1530. Se non che i buoni propositi di A. cominciarono presto a vacillare, sia perché egli non era capace di perseverare in una linea di condotta misurata e meditata, sia anche per la paura ch'egli ebbe delle mene e delle minacce degli oppositori. Tra costoro si era ben presto messo innanzi il cugino Ippolito. E poiché costui era troppo vicino a Clemente VlI, come nipote e come cardinale, per non far temere qualche improvviso mutamento nei disegni del papa; poiché la sua equivoca attività era troppo palese, pur non essendo facile vedere se e come e fino a qual segno egli potesse essere d'accordo con le altre famiglie dell'opposizione, A. credette di dovere innanzi tutto premunirsi materialmente, circondandosi di milizie e costruendo fortezze, di cui la più nota fu la fortezza da Basso, a Firenze. A queste misure egli fece seguire a poco a poco atti di persecuzione e di tirannia sempre più manifesti, allontanando uno dopo l'altro quasi tutti i saggi consiglieri che lo avevano guidato nei primi passi. Cominciò allora una rapida fuga dei principali uomini dell'opposizione, anzi di intere famiglie. In poco tempo si costituì fuori di Firenze un grosso nucleo di fuorusciti, divisi in varî gruppi, a seconda delle corti presso cui andarono a stanziarsi per sfruttare i molti rapporti e legami che avevano in esse. Così avvenne che, ovunque, si diffusero sentimenti di ostilità, accuse e anche calunnie contro il duca: sistematica denigrazione a cui A. stesso dava motivo con la sua vita sregolata e con le frequenti offese all'onore di cospicue famiglie fiorentine. Complice e incitatore suo in queste dissolutezze era un altro cugino, Lorenzino de' Medici, che con lui faceva quasi vita comune.

Il dissidio, apertosi in tal modo, non cessò con la morte, misteriosamente avvenuta ad Itri il 10 agosto 1535, di Ippolito de' Medici, che molti attribuirono a segreto mandato del duca, ma che le ricerche moderne farebbero apparire avvenuta naturalmente. In luogo di Ippolito, le cui mene ambiziose non avevano sortito alcun effetto neanche presso il nuovo papa Paolo III, perché in fondo destituite di ogni giustificazione e non rispondenti a un reale programma politico, si presentano oramai, compatti, quelli che erano i veri oppositori di principio: i più pericolosi politicamente. Divisi fino a questo momento, ora congiunti di forze e di programma, essi preparano un gran colpo, tentando di accaparrarsi la benevolenza dello stesso Carlo V, al quale si rivolgono spesso e dal quale sono anche, sovente, ascoltati. Allora A., certo per consiglio del Guicciardini, compie l'atto politico più importante del suo breve governo: cerca cioè l'appoggio diretto dell'imperatore e sollecita la mano della sua figliuola naturale, la giovanissima Margherita, che doveva divenire più tardi famosa come duchessa di Parma e governatrice dei Paesi Bassi. Questa politica, che dal punto di vista dell'interesse di A. era l'unica possibile, si accordava con l'interesse di Carlo V, in un momento in cui costui, vincitore di Francesco I e del suo alleato, il pirata Barbarossa cui aveva tolto clamorosamente Tunisi (1535), si apparecchiava a venire in Italia per intraprendere la terza guerra contro la Francia. Pertanto, quando a Napoli, nel 1536, si presentavano a lui da un lato A. e il Guicciardini, e dall'altro i fuorusciti, a nome dei quali lo storico Jacopo Nardi fece una lunga e vibrante orazione, l'imperatore, che voleva avere quiete e sicurezza in Toscana, si decise per A. Il matrimonio con Margherita fu presto concluso e compiuto: ma purtroppo questo non valse a frenare il giovane duca nei suoi eccessi politici e galanti. Fallì il piano del Guicciardini, che fu pertanto accusato e infamato dagli avversarî; e in realtà l'appoggio dell'imperatore era risultato più favorevole alla persona del duca che alla libertà e agli interessi dello stato.

A. godette assai brevemente di questo favore e dell'aumento di autorità, conseguito anche in grazia di somme cospicue versate all'erario imperiale che ne aveva sempre bisogno. Nella notte dal 5 al 6 gennaio 1537, il cugino Lorenzino che, compagno di vita e di eccessi, aveva anche ambiziosi disegni propri, non si sa bene se connessi con l'azione degli avversarî politici, uccise, con l'aiuto di un sicario, il duca A., dopo averlo attirato in un convegno notturno con la moglie di Leonardo Ginori, di cui egli si era invaghito. Nella sua Apologia Lorenzino (fuggito subito dopo l'assassinio) dice di aver compiuto l'atto per richiamare a libertà il popolo fiorentino. In realtà ciò non avvenne: anzi, tenuta segreta per alcun tempo la notizia della morte, il cardinal Cibo, il Guicciardini e gli altri poterono avviare le cose in modo da assicurare la successione al giovane Cosimo de' Medici, allora diciottenne e discendente dal ramo laterale di Lorenzo, fratello di Cosimo il vecchio. A. non aveva ancora figli legittimi; sì bene un piccolo bastardo di nome Giulio, non in età da poter essere messo a capo di uno stato in formazione e in quelle condizioni.

Egli rimase alcun tempo presso la vedova Margherita: più tardi morì oscuramente.

Bibl.: L. A. Ferrai, Lorenzino de' Medici e la vita cortigiana del '500, Milano 1895; id., Cosimo dei Medici duca di Firenze, Bologna 1892; A. Rossi, Francesco Guicciardini e il governo fiorentino dal 1527 al 1540, Bologna 1896; A. Reumont, Geschichte Toscanas seit dem Ende des florentinischen Freistaates, Gotha 1877, II; A. Otetea, François Guichardin, Parigi 1927; L. Carcereri, Cosimo I granduca, 1560-1569, Verona 1926.

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