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PUBLIC IMAGE LIMITED a Milano: il carisma di John Lydon è ancora potente e pulsante.

John Lydon ritorna in Italia, insieme ai Public Image Limited, con il tour è a supporto dell’ultimo album, “End of the World”, e regala un viaggio entusiasmante lungo 40 anni carriera musicale.

Photo Credits thanks to BPM Concerti

Articolo di Massimo Ravedoni

John Lydon, personaggio iconico e carismatico, torna con i suoi Public Image Limited dopo 5 anni di assenza. Il tour è a supporto dell’ultimo album, “End of the World”, un disco, dedicato alla moglie recentemente scomparsa, che propone sonorità e atmosfere molto diversificate ma non disomogenee, soprattutto senza voler ossequiare l’attuale tendenza che ripropone certe sonorità post-punk, dando prova, tutto sommato, di una considerevole indipendenza ed integrità artistica. 

La band si è riformata, a tutti gli effetti nel 2009, includendo due elementi già in formazione nella seconda metà degli anni 80, il chitarrista Lu Edmonds e batterista Bruce Smith, a cui si è aggiunto il bassista Scott Firth, solido turnista di formazione jazz.

Poco dopo le 21 si presenta sul palco prima la band e poi arriva John Lydon. Indossa tunica e pantalone nero, con un leggio: ormai la transizione a predicatore è completata. L’aggressività di un tempo ormai è sopita, canalizzata attraverso invettive mirate (anche contro l’uso dei telefonini “this show is for real people” lo ripeterà diverse volte), e con un utilizzo della voce davvero impressionante nell’alternare diverse tonalità e registri. 

La scaletta propone pezzi tratti da tutta la vasta discografia dei P.I.L. riservando uno spazio di riguardo, oltre all’ultimo “End of the World” del 2023, a quel “Metal Box”, il secondo album del 1979, dal quale vengono proposti ben quattro pezzi. Se ce ne fosse bisogno, la scelta di riproporre generosamente brani da quel disco, ci ricorda che in quell’epoca di grande fermento creativo, la fine degli anni 70, il gruppo di John “non-più-Rotten” Lydon fu uno degli inventori della musica moderna, sperimentando e innestando sui muscoli del rock gli impianti di tecniche sonore estranee a quel genere; nel caso di “Metal Box” era il dub giamaicano declinato in modo decisamente poco ortodosso.

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Il concerto inzia con il groove à la Bad Seeds di “Penge” tratta dall’ultimo LP ma subito dopo arriva il primo tuffo nel passato: “Albatross” la traccia di apertura del “Metal Box”. Il giro di basso profondo e ossessivo e gli arpeggi di chitarra dissonanti e acidi accompagnano il salmodiare di Lydon in uno dei pezzi che resta l’emblema della cifra stilistica della prima fase creativa del gruppo.

Dopo “Being Stupid Again”, sempre dall’ultimo album, arriva il pezzo ruffiano per incendiare la folla di nostalgici accalcati ai Magazzini Generali: “This is not a Love Song”. Perché Lydon, sarà, oggigiorno, pur un esempio di integrità stilistica ma resta sempre uno dei protagonisti della Grande Truffa del Rock n Roll e certo non ha bisogno che gli si insegni come coinvolgere il pubblico. 

Si prosegue con due estratti dal “Metal Box”: la cadenzata “Poptones” e la tagliente “Death Disco”. Eccellente il lavoro alla chitarra di Edmonds che ripropone in modo fedele ma non didascalico il suono originale dei pezzi. Probabilmente le due interpretazioni più riuscite della serata. 

Continua la logica dell’alternanza tra vecchio e nuovo con il pezzo di “The Room I’m In”, tratto da un album di una decina di anni, “This is PIL”: una sorta di spoken word su una base jazz rock fusion (qui viene fuori evidentissima l’estrazione jazz di Firth al basso) che, seppure nella sua brevità, ipnotizza la sala.

Subito dopo però si piomba nuovamente nelle atmosfere cupe del passato: l’ossessione percussiva di “Flowers of Romance” (opinione personale: un disco da rivalutare, conteneva tante idee innovative) e le spire del basso post punk di “Memories” pervadono totalmente l’ambiente.

Photo Credits thanks to BPM Concerti

Dopo l’ultima incursione sull’album appena uscito, la vivace quasi elettro pop “Car Chase”, nel finale vengono ripescate canzoni della seconda metà anni 80, “The Body” e “Warrior”, le cui versioni live sono decisamente più rumorose rispetto a quelle in studio, con la sezione ritmica davvero in grande spolvero, e arriva la chiusura con “Shroom”: un groove quasi acid house su cui Lydon declama una serie di provocatori improperi.

Il bis ci riserva fuochi d’artificio: il manifesto “Public Image” con quel bassone pompato e quel riff inconfondibile, la cover di “Open Up” dei Leftfield, cantata all’epoca proprio da Lydon, in una versione talmente elettrica da essere quasi noise-rock e la chiusura è con l’elegia di “Rise”, forse il loro brano di più grande successo commerciale, dove il pubblico si scatena cantando a squarciagola. 

Il mondo sarà anche diventato un po’ più complicato da interpretare, la furia iconoclasta di Lydon si è affievolita dal tempo e dagli eventi ma resta un interprete lucido, sia artisticamente che ideologicamente, capace di proporre uno show convincente solido e di intrattenere il pubblico senza ricorrere a banalità e baracconate. Dio lo benedica e ce lo preservi. 

PUBLIC IMAGE LTD. – la scaletta del concerto di Milano

Penge

Albatross

Being Stupid Again

This Is Not a Love Song

Poptones

Death Disco (Swan Song)

The Room I Am In

Flowers of Romance

Memories

Car Chase

The Body

Warrior

Shoom

Bis:

Public Image

Open Up (Leftfield cover)

Rise

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