53 Wars

53 Wars

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Esordio nel lungometraggio dell’attrice e sceneggiatrice polacca Ewa Bukowska, 53 Wars è un dramma ossessivo, cupo e asfissiante, che sfrutta deliri onirici puramente polanskiani all’interno di un approccio cinematografico in tutto e per tutto realistico. In concorso al Torino Film Festival.

E tutto il mondo fuori

Nella Varsavia dei primissimi anni Novanta Anka ha un ottimo lavoro quando conosce Witek, reporter di guerra. Innamorati e con tanti progetti da realizzare assieme, gli equilibri della coppia cambiano dopo il matrimonio e la nascita del figlio: lui continua ad andare in giro per conflitti, lei resta a casa senza neppure più lavorare. [sinossi]

Esordio nel lungometraggio dell’attrice e sceneggiatrice polacca Ewa Bukowska, 53 Wars è un dramma ossessivo, cupo e asfissiante. Girato quasi tutto in interni, emotivamente schiacciato su toni freddi e stanze prive di vitalità, la trasposizione del romanzo della scrittrice polacca Grazyna Jagielska riesce a esprimere il disagio profondo e sempre più distruttivo di Anka (la brava Magdalena Poplawska, dalla figura “blanchettiana”) sfruttando anche benissimo il sonoro e innestando momenti oniricamente polanskiani, paranoici e psichicamente distorti dentro a un racconto realistico. Che parte dalla fine, quando la donna è già seguita da uno psichiatra cui spiega cosa l’ha condotta in un istituto per disturbi mentali.

Anka, la protagonista, all’inizio degli anni Novanta è una donna bella ed emancipata, con un ottimo lavoro alla Banca Mondiale, del tutto in grado di divertirsi e autodeterminarsi in una Polonia nuova, libera e piena di futuro. Il reporter di guerra Witek la travolge con un’ondata di fantasiose avventure: andranno in giro per il mondo, faranno entrambi i giornalisti, vedranno tutto assieme e vivranno tutto assieme. Le premesse del loro rapporto sono tratteggiate impressionisticamente ma molto efficacemente, sotto forma di rapide pennellate di flashback, di ricordi folgoranti che attraversano la mente di una donna che invece è, nel presente, sfinita, scavata e tetra. Le premesse, così veloci ma così nette, sono fondamentali per capire la rovinosa caduta cui assisteremo. Una doppia caduta: quella di Anka e quella delle speranze successive alla fine del regime comunista. Soffermandosi sulla traiettoria privata di Anka e suo marito, il conflitto parte, ineluttabilmente, nel momento in cui i due mettono su famiglia: è stato bello sognare, ma all’arrivo del primo pargolo i ruoli si divaricano e stabilizzano nella loro inscalfibile staticità. Witek è un giornalista di guerra e continuerà a fare questo rischioso e adrenalinico mestiere. Mentre Anka, che ha lasciato il suo lavoro per fare la giornalista, resta a Varsavia non solo e non tanto per occuparsi della casa e del figlio, ma per dare a Witek quella stabilità psichica di cui l’uomo ha bisogno. Viaggiando tra scenari di guerra, devastazione e violenza, Witek si tiene in vita e si protegge sapendo che ha qualcosa a cui tornare. La casa a Varsavia diventa così il suo “giubbotto antiproiettile” mentale, una quiete che lo rassicura durante bombardamenti o conflitti a fuoco, che sono in realtà l’unica cosa che gli interessa veramente. Anka è, così, l’inconscio del marito. Tanto che sarà lei – non lui – a subire le conseguenze psicologiche delle guerre e a doverle elaborare, visto che Anka sviluppa lo stress post-traumatico tipico dei soldati, che invece il marito non ha: l’uomo agisce, la moglie sente. In questo primo, fondamentale, livello, 53 Wars racconta, in maniera peculiare, quanto i ruoli tradizionali attribuiti ai generi siano ancora oggi ben lontani dall’essere superati e quanto anche una donna sveglia e moderna possa trovarsi invischiata in una relazione che soddisfa principalmente i bisogni del maschio e umilia i propri.

A un secondo livello di senso, però, si colloca una traccia legata alla fine dell’Unione Sovietica con le conseguenze che il disfacimento del blocco comunista ha comportato. Witek segue – sempre fuoricampo: lo spettatore è infatti totalmente all’interno del punto di vista di Anka – i tanti conflitti degli anni Novanta derivanti, in un modo o nell’altro, dal crollo dell’Urss: dall’ex Jugoslavia alla Cecenia, Georgia, Inguscezia al sempiterno Afghanistan, il reporter della Polonia libera può andare a vedere con i propri occhi le conseguenze di un tracollo. Ma a casa, in Polonia, Anka non vede niente se non dalla televisione, e l’elaborazione della storia nella sua complessità è una cosa subita, introiettata senza essere chiarita. Non è insomma un caso che il racconto si svolga proprio in quegli anni, anzi è la sottolineatura di quanto poco la Polonia, uscita dal regime, abbia elaborato il passato ma soprattutto la visione di un futuro differente. Il secondo livello di lettura del film ha a che fare con quanto sia stata gestita male, e malamente, la fase di transizione successiva alla caduta del comunismo. Una transizione in cui si è dato per scontato tutto, o che la fine di qualcosa bastasse a costruire un futuro diverso: nella Polonia di oggi, che permette l’aborto solo in alcuni ristrettissimi casi (negando quindi l’autodeterminazione della donna) e in cui l’estrema destra è al governo, la vicenda di 53 Wars assume una connotazione più vasta, aprendo a una riflessione ampia. Che però nel film resta solo abbozzata, molto laterale seppur presente (vista anche la battuta finale, in cui la protagonista esprime la speranza che le guerre non siano, almeno, state del tutto vane): in primo piano c’è soprattutto la storia privata che, interessante per varie implicazioni, resta concentrata sullo sviluppo più lineare, scandito dagli andirivieni di lui e dalla progressiva discesa agli inferi di lei.

Poiché 53 Wars non abbandona mai il realismo per affondare chiaramente nel simbolico, stonano infine abbastanza alcune scelte. Come il fatto che nessuno abbia mai aiutato la protagonista ad affrontare i propri problemi e frenare la propria autodistruzione: Anka viene lasciata andare alla deriva, così, senza far niente di risolutivo, dalla madre e dalle amiche per un decennio in cui qualcuno poteva decisamente intervenire. Per lo stesso motivo non funziona molto la messa in scena del pre-finale con i reduci dall’Afghanistan, che sembra preludere al non ritorno psicologico di Anka o a una sua definitiva “prigionia” mentale che viene poi invece smentita alla fine. In generale, manca forse una chiara precisione narrativa, la determinazione di una soglia (anche stilistica) che aiuti ad approfondire o integrare i tanti temi disseminati in un film intrigante, ricco di spunti che però non sono del tutto ben ricomposti e sviluppati.

Info
53 Wars sul sito del Torino Film Festival.
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