«L'amore non può finire nemmeno se finisce». Trasformarsi (non separarsi) | Corriere.it

«L'amore non può finire nemmeno se finisce». Trasformarsi (non separarsi)

diChiara Gamberale

Dopo i tantissimi messaggi ricevuti sulla rivoluzione sentimentale immaginata nell'ultima rubrica, riapro la questione

Da quando ho la fortuna di essere 
fra le quattro autrici di questa rubrica, 
cioè da quasi cinque anni, 
non mi era mai capitato di ricevere tanti messaggi 
desiderosi di non limitare il discorso a un articolo 
come mi è successo nell'ultimo periodo. 
Immaginavo, nel fatidico articolo, 

la possibilità di cominciare dal nostro vocabolario una rivoluzione sentimentale che porti due persone che si separano, e che hanno figli, a continuare comunque a considerarsi genitori delle stesse persone, anziché una coppia che non ce l'ha (più) fatta. Immaginavo di sostituire il termine «separazione» con quello, molto più carico di orizzonti, di «trasformazione». C'è chi mi ha scritto furibondo, perché che cosa posso saperne io di quanto si soffre a sentirsi delusi e traditi proprio dal padre, dalla madre dei nostri figli. C'è chi mi ha scritto invece per confessarmi il suo dolore e, avendo avvertito fra le righe dell'articolo il mio, per abbracciarlo. C'è, soprattutto, chi mi ha scritto per raccontarmi la sua storia. 

Inevitabilmente, grazie alle vostre parole, sento allora il bisogno di riaprire la questione: partendo dal presupposto che, quando un amore finisce, non solo due persone si separano (e si trasformano): ognuna delle due, dentro, sarà per sempre separata - e potrà trasformarsi. Premesso questo, i messaggi che ho ricevuto mi confermano che, dopo il rimbambimento per la frantumazione del nostro presepe, le comete che possiamo seguire, le strade che possiamo prendere, sono fondamentalmente tre. Possiamo smaniare per sostituire subito la statuina del presepe che ci si è rotta con un'altra: si è rotto il bue, ma è a disposizione un unicorno? Va bene lo stesso, vicino all'asinello ci piazziamo l'unicorno, l'importante è evitare il faccia a faccia con quel buco nel presepe - e nel cuore. 

Oppure possiamo dimenticarci del resto del presepe, della Madonna e di San Giuseppe e del Bambino, e concentrarci esclusivamente sul buco lasciato dalla statuina rotta: possiamo pensare solo a quel bue che non c'è più, possiamo parlare solo di quel bue, possiamo contare i giorni che diventeranno mesi che diventeranno anni dal momento in cui l'asinello si è ritrovato abbandonato, davanti alla capanna. 

Oppure, ed è la terza strada, possiamo osservare il nostro presepe mutilato. Osservarlo ancora, e ancora. Possiamo cercare di capire perché la nostra statuina si è rotta, fino ad accettare che non riusciremo mai a capirlo fino in fondo. Solo allora, a quel punto, comincerà la trasformazione: che non è il sogno ingenuo di persone che hanno amato poco. Ma è il lavoro faticoso di chi è convinto che certe statuine siano troppo preziose per non fare lo sforzo di ripararle e cambiargli, magari, di posto. «Di chi crede che l'amore può non finire nemmeno se finisce». Per citare uno dei vostri messaggi. 

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6 maggio 2024