THE BAND WAGON

Vincente Minnelli

Scen.: Betty Comden, Adolph Green. F.: Harry Jackson. M.: Albert Akst. Scgf.: Cedric Gibbons, Preston Ames. Mus.: Adolph Deutsch, Arthur Schwartz . Int .: Fred Astaire (Tony Hunter), Cyd Charisse (Gabrielle ‘Gaby’ Gerard), Jack Buchanan (Jeffrey Cordova), Oscar Levant (Lester Marton), Nanette Fabray (Lillie Marton), James Mitchell (Paul Byrd), Robert Gist (Hal Benton), Thurston Hall (colonnello Tripp), Ava Gardner (se stesssa), LeRoy Daniels (lustrascarpe) . Prod.: Arthur Freed per MGM. 35mm. D.: 102’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

The Band Wagon narra la riconquista d’un territorio. Il territorio è il palcoscenico, e dunque il mondo intero (the stage is a world, the world is a stage). Nel 1931 Fred Astaire aveva portato in scena, insieme alla sorella Adele, uno spettacolo di varietà dallo stesso titolo; le canzoni erano firmate da Alfred Schwartz e Howard Dietz; il film ne recupera cinque, Schwartz e Dietz ne aggiungono altre, repechages dal proprio repertorio e composizioni originali (tra cui la trascinante dichiarazione di poetica That’s Entertainment). Tra un numero e l’altro, qui s’insinua il personaggio di Tony Hunter, ex song-and- dance man di Broadway con un avvenire (hollywoodiano) dietro le spalle, uno che pretende d’essere più Astaire dello stesso Astaire. Torna e trova la scena cambiata, il pubblico distratto, e per di più l’Arte in agguato: ma gli bastano cinque minuti, e un classico A Shine on Your Shoes, per ricondurre alla propria misura il ritmo d’una galleria metropolitana, guadagnarsi l’inchino di passanti e lustrascarpe, e dare avvio a una strategica rinascita.
Il fatto è però che la nuova scena e il nuovo mondo esplodono di colori, e Tony/Astaire, pur fedele al suo vestito grigio, in quei colori che eccitano il pubblico del 1953 deve immergersi. Ma poi vecchio, nuovo, di che cosa stiamo parlando? La rilettura arty proposta dal formidabile Jack Buchanan (uno che un po’ pretende di essere Orson Welles) s’ispira a Faust, e l’allestimento è un tripudio di diavoli, fondali scarlatti e fumi cangianti come solo certe fantasie Pathécolor degli anni Dieci… La lezione del colore non va perduta, se Tony/Astaire, prese le redini dello spettacolo, modella un abito rosso-mozzafiato sul corpo di Cyd Charisse, nel numero Girl Hunt. Tanto quel che conta è che le canzoni circolino, che i passi di danza diano forma visiva al sentimento. E mai tale forma visiva ha raggiunto la purezza della notturna passeggiata a due nel Central Park della MGM, del movimento con cui il passo leggero del cammino diventa passo aereo di danza: uno scarto laterale inatteso, quasi involontario, e disvelatore. La cinepresa di Minnelli trova la giusta distanza. Ecco che cos’è un’intermittenza del cuore, al cinema.
Certo, gira una malinconia da ultimo spettacolo, e non ha tanto a che fare con l’età di Astaire, né con la concorrenza di Gene Kelly: entrambi continueranno a dividersi con successo gli schermi musical degli anni Cinquanta: poi tutto sarà finito. Per ora, Tony Hunter si pone a roccaforte d’un genere e d’una visione del mondo (the world is a stage, the stage is a world). “Volete il Tony Hunter versione 1953? Bene, eccovi invece il Tony Hunter versione 1776!”. Come fosse un padre della patria. Come se “a dance/with a touch of romance” fosse un diritto scolpito nella Dichiarazione d’Indipendenza. D’altra parte, scriveva Michael Wood: “Se non siamo Fred Astaire, non dureremo in eterno”.

Paola Cristalli

 

La recensione su Cinefilia Ritrovata

Da: Collezione privata di Martin Scorsese – MoMA per gentile cortesia di Sikelia Productions e Warner Bros.
Copia 35mm IB Technicolor stampata nel 1966