The Wall
Pink Floyd – 1979

Copertina Originale: Gerald Scarfe, Roger Waters

Etichetta: Harvest (UK), Columbia (US)

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THE WALL TRACKLIST
(TESTI E TRADUZIONI)

Quello che tutti noi conosciamo come The Wall, l’undicesimo album dei Pink Floyd, nel 1978 era una demo originale. E tra la demo e l’album c’è un muro: da una parte l’album che è, dall’altra quello che doveva essere.

Proprio come un’eclissi, avevamo detto che The Dark Side Of The Moon era proprio in mezzo a un periodo temporale di dodici anni.

Sei anni dopo il debutto del 1967 con The Piper At The Gates Of Dawn, sei anni prima del 1979, di The Wall e del muro.

Scusate. Il Muro. Con la emme grande. Il Muro in mattoni bianchi.

Inizialmente la copertina di The Wall doveva essere così. Nessuna scritta, Pink Floyd, disegno o marchio. Nulla.

Dieci anni prima del crollo del muro di Berlino, la facciata di mattoni eretta da Roger Waters doveva tenerti fuori, non farti andare dall’altra parte, isolarti da ciò che avresti trovato dentro. Una volta dentro, per un’ora e mezza ti isolava dal mondo esterno.

Questo succede ancora, succede sempre, tanto è forte l’alienazione di quando ascolto quest’album.

Guardando solo la copertina, prima di ascoltare i due vinili di The Wall, non dovevi aspettarti nulla, neanche che lì dietro ci fossero i Pink Floyd. E soprattutto Roger Waters.

É facile farsi ingannare dall’aspetto comune del muro. Ma non conta quello che si vede in superficie, bensì quello che c’è dietro.

Dietro c’è tanto. Davvero tanto. Ma per sapere quanto dobbiamo tornare indietro, non durante la posa dei primi mattoni, uno sull’altro, durante la notte del concerto di Montreal, ma molto più indietro, a metà degli anni ’40.

Sono questi gli anni in cui un bimbo di nome Roger inizia a vivere e, poco dopo, a ricordare. Sono queste le fondamenta di The Wall.

Per Waters il muro è anonimo, spoglio e puro come la pelle di un bambino, e se dovessimo fermarci alla copertina di Gerald Scarfe questo articolo finirebbe qui o tra pochissime righe.

La cover di The Wall fu (parole sue) “a doddle”. Un gioco da ragazzi. Un bel colpo per i Pink Floyd dopo le fatiche per i tre giorni della copertina di Animals e le lacrime mescolate al fuoco della cover di Wish You Were Here.

Ma le due precedenti cover sono opera di Hipgnosis, stavolta è diverso.

Questa volta Scarfe prova diverse versioni della copertina: linee tra i mattoni di colore diverso; mattoni grandi, piccoli, medi. Roba di questo genere.

La copertina sarebbe pronta in uno o due giorni se la Harvest, casa discografica che muoveva i fili, non obbligasse Waters e Scarfe a inserire nome e titolo, gettando così l’amo al pubblico e assicurandosi vendite da capogiro che puntualmente arriveranno, come una marea.

Scarfe allora scrive velocemente The Wall Pink Floyd, solo uno schizzo per accontentare i produttori, migliorabile in futuro.

Ma nel futuro non c’è più tempo di modificare la copertina e la scritta resterà tale e quale, come uno spruzzo di bomboletta spray lasciato su una parete da una mano che trema di paura.

Gatefold: i Personaggi di The Wall

personaggi di The Wall rendono il gatefold molto più complesso di front e back cover.

Alcuni personaggi aiutano Pink a costruire il Muro, altri gli faranno pagare le conseguenze.

Come il maiale volante Algie dall’Animals Tour in poi, i Pink Floyd useranno i pupazzi di The Wall durante il colossale The Wall Tour. I personaggi diventeranno persone nel 1982 con The Wall – Il Film.

Oltre Pink, parliamo della Mamma, il Maestro, la Moglie, i Martelli e il Magistrato: la “compagnia delle 5 M”, come mi piace chiamarli.

A questo punto è giunto il momento di vedere cosa c’è al di là del muro, ma prima una precisazione.

The Wall è composto da due vinili. Il primo racconta la costruzione del Muro, il secondo le conseguenze e la lotta di Pink per liberarsi.

Nonostante sia per tre quarti opera di Waters è anche uno degli album più trasformati, discussi e ritoccati di sempre durante la produzione, con continue modifiche, tagli improvvisi e aggiunte dell’ultimo minuto.

La demo originale di Roger Waters si intitolava Bricks In The Wall e aveva una scaletta diversa. Il bassista la compose subito dopo quel concerto di Montreal, tra la seconda metà del 1977 e i primi mesi del 1978.

Uno dei momenti chiave della sua vita, un impetuoso fiume di creatività dove il bisogno di comunicazione di Roger romperà ogni argine e porterà a riva anche The Pros And Cons Of Hitch Hiking, oltre a buona parte di The Final Cut.

I brani eliminati da Waters sono i celebri “Spare Bricks”. Mattoni avanzati, mattoni di scorta.

Per questo, ora che andremo al di là del muro, vicino a ogni brano c’è anche il suo titolo originale nella demo, sempre che Waters l’avesse composto in Bricks In The Wall.

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Sono solo Mattoni nel Muro: i Brani di The Wall

In The Flesh? – The Show, Part I

NELLA DEMO: ASSENTE

Nella demo originale di Roger Waters non c’era In The Flesh. Con o senza punto di domanda.

I Pink Floyd aggiungono il brano, tagliato in due, tra la prima produzione (inizio gennaio 1979) e la seconda (fine marzo 1979). Le due tracce si chiamano The Show, Part I e II fino a due settimane dall’uscita.

Waters elimina circa un minuto di The Show Part I, il superfluo, per renderla adatta per l’inizio dello show.

In The Flesh? non è ancora la storia di Pink, piuttosto noi stiamo entrando in sala e Waters, un particolare direttore d’orchestra, ci accompagna al nostro posto.

Waters aveva concepito The Wall come opera rock-teatrale dunque l’inizio resta la roboante apertura del sipario su una storia enorme, con quel fatidico secondo n. 17 che mi fa sussultare ogni volta, a volume alto, cioè sempre, ogni volta un inizio delle danze troppo improvviso e potente nonostante sappia benissimo che sta arrivando

É quel momento, quando la dolce e impercettibile melodia di clarinetto e concertina viene spazzata via dalla chitarra di David Gilmour.

Sarà la prima di innumerevoli accelerazioni, perché The Wall è un album pieno di sbalzi d’umore.

La batteria di Nick Mason è il ratatatatata di una mitraglia, le battute finali sono spari ed esplosioni.

La chitarra è un’onda, va a scatti, in crescendo, sta aspettando che ci sediamo per l’inizio dello show; a 55 secondi esplode con il pezzo di chitarra simbolo di quest’album e non solo di questo (ascolta bene alcuni passaggi di The Pros And Cons Of Hitch Hiking).

La musica di In The Flesh? segue gli ordini del direttore d’orchestra Waters, ora che tutti in sala hanno preso posto:

“Lights! All the sounds effects! Action! Drop it! Drop it on ‘em! Drop it on ‘eeeeeemmmmm!”

Il sipario si sta aprendo. Se vogliamo vedere lo spettacolo dobbiamo farlo in the flesh: in carne e ossa.

In The Flesh?: è una domanda. Vogliamo?

Se la risposta è sì, buttiamo maschera e travestimenti e vediamo cosa ha spinto Pink a costruire il Muro. Andiamoci dentro con lui.

Il vero inizio di The Wall è il rumore allarmante di un aereo da guerra (uno Spitfire della Seconda Guerra Mondiale), sempre più forte e più vicino.

Infanzia e Scuola

The Thin Ice – Instrumental Theme

NELLA DEMO: PRESENTE

The Thin Ice chiudeva la demo Bricks In The Wall solo con la parte finale, e il suo titolo era il generico “Instrumental Theme”.

I Pink Floyd aggiungono le strofe e modificano la musica nel gennaio 1979. Cambiano anche il titolo: The Thin Ice Part 1.

Fino a ottobre 1979, a pochi giorni dalla pubblicazione, c’è anche The Thin Ice Part 2, ma la band unirà i pezzi per creare la meraviglia che racconta l’infanzia di Pink, quando il ragazzo getta le basi per il Muro.

Il Muro inizia a crescere quando Pink ha pochi anni.

La madre mette i primi mattoni, proteggendo il figlio, programmando il suo cervello ad avere paura della vita.

Waters spiegherà, in un’intervista al dj Jim Ladd, che il brano parla delle prime paure e preoccupazioni iniettate ai bambini dai loro genitori, soprattutto i bambini come lui nati in un periodo di guerra.

Pink è un bambino succube dalla madre, tenuto al sicuro nella sua bolla.

Mamma capisce che per un bimbo la vita può sembrare bella (“And the sea may look warm to you babe – And the sky may look blue”) ma il suo dovere è insegnargli che, in realtà, la vita è un continuo pericolo.

Vivere è come pattinare su uno strato di ghiaccio che non ti fa vedere l’oceano nero nascosto appena sotto.

Il ghiaccio è la barriera che separa l’infanzia di Pink dal mondo reale, il mondo degli adulti. É una pellicola sottile perché, in generale, il confine tra il vivere e il non-vivere è molto fragile, dipende da come ti hanno fatto crescere.

Essere cresciuto come un fanciullo iperprotetto lo espone al rischio di non saper gestire la vera vita. Dall’altra parte, è proprio la protezione di sua madre a far sì che il ghiaccio non si rompa, almeno dal punto di vista di sua madre.

Se il ghiaccio si rompe, allora Pink può solo aggrapparsi a ogni cosa per rimanere in superficie, e non sprofondare.

Pink allora deve riconoscere che mamma, l’unico suo genitore, è anche l’unica sua protezione.

Another Brick In The Wall Part 1 – Brick 1: Reminiscing

NELLA DEMO: PRESENTE

Brick 1: Reminiscing nella demo e in tutta la produzione di The Wall.

L’inizio aveva una durata più lunga, aveva synth e somigliava a qualcosa uscito da Wish You Were Here, come stile. Era il primo brano della demo e seguiva un piccolo estratto del brano “We’ll Meet Again” di Vera Lynn.

Ma la cosa a cambiare maggiormente in questo brano è il senso.

Brick 1: Reminiscing parlava soprattutto dei Pink Floyd, con queste parole:

We don’t need your adulation.

We don’t need your starry gaze.

How the years have come between us.

You should have seen them in the early days

Should have seen ‘em in the early days.

All in all, it’s just another brick in the wall.

All in all, it’s just another brick in the wall.

They don’t need your reminiscing.

They don’t need your memories.

They don’t want to hear who’s missing.

You should have seen them when the boys were young.

You should have seen ‘em when the boys were young.

All in all, it’s just another brick in the wall.

All in all, you’re just another brick in the wall.

Waters non ha mai spiegato di chi stesse parlando. Forse di Barrett? Probabile. Forse di Richard Wright, diventato una comparsa in The Wall? Probabile.

La cosa certa è che il vero Another Brick In The Wall Part 1 parla del padre di Waters, Eric Fletcher Waters, morto in guerra ad Anzio durante la Seconda Guerra Mondiale quando Roger aveva due anni. 

L’assenza del padre segnò profondamente Waters. In questo brano, per la prima volta, il bassista lo comunica chiaramente, lo dice tra un mattone e l’altro in tutto The Wall e anni dopo dedicherà al padre un intero album: The Final Cut.

Another Brick In The Wall Part 1 è la più calma dei tre “Bricks” in cui Pink “parla” a suo papà.

Pink sembra riflettere finché domanda al padre che cosa gli ha lasciato, oltre a qualche foto e ai ricordi di sua madre.

In fin dei conti, che cosa mi hai lasciato? “Dad, what you’d leave behind for me?”

Non è un caso che questa frase sia gridata da Waters. Il riff di Gilmour somiglia a un flash che fa affiorare questo pensiero doloroso nella mente di Pink.

SPARE BRICK – WHEN THE TIGERS BROKE FREE

Si pensa che in Bricks In The Wall a questo punto ci fosse When The Tigers Broke Free, con il titolo provvisorio di Anzio, 1944.

“Tigers” è una canzone così personale, per Waters, che il gruppo rifiuta di inserirla in The Wall. Anche Bob Ezrin, produttore dell’album, convince Roger a escluderla per fare di The Wall un album universale e non così intimo.

É il più importante spare brick perché racconta la morte di suo padre e sarà pubblicata solo nel 1982 nel film The Wall.

Ad ogni modo non importa.

Per un bimbo nato senza un padre e cresciuto senza un genitore, questo fatto è solo qualcosa che forma il suo carattere, un altro pezzo del suo puzzle, un’altra esperienza che lo isola da tutto il resto.

Solo un altro mattone nel muro.

The Happiest Days Of Our Lives – Teacher, Teacher

NELLA DEMO: ASSENTE

The Happiest Days Of Our Lives compare per la prima volta nel secondo giro di produzione di The Wall. Era molto simile a Teacher, Teacher, brano della demo.

Racconta la scuola, periodo in cui costruisci almeno metà del tuo futuro. Inizia con l’inquietante rumore di un elicottero, un altro dei simboli di The Wall, per interrompere i giochi dei bambini sul finire di Another Brick In The Wall Part 1.

Il Maestro, guarda caso con la stessa voce di Waters, grida al megafono la frase più iconica dell’album: “You! Yes you! Stand still, laddie!” (“Tu! Sì tu! Fermo lì mammoletta!”)

L’elicottero è qualcuno che spezza la gioventù e interrompe il gioco; è un pericolo, qualcuno che insegue i bambini come un elicottero della polizia rincorre un criminale.

Dovevano essere i giorni più belli delle nostre vite, ma siamo in un sistema adulto di prepotenze e umiliazioni, come un tritacarne da cui usciremo tutti uguali.

Pink continua a riflettere su come certi professori usino sarcasmo e prepotenza per sfottere i bambini, mettendo in mostra le loro fragilità, l’unico modo che hanno per far emergere il loro potere.

É probabile infatti che la loro vita, fuori dalla scuola, sia uguale a quella dei bambini a scuola se non peggiore, umiliati e bastonati dalle loro mogli, e questo li farà sempre più sfogare sui poveri bambini.

Il finale di The Happiest Days Of Our Lives sembra il battito accelerato del cuore di Pink a questo pensiero, e si unisce alla canzone più famosa dell’album, e non solo, come una traccia unica: Another Brick In The Wall Part 2.

Another Brick In The Wall Part 2 – Brick 2: Education

NELLA DEMO: PRESENTE

Brick 2: Education nella demo originale di The Wall.

É pazzesco come uno dei brani più celebri dei Pink Floyd, l’unico a raggiungere la vetta delle classifiche, non fu composto per diventare un singolo.

Durava appena 1.45 minuti. Per Waters era un pezzo transitorio come Brick 1: Reminiscing. Poi capita che un ritmo incalzante e un ritornello interessante arrivano alle orecchie giuste, quelle di Bob Ezrin, che capisce di avere a che fare con una hit assoluta.

Ezrin ha un paio di trovate spaziali.

Per prima, duplica strofa e ritornello, per avvicinare il brano alle caratteristiche pop, per seconda esce dallo studio e attraversa la strada, fino all’Islington Green School.

Chiederà di cantare quel ritornello a un gruppo di ragazzi dai dieci ai quindici anni, proprio nell’età della ribellione contro i professori, così da essere ancora più convinti di cosa stavano cantando.

Inizialmente i cori dovevano essere oscuri backvocals, ma un risultato così di qualità non può essere messo dietro. Va semplicemente messo davanti, e il ritornello nel corso del tempo diventerà un vangelo.

Nella storia di Pink, Another Brick In The Wall Part 2 è una reazione ai giorni di soprusi in The Happiest Days Of Our Lives.

La canzone diventa subito un inno contro la scuola odiata da Waters, un luogo dove i bambini sono soffocati dall’insegnamento, il controllo e la ferrea disciplina (“How can you have any pudding if you don’t eat your meat?”)

Nella demo, “Bricks 2: Education” veniva prima di Teacher, Teacher, esclusa perché molto simile a The Happiest Days Of Our Lives.

Ma Waters non la dimenticherà, stravolgendo Teacher, Teacher e battezzandola “The Hero’s Return” in The Final Cut.

E adesso è il momento di mamma.

Genitori (almeno chi c’è)

Mother

NELLA DEMO: PRESENTE

Nella demo, tra Brick 1 e Brick 2 c’era Mother.

Mother è una canzone dolce e straziante al tempo stesso, quando Pink oscilla tra il bisogno di libertà e un latente desiderio di protezione, nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

L’intensa forza evocativa della canzone è tutta nel contrasto tra la quiete della musica e l’angoscia delle parole.

Pink rivolge una lunga serie di domande a sua madre, come ogni rapporto tra genitore e figlio è fatto di curiosità e domande.

Le domande di Pink sono fredde e malinconiche, piene di tristezza e paura del futuro: la guerra e il governo, i dubbi sui fans, il timore di come reagiscono le persone e soprattutto le ragazze: fidarsi o non fidarsi?

E mamma ha una risposta a tutto e aiuta a tirare su il Muro tra suo figlio e il mondo, per difenderlo, trasmettendogli ancora un po’ delle sue paure dopo la prima porzione di The Thin Ice.

La barriera difensiva sarà abbastanza alta che non sarà per niente facile liberarsene.

“Mother, did it need to be so high?”

A questo punto di The Wall, Goodbye Blue Sky suona come un addio ai giorni felici.

Goodbye Blue Sky

NELLA DEMO: PRESENTE

Nella demo, Goodbye Blue Sky era verso la fine del side 2, vicino a Don’t Leave Me Now.

Sarà spostata tra The Thin Ice e Teacher, Teacher nella prima produzione e, infine, ad aprire il side B del primo vinile di The Wall.

Il treenne Harry Waterrs, figlio di Roger, esclama “Look mummy, there’s an aeroplane up in the sky”.

Il piccolo Harry, senza nonno, e Roger Waters, senza il padre, è il permanente e inconfutabile risultato della guerra.

Goodbye Blue Sky è uno splendido parallelo tra il cielo, su cui è possibile leggere promesse e desideri, e il cielo durante la guerra.

Chi ci è stato spinto e chi ci è andato volontario, come Fletcher Waters, tutti combattevano sotto lo stesso cielo, un cielo che prometteva cose impossibili.

Per Pink questo pensiero lascia vuoti incolmabili nel suo muro.

Empty Spaces – What Shall We Do Now?

NELLA DEMO: PRESENTE

Resta qualche buco da riempire, ma il Muro ormai è cosa fatta.

“What shall we use to fill the empty spaces, where we used to talk?”

I vuoti di Pink sono la crescente solitudine, l’abitudine a colmarli parlando con qualcuno.

Qui Waters parla anche e soprattutto a Syd Barrett e i suoi vuoti, tra stupefacenti e problemi personali che l’avevano spinto verso una malattia mentale, dieci anni prima, e poi fuori dalla band.

Nella storia di The Wall è una presa di coscienza che il Muro è praticamente finito, un ultimo tentativo di trovare una persona con cui parlare.

Una ragazza, per esempio.

C’è un messaggio nascosto nel brano che non è quel che sembra, recitato al contrario da Roger Waters.

“Congratulations. You have just discovered the secret message. Please send your answer to ‘Old Pink’, care of the funny farm, Chalfont…”

[…interrupted…]

“Roger, Carolyne’s on the phone…”

Nick Mason dirà, in un’intervista del 2014 a Dave Kerzner, che il messaggio è completamente privo di senso e inserito in The Wall per dare l’unico momento di umorismo in un album freddo e arrabbiato.

Inoltre, in quell’epoca c’era la moda di lasciare messaggi criptati nei dischi rock e anche i Pink Floyd hanno voluto dare il loro contributo.

Nella demo l’ordine era: Don’t Leave Me Now – Empty Spaces – Another Brick In The Wall 3. La voce di Waters era bassa e distorta, vagamente inquietante.

Dopo Goodbye Blue Sky c’era What Shall We Do Now?, brano escluso poco prima della pubblicazione per far posto all’hard rock di Young Lust.

WHAT SHALL WE DO NOW?

Inclusa nella demo e coccolata in produzione con il nome Back To The Wall, era davvero molto simile a Empty Spaces tanto che quest’ultima si può considerare una sua reprise ma molto, molto più oscura.

What Shall We Do Now? era più ritmata, con una parte finale con lo schianto di vetri infranti e il suono di una sirena. La sostanza non cambiava: Pink si chiedeva come andare avanti. Che fare? Completare il muro?

Waters esclude What Shall We Do Now? per ragioni di lunghezza, lasciando le parole nella copertina di The Wall per aiutare a capire le storia.

Moglie, Sesso e Tradimenti (Last Few Bricks)

Young Lust

NELLA DEMO: PRESENTE

Nella demo, Young Lust era acustica e aveva un testo diverso.

Pink lasciava la scuola e sprecava il suo tempo in cerca di sesso, tra librerie e cinema pornografici, non avendo il coraggio di rapportarsi con le donne.

Nella versione di The Wall, Pink esce di casa e si sente così spaesato da sentirsi uno sconosciuto in città.

Sente di aver bisogno di una donna per sentirsi un uomo dopo anni vissuti tra le pareti di sua madre.

Non è chiaro, ma nella storia di The Wall sembra che Pink cerchi altro oltre a sua moglie.

Lui è una rockstar, quasi ogni giorno in tour, lontano da casa, e con il passare del tempo si sente sempre più lontano anche dal rapporto con sua moglie.

Si pensa che lo stesso Roger Waters attraversasse la stessa situazione quando scrisse The Wall. Anche la telefonata di Pink, a fine brano, una telefonata autentica, è simile a quella tra Waters e la moglie Carolyne durante l’Animals Tour del 1977.

Il desiderio di una ragazza “sporca” (“I need a dirty woman, I need a dirty girl”), una storia leggera, una botta e via, è forse il segno che Pink si trova in una crisi coniugale (e sarebbe un altro parallelo con The Pros And Cons Of Hitch Hiking).

Ma la moglie di Pink lo precede e, negli ultimi 43 secondi, mentre telefona a casa, l’operatrice lo informa di quella sconosciuta voce maschile che ha risposto al telefono.

A questo punto, nella demo e solo nella demo, Pink reagiva al tradimento della moglie: dopo Young Lust c’era Sexual Revolution.

SEXUAL REVOLUTION

Pink ripagava la moglie con la stessa moneta.

Sexual Revolution era la continuazione perfetta: dopo la ricerca del sesso, Pink passava all’azione.

Il brano era una conversazione tra uomo e donna sulla possibilità di combinare un incontro di sesso, ma il desiderio di protezione della donna delude Pink, incapace di fare la sua Sexual Revolution.

Interessante è il fatto che Sexual Revolution sia uno dei pochi brani suonati per intero dai Pink Floyd nel 1978 ma poi scartato in favore di Pros And Cons. Indizio per cui, forse, il gruppo stava lavorando anche al primo album solista di Waters.

La versione dei Pink Floyd è più lenta e ancora più blues della versione definitiva di 4.41 a.m. (Sexual Revolution).

One Of My Turns

NELLA DEMO: ASSENTE

One Of My Turns si apre sbattendo ferocemente la porta di una stanza d’albergo, dove Pink si sta rifugiando con una ragazza (una groupie?), forse la “dirty girl” di Young Lust.

La moglie di Pink sembra avere impegni, indubbiamente non di lavoro, con l’uomo che ha risposto al telefono di casa sua.

Pink, seduto in poltrona, ciondolante, occhi sbarrati davanti a un televisore che non vede nemmeno, è alienato dalla realtà e non sente la voce insistente della ragazza.

(Impossibile che Waters non abbia pensato a Syd Barrett mentre componeva questo brano)

Non credo esistano in natura canzoni più nere e pessimistiche di One Of My Turns.

Pink sta male. Sente arrivare una crisi di nervi, o di rabbia. Pensa e ripensa al suo matrimonio allo sfascio e a un tratto inizia a sfasciare.

La crisi esplode e Pink impazzisce e distrugge la camera, in un turbine mentale che comprende usare l’ascia, guardare la tv, scopare, ammirare l’autostrada, buttare la ragazza fuori dalla finestra o suicidarsi (“Would you like to learn to fly? Would’ya? Would you like to see me try?”)

Le urla di Roger Waters finiscono quando la ragazza abbandona Pink.

One Of My Turns non c’era nella demo originale ed è aggiunta nei primi mesi del 1979.

Prima di reclutare la groupie, Waters prova a fare la voce da ragazza ma il suo timbro, già acuto, suonava terribilmente acuto. Troppo.

Nella demo Bricks In The Wall, al posto di One Of My Turns come abbiamo visto c’era Sexual Revolution, che forse rendeva la storia più coerente.

Dopo Sexual Revolution, comunque, anche nella demo c’era Don’t Leave Me Now.

Don’t Leave Me Now

NELLA DEMO: PRESENTE

La fine della crisi, guarire da una febbre altissima ma avere ancora la testa che pulsa.

Pink sta implorando sua moglie di non lasciarlo, o la ragazza di tornare indietro. Immagina la vergogna di farsi vedere dagli amici da persona tradita, e la paura di essere tradito anche da loro.

Pink, da questo momento, non lascerà  più la stanza d’albergo. Capisce di stare bene da solo.

Don’t Leave Me Now è uno dei primissimi pezzi scritti nella demo di Roger Waters, e finisce passando direttamente nei botti, i colpi e le grida di Another Brick In The Wall Part 3.

Il Completamento del Muro

Another Brick In The Wall Part 3 – Brick 3: Drugs

NELLA DEMO: PRESENTE

Bricks 3: Drugs nella demo originale di The Wall.

Il primissimo testo del terzo e più cattivo Brick faceva intendere che Pink, a questo punto, assumeva droghe per andare avanti.

Sembra che questa parte fosse il quinto pezzo di un’unica canzone chiamata “Another Brick In The Wall”, dunque il pezzone aveva cinque parti e non in tre, o forse i “Bricks” erano tutti più brevi.

Con Another Brick In The Wall Part 3, i primi due lati di The Wall stanno finendo, la genesi del muro si sta completando e Pink può sperare ben poco.

In realtà lui non spera nulla e non ha bisogno di nessuno: questo brano è la rabbioso convinzione di bastare a sé stessi.

É questo l’ultimo mattone nel Muro di Pink.

Goodbye Cruel World

NELLA DEMO: PRESENTE

Nella demo c’era e si intitolava Goodbye Cruel World. É il pezzo meno modificato rispetto alla sua versione originale.

La paranoia cresce e Pink si auto-isola da tutti, convinto di poter stare da solo.

Anche se è la fine del primo vinile, questo non è tanto l’ultimo mattone ma è il momento in cui Pink capisce che il muro è completo.

Goodbye Cruel World finisce come a tirare giù il contatore di casa. Bum, e la luce si spegne. L’ultimo “goodbye” di Waters è pronunciato senza musica. Un blackout nella testa di Pink.

Pink, mentre si ritira, incolpa il mondo (crudele) e ammette che nessuno riuscirà a convincerlo a tornare indietro.

A volte si pensa che The Wall parli della morte di Pink, e che Goodbye Cruel World sia il momento del suo suicidio (Addio mondo crudele – bang!).

Ma non è così.

The Wall parla di vita: difficile, dolorosa, con sofferenze dalle radici profonde e incidenti di percorso, ma sempre vita.

The Wall piuttosto è il modo con cui una persona può reagire alla vita. Nel caso di Pink, isolandosi.

I problemi e le difficoltà spingono una persona a costruire il suo Muro.

Una volta lì dentro, nessuno può raggiungerci per farci del male.

E nessuno può aiutarci.

Il secondo vinile di The Wall: Aiuto

Hey You

NELLA DEMO: PRESENTE

Hey You, nella demo, era a fine album, prima di Trial By Puppet.

In produzione, sarà spostata più indietro e la tracklist diventa:

Comfortably Numb

– Hey You

– The Show Must Go On

Ma per Bob Ezrin e Roger Waters il flusso della storia non scorre perché Hey You è il primo tentativo di ristabilire un contatto con la realtà, dunque la sua posizione ideale è all’inizio del secondo disco, quando Pink cerca di reagire.

Pink non ha mai lasciato la stanza d’albergo di One Of My Turns.

Con l’inizio di Hey You si ha la sensazione che Pink sia dentro il suo Muro ormai da tempo immemore, infatti sembra arrivare da un momento molto lontano rispetto al brano precedente. Per chi ascolta The Wall su vinile questo è vero anche nella pratica.

Per arrivare a Hey You una persona deve interrompere la storia per mettere il secondo vinile, facendo passare pochi minuti ma creando un distacco e un’interruzione reale nella storia.

Hey You è il grido d’aiuto di Pink a qualsiasi persona possa sentirlo, chiunque sia fuori dal muro, anche chi conosce (un generico “ehi tu”). Forse sta parlando proprio a noi.

Ma uscire è solo una fantasia. Il muro è troppo alto, come possiamo vedere.

Manca la forza e la volontà di uscire dal Muro, e intanto, più resta solo, più impazzisce (“And the worms ate into his brain”)

Rumori di vermi o insetti verso il finale, un grido disperato e, infine, la vera reazione di Pink con le parole forse più belle dell’album, “Together we stand, divided we fall”.

Ma non basta, perché Pink chiama ma nessuno risponde: Is There Anybody Out There?

Is There Anybody Out There?

NELLA DEMO: PRESENTE

Questo brano, all’inizio, doveva aprire il lato 3 di The Wall (al posto di Hey You per intenderci) ed era composto da tre parti.

Una tra le parti II e III era in mezzo tra Bring The Boys Back Home e The Doctor (Comfortably Numb); l’altra veniva dopo Vera.

La parte I è quella che tutti conosciamo.

Quella bassa, continua, perforante nota di synth e i dialoghi di un film. La riprova, se ce ne fosse bisogno, che Pink si trova ancora nella stanza d’albergo.

Is There Anybody Out There è un’inquietante disco rotto con la stessa domanda in loop in un sottofondo di televisione accesa, rumore di cristalli, il canto acuto di un gabbiano o una balena. Sembra un eco della canzone degli echi, rumori strani, rumori, rumori e rumori.

E voci.

Pink continua a ripetere la stessa domanda, incessantemente, in una paranoia galoppante fino agli ultimi, dolcissimi, secondi di chitarra.

Pink sta cercando qualcuno, ma ha la certezza che non troverà nessuno. Dentro il suo Muro, lo sa. Non ci sarà nessuno.

Nobody Home

NELLA DEMO: ASSENTE

Nobody Home non c’era né sulla demo, né in produzione.

Per nostra fortuna, Roger Waters la scrive in una notte d’ispirazione poco prima di registrare l’album.

In Nobody Home, Pink è sicuro di essere rimasto solo e riflette sulla sua situazione.

Riflette sulla sua quotidianità, sulle cattive abitudini, come l’eroina e le bruciature da sigaretta, forse un riferimento al masochismo, sulle piccole e inutili soddisfazioni (“When I’m a good dog they sometimes trow me a bone in”).

Secondo alcune biografie di Roger Waters, il bassista dei Pink Floyd sta parlando di alcune persone familiari ma negli ultimi anni irriconoscibili, come Syd Barrett e la sua geniale vista nei momenti di lucidità, come una doppia vista, e Richard Wright, membro vitale dei Pink Floyd ma escluso ora da Waters per i suoi problemi personali.

Ancora Guerra

Vera

NELLA DEMO: PRESENTE

Nella demo, Vera durava circa 2 minuti e 20 secondi: 1.18 minuti erano prima di “Is There Anybody Out There?”; il resto, insieme a un pezzo di “We’ll meet again” della cantante inglese Vera Lynn, apriva la demo.

Le canzoni di Vera Lynn erano un augurio per far tornare a casa, sani e salvi, i ragazzi che partivano per il fronte.

In Vera, Roger Waters ripensa al padre e sembra chiedere a Vera il motivo per cui suo padre non è tornato (“Vera! Vera! What has become of you?”), anche se il brano, come detto dallo stesso Waters, ha un significato molto più generale.

Non parla solo di guerra, nemmeno nella domanda finale: “Does anybody else in here Feel the way I do?”

Bring The Boys Back Home

NELLA DEMO: PRESENTE

È un brano particolarissimo e unico, uno straordinario momento di transizione più che una vera canzone.

Per Roger Waters è il mattone più importante di The Wall.

Non è solo una critica alla guerra ma il suggerimento a non mettere nulla davanti alle persone che amiamo, come spiegato dal bassista nel 1979 all’uscita dell’album.

Sullo sfondo di un’imponente musica d’orchestra, le grida di Waters sono così forti da essere udibili da chiunque, in ogni luogo, e per sempre.

Una marcia militare scandisce i momenti chiave di The Wall: il “Wrong! Do it again!” e “Time To Go!” del maestro, la sua bacchetta, le centraliniste che gli dicono del tradimento, “Are you feeling ok?” della ragazza e l’infinito “Is there anybody out there” sembrano un vortice nella mente di Pink.

Il presente sta prendendo il posto del passato.

Dottori, Allucinazioni e Odio

Comfortably Numb – The Doctor

NELLA DEMO: ASSENTE

Nessuna traccia di Comfortably Numb sulla demo, in produzione era The Doctor e non doveva esserci in The Wall.

La musica è di Gilmour del 1977, Waters aggiunge le parole e la inserisce solo su insistenza di Bob Ezrin, che intuisce, ancora una volta, di avere di fronte un pezzo monumentale con un assolo stratosferico.

Nella storia, Pink immagina di essere visitato da un dottore che gli pratica una piccola puntura (“O.K. Just a little pinprick”) per alleviargli il dolore. Nel testo originale di The Doctor, durante i lavori in corso dell’album, sembra davvero che un medico parli a Pink (“Is anybody bleeding?” “I know you’re hiding”).

Più realisticamente, Pink assume sostanze stupefacenti per rifugiarsi dalla realtà. Questo è un altro chiaro riferimento alla vita di Barrett.

La droga lo rende anestetizzato e piacevolmente insensibile a tutti gli stimoli esterni, la canzone è un momento di calma, un’appagante alienazione che non fa sentire nulla fino all’assolo finale.

In quel momento scoppia tutto.

Tra il senso d’inquietudine generale del brano, ritmo blando e melodico, scandito dalle grida di Pink, la chitarra sembra dirci qualcosa di oscuro in una lingua sconosciuta.

L’assolo di Comfortably Numb, composto dalle parti migliori di 5 o 6 assoli diversi composti da Gilmour, è pura adrenalina, astrazione fisica e psichica, cuore che accelera, svariati groppi in gola.

Forse i sensi di Pink si stanno risvegliando dopo questa botta di sostanze. Per preparasi, di nuovo, allo spettacolo.

Perché lo spettacolo deve continuare.

The Show Must Go On – Who’s Sorry Now?

NELLA DEMO: PRESENTE

Inizia il lato 4 dell’LP originale.

I Pink Floyd compongono The Show Must Go On combinando e modellando una traccia escluse dalla demo, Who’s Sorry Now?, chiamata It’s Never Too Late in produzione.

Durante un ultimo spiraglio di lucidità, Pink capisce di essere colpevole di quella situazione. Aveva possibilità di scelta, e non avrebbe dovuto permettere che loro lo cambiassero in quel modo.

Dal brano ufficiale è stato tagliato questo verso:

Oooh Pa take me home

Oooh Ma let me go

Do I have to stand up

Wild eyed in the spotlight

What a nightmare

Why don’t I turn and run

Pink si chiede se “deve alzarsi i piedi” (lo spettacolo deve continuare) e i “wild eyed in the spotlight” è forse la cattiveria delle persone, o forse è la sua cattiveria.

Ma tra poco Pink lo capirà, perché nel Muro non puoi girarti e fuggire.

Come sei entrato devi uscirne: in carne e ossa.

In The Flesh – The Show, Part II

NELLA DEMO: ASSENTE

Nella demo si chiamava The Show Part II.

Il brano parla dell’odio che avvolge Pink a causa del suo isolamento.

Il protagonista, in una paranoia insensibile e deluso da sé stesso, ha un’allucinazione, provocata dalle sostanze stupefacenti assunte in precedenza, in cui diventa un dittatore nazifascista nel mezzo di un delirante comizio.

La folla è enorme, le persone urlano, cibandosi della sua esaltazione e del suo odio, gridando una gioia aggressiva, famelica di trovare un “colpevole”.

Come in uno sdoppiamento di personalità, Pink annuncia che il vero Pink è rimasto in hotel perché malato, e dunque tocca a lui scovare i veri fans in mezzo alle migliaia di persone presenti in sala.

È un chiaro riferimento alla data di Montreal dell’Animals Tour e allo sputo di Roger Waters a gruppo di fan.

Nel suo delirio Pink si scopre razzista e omofobo, fino a estendere il suo odio su tutti, persino su chi fuma o ha qualche lieve difetto fisico, e desiderando la morte di tutti. Tutta quella che lui considera gentaglia (“riff raff”) è separata dalla folla e messa al muro.

La Fuga, il Processo e l’uscita dal Muro

Run Like Hell

NELLA DEMO: PRESENTE

Nella demo aveva una durata molto superiore (Run Like Hell è la canzone più tagliata di The Wall), stiamo correndo insieme a Pink, che scappa dalle sue responsabilità, sentendosi in colpa.

Il brano è frenetico e dà un senso di pericolo e urgenza: l’esercito di martelli, marciando a tempo e frantumando tutto ciò che trovano, è il passato di Pink che lo sta cercando per fare i conti.

Sai come si dice, che il passato prima o poi ti viene a cercare?

Il brano esprime ancora la paura di essere libero, con lo spettro di un ritorno da sua madre (Cause if they catch you in the back seat – Trying to pick her locks – They’re gonna send you back to mother – In a cardboard box. You better run)

Nei primissimi secondi, le corde graffiate e ritardate della chitarra di Gilmour lasciano sentire, in sottofondo, la folla dello Show ripetere Pink…Floyd… come un’interferenza, un disturbo, e a pochi secondi da Waiting For The Worms, la parte sinistra del pubblico grida “Pink…Floyd…” mentre la destra dice “Hammer…Hammer…”

Sul finire del brano, l’urlo di Waters ci fa capire che hanno sfondato la porta di Pink.

Waiting For The Worms – Follow The Worms

NELLA DEMO: PRESENTE

Non potete raggiungermi, non importa come ci provate.

Pink, in una stanza d’albergo diventata il suo bunker, sta “aspettando i vermi”, cioè forse pensa di restare lì per sempre o aspetta che tutto svanisca.

Waters l’aveva composta come Follow The Worms, inserendola tra Run Like Hell e Trial By Puppet (che diventerà The Trial)

Come spiegato da Roger Waters, Waiting For The Worms è il momento in cui svaniscono tutte le assurdità e i nonsense nella vita di Pink. L’anestesia del Dottore, la visione di sé stesso che odia tutti. Ogni cosa si sta dileguando.

É il ritorno di Pink nel mondo reale.

Waiting For The Worms è di un’intensità eccezionale. All’inizio è una normale marcia a sud di Londra, diventa un crescendo di ritmo, intensità e suggestione dopo l’ultimo “all you need to do is to follow the worms”.

Stanno andando a prendere qualcuno. Presto ci sarà una manifestazione.

Il processo?

Stop

NELLA DEMO: ASSENTE

Stop è un piccolo break, un ponte musicale che nella demo originale non c’era.

Ma per unire due pilastri come Waiting For The Worms e il monumentale finale di The Trial, ci vuole una pausa.

Pink è stanco. Della sua pazzia, di tutta quella sceneggiata, del muro. Stanco di tutto. Decide allora di abbandonarsi e di ammettere le proprie colpe (“Have I been guilty all this time?)

La porta della sua prigione si apre con uno sferragliare di chiavi, e qualcuno conduce Pink al suo personale giorno del giudizio.

Il momento chiave di The Wall.

The Trial – Trial By Puppet

NELLA DEMO: PRESENTE

The Trial è l’esame interiore di Pink, faccia a faccia con il suo passato.

É il suo personale processo in cui lui stesso è accusa, giudice e difesa, tutto nello stesso momento.

Le frasi pronunciate da chi gli ha permesso di costruire il muro, maestro, madre e moglie, in realtà è lui stesso a sentirle, nella sua testa, prendendo consapevolezza che è sempre stato artefice del suo destino e meritevole di una condanna per essersi isolato.

The Trial uno dei brani più imponenti di sempre, una breve opera teatrale che vive di vita propria grazie a Bob Ezrin e la sua orchestra.

La versione demo originale, musicalmente più semplice, riusciva a essere più sinistra e cupa grazie all’atmosfera del solo pianoforte di Ezrin e la voce di Waters. La sentenza era più breve e meno brutale della versione di The Wall.

La voce di Waters, in questa parte, è paurosamente bassa e gutturale. Sembra la voce deformata di un uomo che prima, nell’album, non aveva mai cantato. In sottofondo, oltre ai violini, la chitarra di Gilmour scandisce il tempo.

Pink è condannato a fronteggiare la sua paura peggiore, il massimo della pena: il ritorno tra le persone.

Pink deve abbattere il Muro.

Outside The Wall

NELLA DEMO: PRESENTE

Il Muro di Pink crolla alla fine di The Trial, e continua a crollare con Outside The Wall.

Ritornano il clarinetto e la concertina, in contrasto con le macerie di un bombardamento, come in un deja-entendu.

Roger Waters spiegherà che Outside The Wall, unico momento positivo di The Wall, è molto legata al rapporto con i fans dei Pink Floyd.

Esprime il bisogno di contatto umano dopo uno spettacolo, che sia un’esibizione in un pub o un’opera rock-teatrale da stadio come The Wall.

Ritornando con il pensiero alla notte di Montreal nel 1977, Waters non vuole una band da un lato e migliaia di persone dall’altro. Non vuole muri: è questo il significato più concreto di The Wall, quello in superficie.

Come sempre, poi, il significato va esteso, e se esiste una canzone-rivelazione, quella è Outside The Wall.

Mentre il Muro cade, Pink vede che non è solo, ma le persone che gli vogliono bene sono tutte lì fuori.

É anche troppo facile capire che The Wall parla di tutti noi, quando mettiamo una barriera tra noi e chi vuole aiutarci, facendo soffrire noi e loro, le persone sensibili, chi può darci tutto, “sbattendo il cuore contro il muro di qualche pazzo furioso”.

Personalmente potrei ascoltare The Wall anche solo per l’esperienza di arrivare in fondo con questo brano, un momento di rara bellezza musicale.

E come i cicli lunari ci dicono che la luna prima o poi ritornerà, sappiamo che The Wall finirà con parole d’amore e amicizia (rarità in The Wall) e rientrerà dalla stessa porta.

Perché The Wall, come la vita, è un ciclo, certe storie ritornano, la storia di Pink ricomincia, segno che presto o tardi rientrerà nel Muro dopo un nuovo momento di fragilità mentale.

Un secondo prima della fine Waters dice “Isn’t this where…” e la frase finisce all’inizio dell’album quando, pochi secondi prima della chitarra di In The Flesh?, una voce appena percepibile dice “…we came in?”

“Isn’t this where… we came in?” (Non è qui da dove siamo entrati?)

Ma quei puntini di sospensione che separano “isn’t this where…” da “…we came in?” significano le due parti non sono incollate tra loro.

Molto facile restare di nuovo intrappolati nel loop ma c’è un brevissimo momento in cui si può uscirne.

Pink non sarà mai libero dal Muro ma mi piace pensare che, quando rientrerà, i mattoni saranno sempre più fragili.

FONTI

Sito ufficiale dei Pink Floyd

The Wall Analysis

Libro: Comfortably Numb – A History of “The Wall” – Pink Floyd 1978-1981 (2006)

Libro: The Making of Pink Floyd: The Wall by Gerald Scarfe (2010)

Nella storia dei Pink Floyd succedeva…

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1977 – In The Flesh Tour Montreal

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1983 – The Final Cut

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