Hors-saison Recensione

Hors saison: la recensione del film di Stéphane Brizé con Guillaume Canet e Alba Rohrwacher visto a Venezia

08 settembre 2023
4.5 di 5

Un uomo e una donna si ritrovano dopo quindici anni e il trauma delle rottura della loro storia d'amore. Sul mare, fuori stagione. Hors saison è lo spiazzante melodramma di Stéphane Brizé con Guillaume Canet e Alba Rohrwacher presentato a Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.

Hors saison: la recensione del film di Stéphane Brizé con Guillaume Canet e Alba Rohrwacher visto a Venezia

Una coppia, cappotto e sciarpa, sul bagnasciuga, con il mare schiumoso e mosso dal vento che fa piegare in avanti i due per cercare di affrontarlo al meglio. L’immagine malinconica del mare fuori stagione, in luoghi in cui non si trova quasi nessuno poche settimane dopo essere stati affollati, passando dal centro alla periferia dei pensieri di chi vive in città. Stéphane Brizé si allontana brutalmente, geograficamente e tematicamente, dalla coralità dei suoi racconti di fabbriche in agitazione e di un mondo del lavoro demoralizzato, per avvicinarsi alla più democratica delle attività umane: l’amore. Solo una coppia, un lui e una lei, sono gli ingredienti di Hors saison.

Lui vive a Parigi, dove fa l’attore. Si chiama Mathieu (Guillaume Canet), anche se nel film non viene mai specificato, perché è famoso, e i pochi che lo incrociano lo identificano come tale, un passaporto che non necessità di un nome, ma al massimo di un generico “mi piacciono molto i suoi film”. Anche se un inatteso, “a parte gli ultimi due”, detto da un cameriere un po’ goffo o troppo sincero, accolto con benevolenza e auto ironia dall’interessato, fa intuire come non sia proprio un gran momento per la sua carriera. Tanto che lo troviamo in una sorta di esilio per riprendersi in un centro termale, anche se la necessità di recupero riguarda più lo spirit, in una creatura fragile come quella di un attore colpito da un fallimento umano. Si è rimangiato all’ultimo momento un debutto in teatro tanto atteso quanto accolto con pagine di approfondimenti sulle riviste.

Lei è Alice (Alba Rohrwacher, qui curiosamente con il nome della sorella regista) un’insegnante di pianoforte di una decina d’anni più giovane. I due sono stati innamorati quindici anni prima, poi si sono lasciati, guarendo da un amore che ha lasciato degli strascichi in lei, che vive vicino all’hotel di lusso in cui lui si rigenera. È lei che lo chiama e riallaccia i rapporti, i due si sentono e si vedono, raccontandosi del tempo passato, con quell’intimità di chi si è amato, ma la consapevolezza di vivere ormai in due universi diversi. In comune la disillusione e l’insicurezza, quella meno apparente, quasi inusitata, in una celebrità che sembrerebbe come tale dover per forza godersi soldi e fama ed essere felice. Ma mi sente un fallito e un codardo per non aver avuto il coraggio di uscire dalla sua bolla di conforto, il cinema, mettendosi in gioco ogni sera dal vivo su un palcoscenico. Alice si è ritagliata un mondo piccolo e semplice ma felice, con una figlia adolescente, ma anche la rinuncia a una carriera più prestigiosa, sempre per quella maledetta pura di osare.

E nel frattempo il tempo passa e la finestra di soddisfazione sembra farsi sempre più ridotta. Brizé abbandona la camera a spalla per una misurata composizione di immagini statiche, rispettose del percorso di timido avvicinamento dei due, ma anche la loro sensazione di rimanere immobili. Sono entrambi isolati, lui come celebrità nella torre d’avorio, lei ripresa in brevi tableaux di vita quotidiana felici e sorridenti, ma l’idillio si incrina nell’assenza di audio, una gioia rallentata. Un racconto capace di riempire i silenzi con un lavoro formale molto interessante, fra immagini crepuscolari e una colonna sonora splendida di Vincent Delerm ad accompagnarne come un perfetto contraltare emotivo, più che semplice tappeto. Come se la sceneggiatura fosse costituita anche dalla musica, oltre che dai dialoghi e dall’ambientazione così caratterizzata da diventare un altro personaggio.

Un paesaggio quasi vuoto che lascia spazio alle riflessioni interiori, sulla separazione di quindici anni prima e sulle scelte non fatte o le occasioni perse per strada. È il tempo a scandire il malanno interiore di questa coppia, tormenti anestetizzati, solo per poco tempo, dall’essersi ritrovati, dall’intimità e dall’ironia con cui si fanno forza in due. Perché Hors saison sa alternare il ritmo, non scade nella monotonia, pur nell’affrontare con coraggio gli sbandamenti e gli strazi di un melodramma. Grazie anche ai due attori. A Canet, che qui fa emergere quel lato malinconico che aveva fatto vedere in passato come attore, ma soprattutto come regista. Una storia struggente, resa tale anche grazie ai colori caldi del sorriso timido di Alba Rohrwacher, dalle sue guance rosse per l’imbarazzo, pronte a trasformarsi in curiosità e decisione sfrontata.

È anche un elogio al ruolo apparentemente non essenziale, ma “eroico” dell’artista - che sia un attore o musicista - che si preoccupa del nutrimento dell’anima, nobilitando le nostre vite al di là del sostentamento. Un elogio della fragilità, del non negarsi all’altro per i difetti, imparando a conoscersi attraverso i punti deboli. Straziante e commovente, autentico e impagabile. Un Brizé che ci conduce in territori inattesi e in cui vorremmo restare, fuori stagione, insieme a Mathieu e Alice.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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