Jane Austen, il mistero di un manoscritto indecifrabile - La Stampa

C‘è un piccolo o forse grande tesoro ancora inesplorato, se non in minima parte. Sono le memorie di Francis Austen, uno dei fratelli della grande Jane, ufficiale di marina salito fino al grado di ammiraglio e morto novantenne del 1865, quindi molto tempo dopo la sorella che ebbe, come si sa, una breve vita. Nonostante si vedessero poco, era un suo gran confidente. E in tarda età mise mano a un libro di memorie, rimasto manoscritto, ora acquisito dalla Jane Austen’s House nell’avita magione dell’Hampshire. Parla (in terza persona) dei suoi lunhi viaggi intorno al mondo, ma anche dei rapporti famigliari e certamente della sorella.

Molto si sa del loro rapporto. Si conoscono a esempio le lettere che Francis riceveva da lei, decisamente utili per capire come la scrittrice vivesse il suo ruolo. E’ noto che non si firmava mai, se non indicando sulle copertine un generico “A Lady”, anche se nel mondo letterario la sua identità non era un mistero. Ma nel novembre 1815, mentre stava per pubblicare Emma, dopo lunghe trattative editoriali condotte proprio dal fratello, il Principe Reggente (e cioè il futuro Giorgio IV) la invitò tramite il bibliotecario reale nella sua residenza londinese. E le fece annunciare che le era «concesso» di dedicargli il romanzo in uscita. La Austin visitò volentieri la biblioteca, ma quanto alla dedica non ne voleva proprio sapere, almeno fino a quando le fu fatto intendere che non si trattava di una benevola concessione, per l’appunto, ma di un ordine: cui, da fedele suddita britannica, ottemperò con qualche riga sulla prima edizione di Emma, inviata poi a Carlton House sontuosamente rilegata.

Proprio in quel libro, però, Mrs. Elton, grande ammiratrice di Jane Fairfax (personaggio con un nome, si direbbe, non poco allusivo) cita se pure con intenti opposti a quelli dell’autrice, due versi di Thomas Gray, da una poesia molto popolare all’epoca, Elegy Written in a Country Churchyard: «Quasi tutti i fiori nascono per brillare inosservati/ E sprecare la loro fragranza nell'aria deserta». Un’ironica dichiarazione di poetica? Forse non solo, considerato che dopo il successo di Orgoglio e Pregiudizio La Austen aveva già scritto a Francis – era l’autunno 1813, spiegandogli un principio basilare della propria condotta: «Sapevo bene a cosa mi esponevo, a suo tempo, ma la verità è che il segreto si è così diffuso da essere ormai a malapena l’ombra di un segreto, cosicché credo che, quando e se il terzo (romanzo) apparirà, non ci proverò neanche a dire bugie. Cercherò piuttosto di trarne, invece che tutto il mistero, tutto il denaro che posso».

Chissà quante altre cose gli ha raccontato a voce, soprattutto nel periodo di formazione, tra il 1806 e il 1809, quando Francis viveva a casa con lei. Saranno state annotate? Non è dato sapere. Il problema del manoscritto, infatti, è che è in buona parte illeggibile, a causa del deterioramento della carta, delle macchie e della mano malferma dell’ammiraglio, i cui ultimi anni vennero tormentati dall’artrite. Qualche pagina delle 78 di cui è composto è stata letta e pubblicata, ma la versione integrale è ancora un enigma irrisolto: tanto che la Jane Austen’s House ha lanciato un appello chiamando a raccolta volontari disposti a cimentarsi nell’impresa (è stato un successo immediato, le iscrizioni sono già chiuse).

Forse ci riusciranno. Va detto però che potrebbe finire anche come in Northanger Abbey, lo strepitoso romanzo finto gotico scritto nel 1803 ma pubblicato postumo: dove una fanciulla amante dei misteri quasi impazzisce per un fascio di fogli manoscritti trovati nella casa un po’ spettrale, un’antica abbazia, del suo innamorato. Immagina che alludano a torvi delitti, deduce, sospetta, interpreta, per scoprire alla fine che si tratta di conti delle lavandaia. Che la grande Jane volesse già allora metterci in guardia?

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