Certamente non è esagerato dire che due dei concetti meno compresi della Torà sono quelli della tumà e della taharà. Comunemente tradotti come ‘impuro’ e ‘puro’, tumà e taharà provocano di solito reazioni negative. Si può dire che in fondo queste obiezioni sorgono da un'incomprensione fondamentale. Infatti, tumà e taharà sono, prima di tutto, concetti spirituali e non fisici; non devono essere assolutamente confusi con i tipi di purezza ed impurezza recepiti dalla mente umana, ad esempio disagio fisico, sporcizia ecc.

Tali leggi appartengono alla categoria dei comandamenti per i quali non si forniscono motivi, i chukìm, poiché questi sono sovra razionali. Ed è proprio perché sono di un così alto livello spirituale, al di là della comprensione dell'intelletto, che coinvolgono una parte molto elevata dell'anima che trascende completamente la ragione.

Sebbene la mente umana non possa comprendere questi decreti Divini con la logica (come risulta evidente dalla grossolana incomprensione degli stessi, così prevalente al giorno d'oggi), possiamo, almeno, tentare di comprenderli spiritualmente e cercarne il significato e le motivazioni interiori.

Gli insegnamenti della chassidut spiegano che, nella sua essenza, tumà, può essere definita come ‘assenza di kedushà’ (santità). Kedushà è chiamata vita, vitalità: essa è unita ed emana dalla Fonte di tutta la vita, il Creatore. Israel, per esempio, è chiamato chai, vivente; “Mentre voi, che rimaneste attaccati al Signore vostro D-o, siete ancora oggi tutti vivi” (Deut. 4:4). Secondo la chassidut per connettersi a D-o è necessario avere bittùl; annullare, per così dire, la nostra esistenza al volere di D-o. Dall’altra parte, ciò che è distante o separato dalla Sua Fonte è chiamato ‘morte, impurezza’. Secondo con la legge ebraica, la morte è la causa principale di tumà; la tumà più grave proviene infatti dal contatto con un cadavere.

Di conseguenza, le forze del male vengono chiamate, nella terminologia chassidica, sitrà achrà, ovvero, ‘l'altro lato’ poiché sono al di fuori, distanti dalla presenza di D-o e dalla santità. Essi esistono nella regione dove Egli è più occulto e meno sentito, dove c'è meno kedushà. In un luogo dove D-o è meno sentito, naturalmente esiste più spazio per l'opposizione a Lui. Santità è sinonimo di bittùl: non esiste una vera esistenza indipendente da D-o.

Quindi, se separiamo il termine ‘impuro’ dalla sua connotazione fisica e percepiamo il suo vero significato spirituale, vediamo che significa ‘un'assenza di santità’. Perché, di fatto, esiste la tumà? Che proposito può avere nella creazione dì D-o? “L'Onnipotente creò una cosa in opposizione ad un'altra”, leggiamo nel libro degli Ecclesiasti (7:14) e secondo l’interpretazione della chassidut, tutto nel campo della Kedushà ha una sua controparte nel profano.

Da un lato, queste regioni opposte sono create perché ci sia concesso il libero arbitrio nel nostro comportamento. Ad un livello più profondo, quando rigettiamo il male e sciegliamo il bene e, ancora di più, quando trasformiamo lo stesso male in bene, effettuiamo un'elevazione non solo in noi stessi, ma nel mondo intero, avvicinandolo alla perfezione ultima. Da qui, in un riscontro più profondo, il proposito finale della tumà, dall'altro lato, è che si attingano i livelli più elevati. L'occultamento è solo esterno; come dice il noto detto chassidico: “tutte le cadute hanno come fine una maggiore ascesa”. Allo stesso modo, tutti gli occultamenti di D-o, tutti gli apparenti ostacoli, hanno come finalità una maggiore rivelazione. Quando l'anima discende in questo mondo, per esempio, per entrare in un corpo materiale, essa soffre per questa caduta incomparabile alla sua esistenza precedente, puramente spirituale. Il fine di questa sua discesa, d'altra parte, è che l'aníma stessa possa ascendere ancora più in alto nella sua comprensione di D-o e attingere una gerarchia ancora più alta di quella avuta prima di scendere in questo mondo. Essa può raggiungere quest'elevazione solamente attraverso il veicolo del corpo e il servizio di D-o in questo mondo fisico ed inferiore. Così, da un lato esiste pìù occultamento ed impurità in questo basso mondo materiale; da un altro solamente qui attraverso le lotte materiali, l’anima può salire più in alto.

A partire da questa spiegazione potremo capire meglio alcuni dei diversi aspetti compresi nel concetto d'impurità nell'ebraismo.

Prendiamo come esempio il ciclo mensile della donna. Tutti i mesi, vi è in lei un potenziale di santità capace di attivare il sublime potere spirituale della creazione, che attinge un apice nel suo corpo, un’ascensione. Quando questo potenziale non è realizzato, tramite il ciclo mestruale, e la kedushà si allontana, i residui, ora senza alcuna vita, sono rimossi dal corpo e per questo, questa discesa è suscettibile di tumà, culminando in uno stato temporaneo d'impurità, niddà. È importante ricordare che è proprio a causa dello alto livello di Divinità coinvolto nel processo creativo, che questa tumà può avvenire.

Ma di qui, nuovamente questa discesa verso niddà è con il proposito di una ascesa maggiore, tramite la purificazione nel mikvé ed un nuovo cielo di ascensione ad un livello più alto di kedushà nel mese seguente. Il mikvé rende la persona capace di raggiungere un livello più alto, di ascendere ancor più del mese precedente.

Con questo significato, il Mikvé ed il ciclo mensile della donna possono essere paragonati allo Shabbat ed al cielo settimanale di ciascun ebreo. Infatti l'alternanza del giorno santo dello Shabbat con i giorni mondani (feriali) della settimana è lo stesso ciclo di ascesa e discesa - ricominciando ogni sette giorni. I sei giorni mondani portano allo Shabbat, durante il quale il mondo si eleva, si purifica e ascende alla sua Fonte. E ciascun ebreo riceve allora un’anima addizionale che torna a perdere quando lo Shabbat finisce ed egli deve nuovamente discendere alle lotte della settimana entrante. Ciò nonostante, queste stesse lotte, che noi ingaggiamo durante i sei giorni, purificano sia noi che il mondo, si elevano durante lo Shabbat e ci rendono capaci di salire ogni volta più in alto, per tutta la settimana, in costante progressione.

Prendiamo un altro ciclo. L'alternanza quotidiana di sonno e veglia. In accordo con la legge ebraica, ogni persona al risveglio, deve lavarsi le mani per rimuovere lo spirito d'impurezza che aderisce ad esse durante il sonno. Quando dormiamo, c'è un allontanamento della Kedushà dal corpo - in quanto l'anima, ascende alla sua Fonte, sopra. Nuovamente, questo processo di riabbassamento e ricaduta naturale permette che l'impurezza s'installi. Al risveglio, le nostre mani sono in stato di tumà, questo è certo - ma esse non lo sono di più. Lo stesso vale per la tumà durante l'abbassamento naturale del ciclo mensile della donna. È il risultato dì un certo allontanamento dalla Kedushà, ma non è uno stato di degradazione o d'inferiorità.

Il Rebbe di Lubavitch, offre una spiegazione ancor più profonda della natura interiore di questi abbassamenti e discese. Dal momento che, egli dice, la discesa è di fatto una preparazione necessaria all'ascensione ed il suo proposito finale è l'elevazione, la discesa non è nient'altro che una parte della stessa ascesa.

Esteriormente, ha l'apparenza di una discesa, ma, interiormente, è realmente un'aspetto dell'ascesa come nell'esempio anteriore: il sonno ci dà forza al fine di elevarci ancora di più il giorno seguente facendo parte di questa stessa elevazione, anche se esteriormente può sembrare uno stato d'inferiorità del corpo.

Pubblicato nel Lubavitch news N 17, Chabadroma.org in collaborazione con Chabad.it