Carlo Magno e Carlo V: alle radici dell'Europa

Carlo Magno e Carlo V: alle radici dell'Europa

Autore:
Franceschini, Luca
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Vai a "Europa: radici e memoria"



In questa nostra epoca in cui si vorrebbe che gli stati nazionali, per più di cinque secoli protagonisti delle vicende politiche, lasciassero il posto al nuovo concetto di comunità europea, molto si è discusso e si discute su quelle che dovrebbero essere le radici di tale comunità, i punti fermi ai quali si debba guardare, e sui quali debba poggiare la costruzione di questa unità. A tal proposito, molto si parla di radici cristiane dell'Europa, a sottolineare la fondamentale importanza dell'opera di evangelizzazione della Chiesa presso i popoli che abitavano le regioni ora divenute cardine del sistema politico diretto a Bruxelles, ma si predica anche attorno all'importanza della filosofia illuminista, meritevole, secondo alcuni, di aver introdotto per la prima volta nel mondo il concetto di democrazia, colpevole, secondo altri, di avere alimentato gli spaventosi massacri della Rivoluzione Francese. Altrove ci si ricorda sporadicamente dell'importante ruolo svolto dalla civiltà greca nell'introduzione di un certo livello di vita culturale e politico nel nostro continente, ma in generale, pare che la confusione regni sovrana, e che il senso della nostra identità, indipendentemente dalla natura effettiva della Costituzione Europea, rischi di poter andare smarrito.
Pur non essendo mia intenzione risolvere tale problema, mi sembra opportuno porre l'accento su due figure del passato, tanto citate quanto forse poco meditate, e che c'entrano non poco con questo incessante e incerto dibattito: sto parlando di Carlo Magno e Carlo V d'Asburgo.
La grandezza di entrambi questi sovrani, protagonisti assoluti di due tempi ed epoche radicalmente diverse tra loro, risiede proprio nel medesimo ardore che li animò nel perseguire il medesimo progetto: dare unità politica e religiosa a territori diversi, abitati da popolazioni di lingua, cultura, e istituzioni completamente eterogenee.

Le invasioni barbariche del IV e V secolo dopo Cristo, con il loro carico di morte e distruzione, culminate con la caduta dell'impero romano d'occidente nel 476, avevano senza dubbio indotto nei contemporanei la profonda convinzione che la vita sulla terra fosse sul punto di spegnersi: un popolo che per centinaia d'anni aveva dominato su tutto il mondo conosciuto, portando a tutte le genti civiltà, benessere e valori condivisi, attraverso la creazione di un sistema di potere che pareva immutabile nella sua solidità, veniva ora lentamente spazzato via dalla storia.
Per la prima volta, ciò che era ritenuto immutabile crollava, sotto l'impeto di guerrieri misteriosi provenienti da terre ignote e lontane, la realtà si trasformava in una cupa tenebra, e, come scriveva efficacemente Vito Fumagalli nel suo L'alba del Medioevo: "Città antiche e villaggi decaduti, scomparsi, abbandonati, erano invasi dalla foresta e dagli animali selvatici. Le campagne erano disseminate di rovine di ponti, chiese, strade. Un mare di vegetazione senza anima viva. Sono ormai pochissimi gli uomini sulla terra e sempre più isolati, paurosi e aggressivi."
Fu per primo S. Benedetto che, prima da solo e poi in compagnia di amici disposti a seguirlo, mostrò al mondo che si poteva ancora vivere un'esperienza realmente umana e positiva, all'interno di una compagnia cristiana che successivamente si chiamerà "monastero", e che getterà le basi della ricostruzione negli anni e nei secoli a venire. Illuminato dalla bellezza dell'annuncio cristiano, ciò che rimaneva del vecchio impero romano riprese a vivere e non furono pochi i re e i capi barbari che si convertirono (alcuni più per opportunismo politico che per reale devozione) e iniziarono un rapporto fecondo con la Chiesa di Roma, cercando anche di ricostruire, attorno alla loro persona, quel sistema di governo al cui crollo avevano loro stessi contribuito, ma che riconoscevano in assoluto il migliore possibile.

Carlo Magno, re dei Franchi dal 771 all'814, fu senza dubbio colui che più di tutti riuscì a dare unità politica a quel nuovo mondo che già il cristianesimo aveva unito nei valori spirituali: di fronte ad un impero, quello bizantino, sempre più rinchiuso nella sua dimensione orientale, alle prese con l'iconoclastia e gli intrighi di corte che ad un certo punto portarono addirittura una donna (Irene) sul trono, cosa assolutamente inaccettabile alla Chiesa, il papa si vide necessitato a ricorrere ai Franchi, (stanziati già da un paio di secoli nella regione che da loro ha poi preso nome), per contrastare le mire espansionistiche dei Longobardi di re Desiderio: l'unzione col Sacro Crisma di Pipino il Breve segnò l'inizio di una nuova fase nella storia d'Europa, mentre il famoso assedio che suo figlio Carlo muoverà a Pavia, capitale del regno longobardo, costituirà il primo tassello della rinascita di un impero in occidente.
Sconfitti i Longobardi e annessi i domini di Desiderio al suo regno, Carlo si dà da fare nei territori del nord e dell'est Europa, abitati da paesi e popoli che mai neppure i romani avevano osato dominare, nel tentativo di perseguire un unico obiettivo: portare l'annuncio cristiano fino agli estremi confini del mondo.
La campagna militare contro i Sassoni divenne celebre per il grado di violenza raggiunto da entrambe le parti, con i massacri di prigionieri inermi in risposta agli eccidi di preti e monaci operati dai pagani, ma quando Vitichindo, ultimo valoroso capo sassone, decise di sottomettersi e di convertirsi, Carlo poté in pratica dirsi padrone dell'occidente.
Quando la notte di Natale dell'800, papa Leone III, nella Basilica di S. Pietro, pose sul capo al re franco il sottile filo d'oro destinato dapprima all'incoronazione dei soli sovrani bizantini, l'impero romano poteva finalmente dirsi rinato, anche se con una differenza fondamentale: Carlo, ora chiamato Magno, grande, regnava per Grazia di Dio, con un potere che gli veniva donato, che non veniva dalle sue sole forze, dalle sue sole capacità. Carlo era un imperatore cristiano, e garantiva così unità e legittimità politica al nuovo mondo reso possibile dall'opera dei monaci. Il Sacro Romano Impero era dunque una comunità di popoli tenuta insieme dalla bellezza del cristianesimo, di cui i supremi rappresentanti in terra erano il papa e l'imperatore, uniti nel perseguire il medesimo fine, seppur da due punti di vista differenti.
Anche geograficamente, inoltre, questa nuova incarnazione degli ideali universali di Roma prefigurava la moderna Europa: il suo cuore non era infatti più rappresentato dal Mediterraneo, da secoli ormai in mano agli Arabi, ma dalla zona della odierna Germania, dove si trovava Aquisgrana, da Carlo prescelta come sede della propria corte.
Per la prima volta rinasceva la cultura, ritornavano al lavoro gli intellettuali, e anche una certa organizzazione amministrativa venne portata avanti con grande tenacia.
Alla morte del sovrano, nell'814, e a seguito dell'usanza franca di dividere il territorio del regno tra vari figli, tutta questa costruzione decadde, ma, anche se probabilmente nessun altro riuscì a raggiungere la statura politica di Carlo Magno, la figura dell'imperatore rimase in occidente un punto di riferimento saldo e sicuro per tutta la cristianità, sebbene non sempre in perfetta coordinazione con quella del papa.

Poco più di settecento anni dopo, lo slancio universale del sovrano franco sembrò rivivere nell'opera di Carlo V d'Asburgo, figura che, giunta al potere più per fortunate coincidenze dinastiche e matrimoniali più che per effettivi meriti personali, arrivò comunque a rappresentare una delle figure più importanti per l'intera civiltà occidentale.
Nato a Gand nel 1500, da Filippo di Borgogna, figlio dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, e da Giovanna, figlia dei "re cattolici" spagnoli Ferdinando e Isabella, il giovane Asburgo fu senza dubbio favorito da questi straordinari legami famigliari, anche se, già re di Spagna, riuscì solo per un soffio a strappare a Francesco I di Francia il trono imperiale (che non era ereditario, come si potrebbe pensare, bensì legato alla conquista della maggioranza dei sette Principi Elettori tedeschi, conquista che di solito veniva effettuata a peso d'oro), e a farsi incoronare ad Aquisgrana, antica capitale carolingia, nel 1519.
Il mondo cristiano del quale Carlo si accingeva a prendere la direzione era notevolmente mutato dai tempi di Carlo Magno: il cristianesimo, un tempo straordinario collante sociale e ragione principale di ogni mossa umana, stava cominciando lentamente a perdere la sua posizione di centralità, lasciando progressivamente il posto a ideali laici e "secolari", per utilizzare una parola certamente anacronistica.
Da un lato la Riforma protestante, che per la prima volta nella storia sembrava seriamente interrogare gli uomini sulla legittimità del ruolo sociale della Chiesa, dall'altro le politiche ciniche e sprezzanti dei neonati stati nazionali (Inghilterra e Francia su tutti), andavano decisamente contro i progetti di un sovrano che regnava su popoli e genti diverse, di qua e al di là dell'oceano (le scoperte geografiche di Spagna e Portogallo avevano radicalmente modificato la percezione del mondo conosciuto).
Sarebbe forte in effetti la tentazione di vedere nel giovane Asburgo la figura fuori tempo dell'ultimo cavaliere, del principe cristiano, che in un'epoca in cui l'arte del governo cominciava a venire concepita fortemente slegata da un'ottica di fede (come del resto Machiavelli avrebbe di lì a poco sottolineato), si ostinava a perseguire i suoi progetti universalistici, di convivenza pacifica di tutte le genti sotto l'unica bandiera della religione cristiana.
Naturale dunque che questi suoi progetti venissero immediatamente ostacolati, sia nella sua Germania, ormai sempre più vicina ad una comunità di principati indipendenti, che nel resto d'Europa, soprattutto dalle mire espansioniste di Francesco I sullo stato di Milano.
C'era purtroppo di più: la minaccia dell'impero Ottomano era nel frattempo diventata insostenibile, ma mentre sempre di più cresceva il rischio che tutta l'Europa orientale, Vienna compresa, cadesse nelle mani di Solimano Il Magnifico, l'imperatore sembrava effettivamente l'unico a preoccuparsi di questo, con i principi tedeschi troppo occupati ad utilizzare il protestantesimo per aumentare la propria autonomia politica, e il papa (che secoli prima non aveva esitato a sollecitare l'intervento di un re "barbaro" pur di salvare la cristianità) in continuo contrasto con l'imperatore a causa dei domini italiani. A tutto questo bisogna aggiungere la politica spregiudicata di Francesco I, il quale, pur proclamandosi re cristiano, non esitò nel corso degli anni ad intrattenere pacifici rapporti con la corte turca, in funzione chiaramente antiasburgica, assecondato talora addirittura dai pontefici della famiglia Farnese, che, come si è detto, vedevano con preoccupazione la politica universale di Carlo scontrarsi con i propri interessi nei ducati di Parma e Piacenza
Nel voler dunque tracciare un bilancio, un giudizio riassuntivo della vita di questa figura così definitivamente sospesa tra due epoche, tra due mentalità, quale fattore dovremmo privilegiare? I suoi successi politici e militari (pochi, se non addirittura inesistenti) o la straordinaria dedizione con cui cercò in tutti i modi di far trionfare sul mondo la Pax Christiana? Non è una domanda semplice, soprattutto quando si pensi alla reale situazione mondiale nel 1555, anno in cui il potente sovrano, ormai esausto e stravolto dalla gotta, decise la sua definitiva abdicazione (fatto già di per sé straordinario, questo guardarsi indietro e riconoscere la sconfitta, perché assolutamente senza precedenti). La sua battaglia contro il protestantesimo, iniziata già nel 1519, quando condannò Lutero a Worms, nella primissima Dieta da lui presieduta, si concluse, dopo numerosi dibattiti teologici e campagne militari, proprio in quell'anno, quando il sovrano, sconfitto dalla Lega Evangelica presso Innsbruck, e scampato per un soffio alla cattura personale, fu costretto a riconoscere ufficialmente la pluralità delle confessioni religiose (la Pace di Augusta, che tante conseguenze avrà nel futuro assetto dell'Europa), il che equivaleva ovviamente svuotare notevolmente di importanza il ruolo dell'imperatore, alle prese ora con sovrani territoriali autorizzati anche a seguire una politica estera autonoma.
Si trattava decisamente di un bel colpo per Carlo, che per tutta la vita aveva mirato ad una riconciliazione con quelli che considerava nonostante tutto suoi fratelli nella fede, una riconciliazione che nei suoi progetti avrebbe dovuto passare attraverso un grande Concilio Ecumenico di tutta la Chiesa, che, scontratosi ripetutamente contro i timori e le esitazioni dei vari pontefici, fu convocato a Trento da Paolo III nel 1545, in un momento in cui la frattura coi protestanti era ormai purtroppo troppo profonda perché vi fosse un altro modo oltre alla guerra per ricomporla.
Se questa era la situazione in Germania, all'esterno non conseguì certo risultati migliori: intraprese alcune spedizioni militari contro i Turchi, nel tentativo di indebolirne la potenza sul Mediterraneo, conseguì alcuni successi momentanei (come la conquista della città di Tunisi), ma fu, anche per mancanza di aiuti consistenti, costretto a indietreggiare pochi anni dopo, quando un'altra spedizione organizzata verso Algeri nel 1541, si concluse in un completo insuccesso, anche per la politica doppiogiochista di Enrico II di Francia, il quale, pur definitosi "re cristianissimo", non esitava a perseguire la politica paterna di intrattenere ottimi rapporti con Istanbul, il tutto nell'ottica di nuocere al suo eterno rivale.
Una vita di battaglie perdute dunque, illuminata solo a tratti da qualche breve successo militare, e da qualche effimero riconoscimento. Una vita interamente spesa per il suo impero, per la sua gente, per la costruzione di un mondo che fosse edificato sull'ideale cristiano, un progetto al cui fallimento si possono attribuire varie cause, da quelle puramente economiche (più volte egli dovette interrompere campagne militari dall'esito promettente per mancanza di sostegno finanziario) a quelle politiche (fu più volte tradito e ostacolato dai potenti della sua epoca, tra cui Maurizio di Sassonia, uno dei suoi più fedeli sostenitori), tutte probabilmente riassumibili in una sola: il mondo stava cambiando, e per progetti come quello dell'Asburgo non c'era più alcuno spazio.
Una cosa, nonostante tutto, non gli si potrà mai togliere: la straordinaria e cristiana rassegnazione con la quale accettò la sconfitta, l'abdicazione, l'isolamento e la morte.
A dispetto di tutto quanto si scrive sul suo ritiro forzato nel monastero di Yuste, nell'Estremadura, esso non può che avere un unico significato: il desiderio dell'imperatore di approfondire il rapporto con quel Dio che sempre aveva cercato e pregato in ogni momento della sua vita, un abbandono di tutto ciò che poteva, ricchezze e potere, per andare ad abbracciare Colui che quelle ricchezze e quel potere gli aveva misericordiosamente concesso per più di quarant'anni.
Commovente, a tal proposito, il congedo del testamento politico lasciato al figlio Filippo (futuro sovrano di Spagna) nel 1543, poco prima di una sua partenza per la Germania: "Dovrei dirvi ancora molte cose, figlio mio. Ma ciò che dovrei dirVi ancora di importante è così oscuro e pieno di incertezze che non potrei darVi nessun preciso consiglio, dato che io stesso sono indeciso e vedo molte cose in confuso. E' anzi uno dei fini principali del mio viaggio quello di acquistare una chiara visione di ciò che dobbiamo fare. ManteneteVi secondo la Divina volontà e fate che ogni altra cosa in sé riposi, così come anch'io mi sforzo di assolvere il mio debito e affidarmi nelle mani di Colui, che voglia concederVi beatitudine, quando nel Suo servizio avrete compiuto i Vostri giorni."
Non si può non esprimere l'augurio che l'Europa che ci si appresta a costruire assomigli, almeno nello slancio ideale, a quella che questi due grandi della nostra storia hanno sognato nei loro rispettivi tempi.