Wild Things Run Fast - Joni Mitchell - recensione

"Wild Things Run Fast", come i cavalli che corrono imprigionati dentro il tubo catodico di un televisore nel dipinto che fa da copertina al primo lp in studio degli anni '80 della compositrice canadese. "Mingus" del '79 era pura roccia jazz con qualche venatura fusion, chiude definitivamente quel capitolo dell'opera di Joni che nei primi anni '80 rimane invece colpita dai suoni caraibici che iniziano a contaminare il rock Fm in modo sempre più evidente. Se ne infatua e l'idea per il nuovo corso è inseriore quella linfa gioiosa e sensualmente carica nelle sue canzoni per portare tutto su un livello fresco anche un poco più radio fiendly rispetto agli ultimi dischi. Joni, dopo essere stata colpita dalle capacità strumentali reggae-pop-jazz-rock dei Police, vuole incidere il nuovo disco con loro come backing band. Le nuove canzoni si prestano molto bene ad essere eseguite dal power trio inglese, ma nel 1981 la band di Copeland è dilaniata dai litigi interni e non coglie l'invito dii Joni Mitchell, un'opportunità unica che viene perduta per una imperdonabile incapacità di giudizio. Così un disco che poteva essere qualcosa di diverso, nuovo e stuzzicante nel fondere due mondi musicali, viene ugualmente messo insieme sfruttando altri session men di lusso come il vecchio amore John Guerin, la chitarra di Steve Lukather, la batteria di Vinnie Colaiuta, contributi vocali di Lionel Ritchie e James Taylor con il sugello di Waine Shorter al sax soprano. Al basso il nuovo amore Larry Klein con cui Joni condividerà la produzione dei dischi fino ai primi anni '90. Il risultato è un disco molto fresco, veloce e godibile. Molto accessibile vede nei pezzi ritmati come la title track e "Solid Love" i momenti più disipegnati ma a rimanere in mente, a far godere la mente, è la sinuosa apertura di "Chinese Cafe" che sfuma in una "Unchained Melody" struggente in cui la Mitchell ricorda a tutti la calda bellezza della sua voce.

Pubblicato nel 1982 è subito un successo e Joni riparte per un tour mondiale. Il decennio si apre molto bene ma l'episodio sucessivo, "Dog Eat Dog" del 1985, la porterà ad un uso troppo invadente dell'elettronica e il suono complessivo risulterà pesante e soffocato lontano dalla freschezza genuina di "Wild Things Run Fast".

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