Il titolo può ricordare la famosa bizona di Oronzo Canà, L'allenatore nel pallone. La trama, quelle vecchie barzellette che ci si raccontava da bambini: ci sono un'americana, una tedesca, un'inglese, una colombiana e una cinese.
Ma in Secret Team 355 c'è poco da ridere. La storia è di spionaggio, i risvolti, se vogliamo, addirittura drammatici. Non solo perché c'è il ballo il recupero di una cyber arma che potrebbe gettare il mondo in preda al caos e alla distruzione, ma anche per via le storie personali che molte delle protagoniste hanno o hanno avuto.
Bastano pochi minuti e una manciata d'inquadrature per capire che Secret Team 355 batte territori conosciuti e quindi rassicuranti, guardando a quella tradizione di action spionistico (che non si fa mancare riferimenti a Jason Bourne e James Bond, e perfino vaghe strizzate d'occhio a Mission: Impossible) in cui un gruppo di eroi d'azione devono far squadra per salvare il mondo, che il mondo da salvare lo girano (Washington, Parigi, Londra, Marocco, Shanghai, con tanto di scritte che spiegano dove siamo), e dove non si perde occasione per rimpiangere i bei tempi, quelli in cui il mondo da salvare era più chiaro e definito tra buoni e cattivi: i tempi della Guerra Fredda, o addirittura quelli della Guerra al terrorismo.
Ora, dice il personaggio di Jessica Chastain, che ricorda da vicino quello di Ava, tutto è più confuso, i nemici ineffabili e indefinibili come fantasmi.

Posizioni opinabili a parte (parlo di quella relativa alla war on terror), i legami con una solida tradizione di genere qui servono anche a portare avanti un disegno che non è eccessivo definire idologico, chiaro fin dalle premesse ma esplicitato verbalmente in maniera sempre più chiara man mano che la storia va avanti.
Perché se qui al posto dei soliti eroi d'azione ci sono solo delle eroine, non è mica un caso. E non è mica un caso se gli uomini del film sono buoni se stanno a casa a far da mangiare o a badare ai figli, oppure sono dei cattivoni traditori.
Non è un caso, nemmeno, se il personaggio di Jessica Chastain e quello di Diane Kruger, l'americana Mace e la tedesca Marie, che sono le due donne alpha del gruppo, le due lupe solitarie, sono condannate entrambe, oltre che a dover lavorare assieme, a soffrire per questi tradimenti e a superare la loro rivalità nel nome della sorellanza.
C'è da dire, di fronte a tutto questo, che per quanto sfacciato e manicheo, per quanto ideologicamente programmatico, il disegno femminista di Secret Team 355, che è anche un disegno fatto con mano abbastanza leggera e che non calca sulla questione politica in maniera politicamente pedante o insistita, non appesantisce la storia quanto poteva rischiare di fare, come accade in molti film dichiaratamente "manifesto".
E questo perché quello che il non eccelso Simon Kinberg ha diretto (e anche scritto con Theresa Rebeck) e prodotto con la stessa Chastain è un film così sfacciatamente di genere, così fieramente commericiale, così incardinato sull'azione e sull'intrattenimento, da possedere una leggerezza che batte ogni zavorra.
Poi, certo, di qui a dire che è un gran bel film ce ne passa: l'azione alla lunga perde un po' di efficacia e il tutto è vagamente lunghetto. E soprattutto dispiace vedere un gruppo di attrici capaci alle prese con ruoli e dinamiche così scontate e, nel complesso, bidimensionali.
Ma se tutto quello che vuoi fare la versione femminile dell'action maschile, invece di inventarti una strada personale, beh: il rischio è appunto quello di risultare figurine tanto quanto certi corrispettivi dell'altro sesso.