American Gods: Recensione della prima stagione

American Gods: Recensione della prima stagione

Tratta dall'omonimo romanzo di Neil Gaiman, la serie diretta da Bryan Fuller e Michael Green si piazza tra le migliori novità TV del 2017.

American Gods: Recensione della prima stagione
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Non è facile adattare un best seller sul piccolo o grande schermo: l'adattamento non può mai essere del tutto fedele all'originale perché ci sono elementi, ritmi e dialoghi che sulla carta funzionano meglio che in tv (e viceversa), quindi il rischio è quello di deludere i fan più esigenti. A volte poi il regista sceglie consapevolmente di discostarsi dalla trama del romanzo, magari per approfondire eventi e personaggi o ancora per eliminare ciò che ritiene superfluo.
Anche questa è un'operazione pericolosa che rischia ad attirare le ire di chi pretende un prodotto del tutto in linea con l'originale. Basti pensare a Game of Thrones, che dalla quinta stagione ha preso le distanze dalle vicende dei libri (in alcuni casi anticipandole, visto che la saga letteraria non è ancora finita), e così facendo ha perso una buona fetta di spettatori indignati per le decisioni degli sceneggiatori. Con American Gods, Bryan Fuller e Michael Green hanno deciso di rischiare, eppure questi primi otto episodi non solo non deludono le aspettative ma addirittura le superano, perfezionando l'universo mitologico creato da Neil Gaiman (che è anche produttore esecutivo della serie) fino a creare una tra le migliori novità televisive dell'anno.

Una storia che racchiude molteplici storie

Su Twitter, alla domanda di una fan che chiedeva se la storia continuerà a concentrarsi su Laura Moon o se Shadow diventerà il vero protagonista, Gaiman ha risposto che "è la storia di Shadow, ma ci sono tanti personaggi coinvolti, e anche le loro storie verranno raccontante".

E infatti il viaggio di Shadow Moon e Wednesday per gli Stati Uniti alla ricerca di vecchie divinità ormai dimenticate da assoldare per una guerra contro i nuovi, potenti dèi del mondo moderno è solo una delle tante storie presenti in American Gods, il cui unico vero difetto è forse quello di risultare inizialmente troppo criptico per i neofiti che, proprio come Shadow, in un primo momento potrebbero trovare le vicende sullo schermo di difficile comprensione. Che Fuller non voglia concentrarsi solo sulla storia di Shadow diventa evidente nel quarto episodio, nel quale abbiamo la prima vera deviazione rispetto al romanzo: l'intera puntata è infatti dedicata a Laura e alla sua relazione con il protagonista. Un personaggio apparentemente detestabile acquista così spessore e umanità, e l'interpretazione di Emily Browning contribuisce a rendere Laura uno dei personaggi meglio riusciti della stagione, complice anche il rapporto - del tutto assente nel romanzo - con Mad Sweeney (Pablo Schreiber), un altro personaggio che nel libro viene appena tratteggiato e al quale Fuller invece dedica molto più spazio. Con ottimi risultati, come dimostra il settimo episodio, incentrato proprio sul leprecauno.

Un vero e proprio Olimpo di personaggi

Ma in realtà tutti i personaggi di questa prima stagione sono ben delineati, e anche quelli che troviamo solo in un episodio - Chernobog (Peter Stormare), Ostara (Kristin Chenoweth) - sono così sapientemente caratterizzati da risultare a dir poco intriganti, tanto da far desiderare allo spettatore di incontrarli di nuovo e scoprire qualcosa di più su di loro. Del resto la serie si prende il suo tempo, e questa prima stagione sembra quasi un prologo più che una vera e propria messa in moto degli eventi.

Sempre su Twitter, un fan ha fatto notare a Gaiman che di questo passo "ci vorranno sei stagioni per coprire il libro", che conta circa 500 pagine, e lui ha risposto: "Lo dici come se fosse una cosa brutta". Nel romanzo in effetti gli eventi si susseguono velocemente, relegando ad esempio il fascino di Ostara e l'aura intimidatoria di Chernobog a poche pagine. Un limite quasi necessario, un po' per la portata degli eventi e un po' perché l'editore di Gaiman gli aveva imposto un limite di 150mila parole. Limite che lo ha obbligato a scartare alcune idee che ora ha potuto rivelare a Fuller e che verranno presumibilmente inserite nelle prossime stagioni.

Un cast azzeccato: le trasformazioni di Gillian Anderson

E se la sceneggiatura di per sé crea personaggi convincenti, sono gli attori a dar loro spessore e carica umana: Ian McShane ci regala un Wednesday carismatico e al tempo stesso criptico, Ricky Whittle si conferma il perfetto Shadow, cupo, confuso e incredulo. Ibis (Demore Barnes) e Jacquel (Chris Obi) sono misteriosi ma intriganti, e Anansi/Mr. Nancy (Orlando Jones) rapisce lo spettatore con i suoi racconti.

Ma anche i nuovi dèi hanno il loro fascino e su tutti spicca Gillian Anderson: vediamo la dea dei media in vesti sempre diverse, da Lucille Ball a David Bowie (da notare la maestria con cui gli sceneggiatori hanno inserito versi del Duca Bianco nel discorso di Media), da Marilyn Monroe a Judy Garland. Se i personaggi e le loro vicende inizialmente risultano criptici per chi non ha letto il romanzo, è anche vero che riescono comunque a irretire lo spettatore e a convincerlo a proseguire la visione per scoprire cosa stia davvero succedendo.

L'arrivo in America: storie di dèi o di immigrati?

American Gods è quindi come una matrioska narrativa, perché ogni storia ne contiene un'altra. E nel corso di questa prima stagione troviamo tanti brevi racconti sull'arrivo negli Stati Uniti di questa o quella divinità. Si parte da Odino e si prosegue con Anansi per arrivare a Gesù Cristo e Bilquis. Le storie degli dèi di Neil Gaiman sono prima di tutto storie di immigrati, e sono storie che oggi acquistano un valore quasi politico, anche se lui stesso in un'intervista a Vulture ha precisato di non aver avuto alcun intento rivoluzionario durante la stesura del romanzo. "Scrivere di servitù a contratto, della tratta degli schiavi o di un mercante musulmano gay che incontra un jinn che guida un taxi a New York (...) è giusto se stai parlando dell'America", ha detto Gaiman. " Poi all'improvviso è arrivato Trump e ora leggo articoli su Vanity Fair che dicono che ‘questo è lo show più politico che abbiate mai visto'. Immagino sia così, ma non è che ci siamo seduti e abbiamo detto ‘Siamo l'opposizione'. Abbiamo solo iniziato a raccontare la nostra fottuta storia e poi il mondo è cambiato".

E quindi non si può non riflettere di fronte all'agente cristiano che spara e uccide Gesù Cristo, mescolatosi tra alcuni messicani che cercavano di entrare illegalmente negli Stati Uniti, così come non si può restare indifferenti quando Anansi, invocato dalle preghiere disperate di un uomo ridotto in schiavitù su una nave negriera, illustra ai futuri schiavi il destino che attende gli uomini di colore in America in uno dei monologhi meglio riusciti della stagione. Le scene dell'arrivo nel Nuovo Continente sono intermezzi evocativi e di grande impatto narrativo, apparentemente di contorno alla trama principale ma essenziali per tratteggiare al meglio la portata della storia.

Una regia quasi onirica

A fare da cornice al mix di trama intrigante, personaggi convincenti e forte sceneggiatura c'è la regia visionaria di Fuller e Green, che riesce a mescolare stili di diversi che ben si adattano ai diversi toni del racconto. Dalla violenza esasperata e particolarmente scenografica del primo episodio al paesaggio a dir poco fiabesco che fa da sfondo all'abitazione di Ostara, tutto contribuisce a rendere ancora più suggestiva ogni scena.

La colonna sonora poi è un altro melting pot di generi musicali, partendo dalla musica folk - usata soprattutto durante le scene da road movie - fino ad arrivare al jazz, passando dai motivi che evocano le culture di provenienza dei personaggi protagonisti. Dopo questa prima stagione è il caso di dirlo: American Gods è tra le migliori nuove serie dell'anno. Starz l'ha già rinnovata per una seconda stagione e il pubblico non vede l'ora arrivino i nuovi episodi. Più che spettatori, Fuller e Green sembrano aver trovato dei veri e propri fedeli.

American Gods Il viaggio di Shadow Moon e Wednesday per gli Stati Uniti alla ricerca di vecchie divinità ormai dimenticate da assoldare per una guerra contro i nuovi, potenti dèi del mondo moderno è solo una delle tante storie presenti in American Gods, il cui unico vero difetto è forse quello di risultare inizialmente troppo criptico per i neofiti che, proprio come Shadow, in un primo momento potrebbero trovare le vicende sullo schermo di difficile comprensione. A fare da cornice al mix di trama intrigante, personaggi convincenti e forte sceneggiatura c’è la regia visionaria di Fuller e Green, che riesce a mescolare stili diversi che ben si adattano ai diversi toni del racconto.

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