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«RAINBOW - Kesha» la recensione di Rockol

Kesha e il suo canto della rinascita: la recensione del nuovo album

La cantante statunitense torna alla musica dopo la battaglia legale contro il suo produttore. E lo fa con un album bello incazzato, che guarda al country e al rock'n'roll: ci sono anche gli Eagles of Death Metal e Dolly Parton.

Recensione del 11 ago 2017 a cura di Mattia Marzi

Voto 8/10

La recensione

La trama costruita intorno al nuovo album di Kesha è una di quelle che meglio si prestano ad essere raccontate (e anche una di quelle più gettonate): quella della rinascita. Personale, ma anche artistica. I fatti sono noti: nell'ottobre del 2014 la cantante statunitense, salita alla ribalta nel 2009 grazie al singolo "Tik tok", fece causa al suo produttore, Dr. Luke, accusandolo di aver abusato di lei sessualmente e psicologicamente: con la causa intentata contro Dr. Luke, Kesha cercava di liberarsi dal contratto che dal 2005 la legava alla Kemosabe (etichetta fondata dallo stesso Dr. Luke), ma le cose non andarono esattamente come la cantante sperava che andassero.


I giudici respinsero la richiesta della cantante di recidere il contratto e i successivi ricorsi alla sentenza non portarono a nulla: Kesha, inutile dirlo, è uscita dalla vicenda letteralmente distrutta, sia dal punto di vista artistico (la causa contro Dr. Luke l'ha tenuta lontana dalla musica per cinque lunghissimi anni) che dal punto di vista psicologico. E come artista del roster della Kemosabe di Dr. Luke pubblica ora questo nuovo album in studio, che arriva a distanza di cinque anni dal precedente e che racconta appunto la sua voglia di rivalsa, la sua rinascita.

A costo di sembrare cinico: se non fosse stato per la battaglia legale con Dr. Luke, ora non staremmo qui a parlare di Kesha e del suo nuovo disco. Ammettiamolo, dai, che nella percezione comune Kesha era ormai considerata una one-hit wonder, prima della vicenda Dr. Luke: nel 2009 "Tik tok" la portò in cima alle classifiche di mezzo mondo, trascinando con sé anche il disco di cui faceva parte, "Animal", che debuttò al primo posto della classifica americana vendendo in una sola settimana più di 150.000 copie (e nel Regno Unito si spinse fino alla posizione numero 8). Le successive mosse della cantante, però, non furono azzeccatissime. E "Warrior", l'album del 2012, fu un mezzo flop: negli Stati Uniti non si spinse oltre la sesta posizione (vendendo "solo" 85.000 copie nella prima settimana, praticamente la metà di "Animal"), mentre nel Regno Unito non riuscì a spingersi oltre la posizione numero 60. Anche i singoli estratti dal secondo disco non riuscirono a bissare i successi di quelli estratti da "Animal", nonostante le buone performance di "Die young" nelle classifiche mondiali.

Il ritorno di Kesha alla musica è stato piuttosto lento e questo nuovo album (che è finito in rete due giorni prima dell'uscita ufficiale, a causa di un leak) è solamente il tassello finale di un lungo percorso (nel 2013 era stato annunciato un album realizzato dalla cantante insieme ai Flaming Lips, ma quel disco non vide mai la luce a causa della battaglia in tribunale): prima l'apparizione a sorpresa sul palco del Coachella (aprile 2016), poi il singolo con Zedd ("True colors") e la sua partecipazione al Dylan Fest (maggio 2016), dunque un tour negli Stati Uniti che l'ha vista riarrangiare le sue canzoni in uno stile diverso, molto più country e rock'n'roll e molto meno pop (luglio-ottobre 2016).


Kesha ha cominciato a scrivere le nuove canzoni nella clinica di rehab nella quale fu ricoverata nel gennaio del 2014 e ha continuato a scrivere fino allo scorso autunno. Tutte le tracce portano la sua firma e scrivere, dice lei, è stato un modo per sfogarsi, per trasformare la negatività in qualcosa di positivo, esorcizzare i demoni interiori: "Questo disco mi ha salvato la vita", racconta ora la cantante, che per molto tempo ha creduto che non sarebbe mai più tornata a fare musica.
Il titolo, "Rainbow" ("Arcobaleno"), non serve spiegarlo, allude al fatto che ora Kesha si sente serena, come un cielo dopo una brutta tempesta: lei lo definisce un disco nato di pancia, la sua riemersione dalla tristezza e dalla solitudine, un album sulla fragilità, che racconta la fragilità. Non voleva più essere prigioniera del passato: "No more monsters, I can breathe again", "Non ci sono più mostri, posso tornare a respirare", canta ora in "Praying", il singolo che ha anticipato l'uscita del disco.

Tutto l'album, o quasi, è il racconto della sua rinascita, è come una lunga confessione che Kesha fa ai suoi fan. E anche l'ordine delle canzoni, la tracklist, sembra pensata come un discorso.
"Bastards", il brano che apre il disco, è un self-empowerment che mette in guardia i bulli: "Don't let the bastards get you down / Don't let the assholes wear you out / don't let the mean girls take the crown / don't let the scumbags screw you 'round".
"Woman" (con i fiati dei Dap-Kings, leggendaria band funk e soul americana) è una canzone sulla forza delle donne che trae spunto sia dall'esperienza personale della cantante sia dalle dichiarazioni sulle donne - non da gentiluomo - alle quali Donald Trump si lasciò andare nel 2005 durante una chiacchierata con il giornalista Billy Bush (il video dell'intervista è rispuntato lo scorso ottobre, quando è stato ripubblicato dal Washington Post a poche settimane dalle elezioni presidenziali degli States, scatenando non poche polemiche con al centro Trump).

"I don't need a man to be holding me too tight / I'm a motherfucking woman, baby, that's right / I'm just having fun with my ladies here tonight", canta Kesha.
"Rainbow" è l'ideale cuore del disco, la canzone più intima: "I used to live in the darkness / dress in black, act so heartless / but now I see that colors are everything", "Vivevo nell'oscurità, vestivo di nero e mi comportavo in modo insensibile. Ma adesso capisco che i colori sono tutto".
In "Boogie feet" (uno dei due pezzi con gli Eagles of Death Metal) dice che non ha bisogno di soldi e di sentirsi sexy per essere felice, non ha bisogno di guidare una Lamborghini: vuole solo ballare come una motherfucker.

"Rainbow", come dicevamo, esce per la Kemosabe di Dr. Luke, ma è solamente una formalità: nelle nuove canzoni non c'è traccia dell'ex mentore di Kesha. Tra i produttori che hanno affiancato la cantante durante le lavorazioni del disco, alternandosi in cabina di produzione, troviamo Ryan Lewis (sodale di Macklemore), Rick Nowels (Lana Del Rey, Stevie Nicks, Adele, John Legend), Ben Folds (che ha messo mano all'arrangiamento orchestrale di "Praying") e Ricky Reed (Maroon 5, Meghan Trainor).

L'aspetto più interessante del disco, al di là della storia della rinascita, riguarda il suono. Kesha voleva costruirsi una nuova identità, un nuovo profilo: il tour negli States che lo scorso anno l'ha vista riproporsi al pubblico con suoni più country e rock è stata la vera anticipazione di questo disco, che si muove proprio intorno quei territori lì. La cantante dice che "Rainbow"è stato ispirato dalle sue vere influenze musicali e ha citato Iggy Pop, T. Rex, Dolly Parton (che compare anche in una canzone del disco, "Old flames"), Beatles e Rolling Stones: "Penso che questo album suoni in maniera simile alla musica che io ascolto piuttosto che a quello che ho fatto in passato", ha detto Kesha.

Ora: scomodare nomi come quelli che la cantante ha citato è un tantino esagerato.

Diciamo piuttosto che nei suoni della maggior parte delle canzoni contenute in "Rainbow" si sente una vaga ispirazione country e rock'n'roll: "Bastards", "Finding you" e "Godzilla" sono tre ballate folk, tutte chitarra e voce; il duetto con Dolly Parton in "Old flames (Can't hold a candle to you)" è un affascinante valzer country; "Let 'em talk" e "Boogie feet", le due canzoni registrate insieme agli Eagles of Death Metal, sono due pezzoni rock, con una batteria incalzante e chitarroni pesanti sullo sfondo; "Woman" è la parentesi soul dell'album, impreziosita dai fiati dei Dap-Kings); in "Boots" un riff di chitarra western si sposa con ritmi più pop e dance (avete presente "Be mine" degli Ofenbach? Il risultato è più o meno quello).

È un disco bello incazzato, il nuovo di Kesha, soprattutto nello spirito, nel mood: è un canto di rabbia. Sincero, onesto, crudo e spigoloso: ai suoni artificiosi e manipolati dell'elettropop ha preferito quelli più genuini e sporchi del folk, del country e del rock.
Il lavoro di riposizionamento per ora sembra buono: bisognerà vedere se i numeri saranno dalla sua parte e se la sua carriera proseguirà dritta senza subire altre deviazioni. Lei, ne siamo sicuri, ce la metterà tutta: "Do your worst, 'cause nothing's gonna stop me now", canta in "Let 'em talk". "Fai pure del tuo peggio, tanto adesso non c'è nulla che mi possa fermare".
"Non c'è nulla che mi possa fermare".

TRACKLIST

01. Bastards (03:51)
02. Let 'Em Talk (03:05)
03. Woman (03:16)
04. Hymn (03:25)
05. Praying (03:50)
06. Learn To Let Go (03:37)
07. Finding You (02:52)
08. Rainbow (03:38)
09. Hunt You Down (03:17)
10. Boogie Feet (02:53)
11. Boots (03:03)
13. Godzilla (02:08)
14. Spaceship (05:15)
Scheda artista:   
Kesha

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