Intervista a Bradley Cooper sul suo nuovo fim, Maestro - la Repubblica

Il Venerdì

Bradley Cooper: il mio Bernstein, genio di musica e fluidità

Bradley Cooper nei panni di Leonard Bernstein. (Jason McDonald/Netflix © 2023)

 

Bradley Cooper nei panni di Leonard Bernstein. (Jason McDonald/Netflix © 2023)

 

 

L’attore diventa il leggendario direttore d’orchestra e compositore per Maestro, il suo secondo film da regista realizzato con una benedizione speciale. Quella di Steven Spielberg. Intervista

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Los Angeles. Quando Bradley Cooper ha contattato i figli di Leonard Bernstein per spiegare il progetto di un film sulla vita del loro famoso padre, Alexander, Nina e Jamie hanno capito subito di aver finalmente trovato la voce, il regista giusto, per catturare la vera essenza della leggenda Bernstein. «Il focus della storia che voleva raccontare Bradley non era solo su mio padre, ma anche su mia madre Felicia», dice Jamie, autrice del memoir Famous Father Girl: A Memoir of Growing Up Bernstein, alla premiere di Maestro a Los Angeles.

I figli, strenui custodi dell’eredità familiare, hanno concesso a Cooper carta bianca per l’utilizzo dell’intero catalogo compositivo di Bernstein, missione fallita da Jake Gyllenhaal, anche lui interessato a un progetto sul compositore/direttore d’orchestra americano. «Felicissimi che non fosse un biopic, e sopratutto abbiamo apprezzato che Bradley sia stato curioso di conoscere la loro relazione coniugale» continua Jamie. «Era molto importante che la gente capisse l’amore profondo che avevano l’uno per l’altra, quanto fosse vero e duraturo, anche se molto complicato. Bradley ha voluto omaggiare mio padre realizzando un progetto coraggioso, insolito e impegnativo, completamente diverso da quello che avevamo immaginato».

Il film, dal 20 dicembre su Netflix, segue Bernstein dal suo debutto alla Carnegie Hall fino agli anni finali della sua vita. Cooper si stava preparando al ruolo da sei anni, curando anche musiche, location e casting: alla fine per il ruolo della moglie di Bernstein, Felicia Montealegre, ha scelto Carey Mulligan. «Ha fatto un lavoro straordinario», continua Jamie, «per assomigliare a mio padre e dirigere come lui. Ha capito esattamente come rappresentare la sua energia, pur non avendolo mai incontrato, è stato capace di catturare il suo carisma e cogliere molti dettagli. Ci è piaciuto anche il fatto che abbia approfondito tutte le sfaccettature di mio padre come artista. Nel film ci sono scene di prove, di insegnamento, di composizione, di direzione d’orchestra e anche straordinarie sequenze di pianoforte»: Cooper ha imparato a suonarlo durante la preparazione del suo primo film da regista, il remake di A Star is Born con Lady Gaga, sette candidature agli Oscar e un premio vinto per la migliore canzone originale, Shallow. Maestro è la sua seconda regia.

Cooper, dopo aver incassato la fiducia della famiglia Bernstein, come è andato avanti nella preparazione?
«Ho iniziato a fare milioni di domande sul rapporto dei figli con il padre, tutti avevano ricordi diversi, mi hanno insegnato alcuni suoi gesti molto personali, tipo quando Lenny metteva la mano sul fianco mentre dirigeva. Mi hanno dato accesso a tutti gli archivi, a tutta la sua musica. Ho trascorso molto tempo nella casa di famiglia a Fairfield, nel Connecticut, anche con Carey, per immergerci completamente nei personaggi. Ho ammirato con riverenza il suo pianoforte Steinway, ho potuto esaminare i suoi oggetti, persino indossare alcuni capi del suo guardaroba, tra cui un maglione, un accappatoio, e una gellaba, tipica tunica marocchina, che usava nei momenti di relax. Meraviglioso».

Come ha imparato a dirigere l’orchestra?
«Guardando filmati d’archivio, oltre che assistendo a decine di prove e concerti tra New York, Los Angeles, Philadelphia, Berlino e Tanglewood, la sede estiva della Boston Symphony Orchestra nel Massachusetts. Ho fatto amicizia con direttori incredibili. Come Michael Tilson Thomas, un prediletto di Bernstein, alla guida della San Francisco Symphony Orchestra, fondatore e direttore artistico della New World Symphony. O come Gustavo Dudamel, che dirige la Los Angeles Philharmonic, e Yannick Nézet-Séguin, direttore musicale della Metropolitan Opera e dell’Orchestra di Philadelphia, anche consulente del film. Ho visitato gli archivi dell’orchestra per esaminare le partiture e le bacchette che usava. Sono anche andato a porre una pietra sulla sua tomba, come vuole il rito ebraico, al cimitero di Green-Wood a Brooklyn. Di tutto e di più...».

Come nasce questa passione per la musica classica?
«Dai cartoni animati, guardando Tom & Jerry e Bugs Bunny. Quando avevo otto anni ho chiesto una bacchetta a Babbo Natale, ero ossessionato, dirigevo qualsiasi pezzo che ascoltavo, ho messo in pratica una regola che dice che per eccellere in un’attività servono 10 mila ore!».

Originariamente Steven Spielberg doveva dirigere il film. Poi è rimasto come produttore e ha scelto lei.
«Steven è un appassionato di musica classica, ed era in possesso dei diritti del libro di Jamie. Un giorno l’ho chiamato e gli ho chiesto se potevo aiutarlo a scrivere la sceneggiatura, spiegandogli che volevo descrivere la storia di un matrimonio, non fare una biografia. Poi dopo aver visto A Star is Born è rimasto così colpito dal film che mi ha chiesto se volevo fare anche la regia. E così è passato al ruolo di produttore affiancando Martin Scorsese».

Come ha scelto i momenti salienti da raccontare?
«Ho collaborato alla sceneggiatura con Josh Singer - premio Oscar per Il caso Spotlight e autore anche di The Post e First Man – che era già parte del progetto e ha condotto una ricerca impressionante. Abbiamo scelto i momenti più significativi del matrimonio di Bernstein, la relazione con la moglie era molto aperta, così poco ortodossa rispetto a quella che hanno la maggior parte delle persone, la fluidità sessuale di Lenny non è mai stata nascosta. Erano misteriosi, complessi, sfrenati, profondi e sapevano davvero ridere insieme e divertirsi».

Chi era Leonard Bernstein?
«Leonard era una persona riflessiva, un vero uomo rinascimentale. Diceva che una vita senza la musica sarebbe stata impensabile. Diceva: “Non voglio passare la mia vita come Toscanini, a studiare e ristudiare gli stessi cinquanta pezzi di musica, mi annoierei a morte. Voglio dirigere, suonare il pianoforte, scrivere per Hollywood, continuare a cercare di essere, nel senso pieno di questa meravigliosa parola, un musicista. Voglio anche insegnare, scrivere libri e poesie. Credo di essere in grado di rendere giustizia a diverse forme d’arte”. Era geniale, ecco chi era».

Gli aspetti più impegnativi di questa esperienza?
«Ho lavorato duro per anni. Ho iniziato sulla voce di Lenny, con Tim Monich, un incredibile dialect coach che conosco dai tempi di American Sniper. Praticamente si è trasferito a casa mia a New York, dove abbiamo lavorato cinque giorni a settimana per quattro anni. In parallelo sperimentavo da anni con il truccatore Kazuhiro Tsuji facendo milioni di prove per perfezionare il look di Lenny, per avere protesi perfette, compreso il famoso naso, che molti hanno criticato. Ma era necessario, altrimenti non sarei stato credibile. Nella fase finale avevo cinque ore di trucco prima di iniziare a girare, un lavoro estenuante. E poi ovviamente dirigere un’orchestra, praticamente la cosa più difficile che esista al mondo, non imitandolo, ma capendo che cosa stavo facendo».

I registi da cui ha imparato di più?
«Non finirò mai di ringraziare Guillermo del Toro e Paul Thomas Anderson, soprattutto perché mi hanno permesso di partecipare alla preparazione dei film su cui ho lavorato con loro, La fiera delle illusioni – Nightmare Alley e Licorice Pizza – ho passato settimane insieme a loro a studiare obiettivi e telecamere, compreso la gru telescopica Technocrane, che ho usato parecchio in Maestro. Grazie a loro ho imparato tutto quello che potevo e continuo a migliorare come regista».

Sul Venerdì del 15 dicembre 2023

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