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The zero theorem - Tutto è vanità - Film (2013) | il Davinotti
L'informatico Qohen, misantropo e ossessionato dall'attesa di una misteriosa chiamata, riceve l'incarico di risolvere il teorema zero, dimostrando così l'assurdità dell'universo... Non si può rimproverare a Gilliam di restare fedele alle proprie tematiche, ma piuttosto l'incapacità di elaborarle in un racconto, come avveniva nel capolavoro distopico Brazil: qui ci sono al solito personaggi bizzarri e ambientazioni suggestive che giustificano la visione, ma, come accade spesso nelle sue ultime opere, sembrano relitti di un naufragio, frattaglie di un immaginario oltre il limite di scadenza.
MEMORABILE: I vestiti mimetici del direttore generale; la tuta rossa sensoriale indossata da Qohen; il sole palloso
Gilliam sguaina una sorta di Brazil 2.0, ma con la Harmony che da flou secondario finisce per allagare tutto, incluso un ending solo ipocritamente unhappy. Lo sfarzo scenografico ai limiti del kitsch, l’illuminotecnica da Cocoricò dell’anno 3000, il decor gigerian-escheriano (Dune anyone?), il fenomeno da baroccone subordinato al moralistico predicozzo verso un disumanizzato e anedonico mondo post-virtuale ridotto a bytes da immagazzinare compulsivamente non sopperisce a una trama che non travalica lo slogan, a un mordente ritmico-contenutistico che diserta cuore e interesse. The Zero-Movie.
Nonostante le basse aspettative, il film è profondamente deludente a causa della sua banalità. Ciò per colpa di un soggetto stiracchiatissimo e di un impianto visivo ormai anch'esso logoro e già visto. E quando in Gilliam manca anche la visionarietà, le cose marcano molto male. Finale ipocrita e da schiaffi. Resta un mistero cosa sia il teorema zero del titolo (e per la verità anche il sottotitolo italiano è del tutto gratuito). Waltz appare sottotono e sempre con la stessa espressione; decisamente meglio la Thierry.
Non manca di qualche ragione di interesse, questo Teorema Zero. L'alienazione, assieme alle domande fondamentali, è ben dipinta sul volto di un Waltz sempre in gamba e ormai alla stregua del prezzemolo. I personaggi che gli ruotano attorno, a enfatizzare il suo perenne sense of wonder (che dovrebbe essere quello dello spettatore), sono figure ipercolorate di cartapesta, prive di carisma e di incisività. Sorte analoga tocca alle location: è la sua dimora a rivestire il ruolo chiave. E così i propositi di uno scifi che puntava all'eterno si spengono assieme al Sole di un tramonto finto.
Classico esempio di film che piace soltanto a chi ha vissuto un'esperienza (più o meno) simile a quella del protagonista. O meglio, a chi si è trovato inconsciamente in una situazione di quel tipo! Ovviamente manca un po' di originalità, però questo fa sì che ci si abitui presto al mood del film... avendo già avuto tutti a che fare con "roba" del genere! In conclusione, il film può piacere a chi ha voglia di addentrarsi in un'esperienza totale e cervellotica quanto basta per capire, un'altra volta, il senso della vita (se mai ce ne fosse uno)!
MEMORABILE: Mélanie Thierry vestita da infermiera sexy; La pizza con tanto di suoneria all'apertura della scatola; La distesa di cartelli di divieto al parchetto.
Indubbiamente abile Terry Gilliam a donare al film una potenza visiva mostruosa; stupefacente il futuro ricostruito in una miriade di dettagli, esplosione di colori, esaltazione di abitudini note. Molto materiale del film ricorda molto da vicino The Black Mirror, ed è difficile credere che il regista non ne abbia tratto ispirazione. Magnifico Waltz nel ruolo del protagonista. Il film sembra voler dare tanti messaggi, dai temi più disparati e forse un difetto sta proprio nell'intrigare con tanti spunti, ma che rimangono a metà.
MEMORABILE: Il boss e le mimetizzazioni; La tuta da sesso virtuale; La terapeuta virtuale.
Il soggetto è interessantissimo ma la narrazione si perde, nel lasciare tutto sfocato e nel giocare con la confusione; la fluidità narrativa ne risente e oltretutto il film è supportato da una inspiegabile fotografia quasi televisiva. L'estro creativo di Gilliam si nota, ma non regge il confronto con altre sue pellicole che trattano questo tema, evidentemente a lui caro. Il film è pure piacevole, il cast è di alto livello, ma l'impressione è a volte di incompletezza mista a frettolosità. Ispirato, ma sovraccarico e discontinuo.
I temi sono quelli degli immortali Brazil e L'esercito delle 12 scimmie ma gli anni passano e Gilliam perde un po' la capacità di inserire le sue geniali intuizioni irrazionali in una struttura razionale. Eppure la sua incredibile visionarietà qua e là morde ancora (Qolet-feto risucchiato dal vortice) nonché colpisce ancora il suo disperato pessimismo: la solitudine dell'uomo di fronte alla nullità del tutto, l'illusoria ricerca di senso che si conclude in nulla. Perciò gli si possono perdonare i molti difetti. Waltz assolutamente perfetto.
MEMORABILE: Le montagne dei numeri che collassano; Il costume da elfo e la navigazione nei siti erotici; L'illusione finale del Sole finto.
Affascinante sulla carta per il tema trattato, il film di Terry Gillian delude nella realizzazione, forse perchè realizzato in fretta e con un budget limitato. L’impianto generale, che mostra qualche bella intuizione visiva, viene sminuito da una fotografia televisiva e la prova del cast (Waltz in particolare, un po' meno la Thierry) è decisamente sottotono. L’impressione generale è quella di una frammentarietà eccessiva e della mancanza di una visione organica.
Terry Gilliam gira una sorta di nuova versione di Brazil ambientando la storia in una realtà distopica molto simile. The Zero Theorem è un film sulla solitudine di un uomo che si isola dal resto del mondo in attesa di una telefonata e che ha come unico contatto con la realtà un ragazzino e una ragazza che lavora in una sexy chat. I temi affrontati sono tremendamente attuali e mostrano il declino di un'umanità sempre più connessa col mondo virtuale che col prossimo. Lontano dall'essere perfetto, ma comunque un buon film.
Scienziato ha come obiettivo lo scoprire lo scopo dell'esistenza e di come essa regola i nostri destini. Terry Gilliam dirige per l'ennesima volta un film visionario, che d'impatto non convince granché ma che col passare dei minuti diventa sempre più Interessante e coinvolgente. Non siamo ai livelli di Brazil, ma sicuramente è un buon film. Ottimo il cast, Waltz una spanna sopra gli altri.
Eccentrico e strambo nella messa in scena, palesa un modo del tutto personale di esprimere i concetti, qualche volta anche con esito. Purtroppo i limiti sono altri e risiedono nell’incapacità di dare un seguito all’ambizione di voler esprimere concetti precisi sul senso dell’esistenza. Il filo logico viene spaccato a più riprese con l’aggravante di una mole dialogica sfiancante e disorientante. Prende maggiormente forma nella seconda parte, nel momento in cui serra le fila e lascia intendere in quale direzione sta guardando, ma non basta a soddisfare.
Un visionario futuro distopico è la spiazzante trasfigurazione del libro di Qohèlet, alluso nel nome del protagonista Qohen Leth, che vive in una chiesa sconsacrata in attesa che arrivi la Voce a svelare il senso della vita. La vanitas biblica si rifrange nell’universo che circonda l’eroe, paradigma dell’individuo che anela la verità ma sta nell’isolamento o nei paradisi artificiali. Film folle e cupo, ricco di tracce simboliche, allegoriche o allusive del sottotesto teologico, e al contempo squinternato come la realtà rimasta bergmanianamente senza Dio.
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Probabilmente son riusciti a farlo uscire nei Cinema solo dopo aver venduto i diritti per la pubblicazione dei "cosiddetti" dischi ottici. Oppure, al contrario, è servito a promuoverne il lancio nei negozi! (?)
Comunque, per motivi ludici, è consigliata la visione sullo schermo panoramico..sempre se si ha voglia di addentrarsi nella vita di Q!
Non quello di 007, eh! ;)
Curiosamente, come sottotitolo italiano al film, sarebbe stato più appropriato metterli un "Il senso della vita"! Come il film dei Monty Python a cui ha partecipato lo stesso Terry Gilliam..
Il "Tutto è vanità" può affiorare a un certo punto del film..anche se, piuttosto, per quel frammento ci sarebbe stato meglio un "Non te lo puoi permettere!", mah?! O.o
P.S.: Mai capito il senso dei sottotitoli in Italiano (dati al titolo) che, a volte, sviano pure il senso che uno può dare al film!
DiscussioneZender • 14/07/16 08:37 Capo scrivano - 47759 interventi
Secondo me i sottotitoli li mettono perché a volte il titolo Usa rischia di non far capire una mazza a chi non conosce l'inglese, quindi gli danno un aiutino per aiutare a capire qualcosa in più, un aggancio per l'italiano...
No-no, d'accordo..quando servono va anche bene! Ma, in generale, a che pro?! Soprattutto quando, poi, il sotto-titolo suona come uno "slogan"!
Secondo me, sarebbe meglio non mettere nulla se (come in questo caso) il titolo originale è il nome di qualcosa che si rivela essere un significato appropriato alla situazione.
Se poi devi, a tutti costi, distogliere l'attenzione da quel che si racconta, allora non lo so..
P.S.: I peggiori, però, sono quelli che, a un certo punto della visione, ti fanno capire come va a finire il film! Grrr
P.P.S.: Se vuoi farti due risate, segui la rubrica TITOLI ITALIOTI su questo blog! ;)
Un grosso augurio che il buon Terry si possa riprendere presto.
DiscussioneRaremirko • 28/12/21 22:07 Call center Davinotti - 3862 interventi
Magari non un Gilliam in formissima, ma comunque sempre un film ispirato, con un suo fascino, dove forse ha pesato un pò troppo il limite del low budget (è, per stessa ammissione del regista, il film che gli è costato di meno in assoluto); ottimo cast in ruoli insoliti (la sexy Thierry, Damon, la Swinton, un non sfruttato Thewlis) c'è pure Stormare, mentre Waltz pelato non pare a momenti neanche lui), location distopica e futuristica, sempre presente la critica alla dipendenza da immagini e verso una società che è sempre più digitale ed immateriale (i nostri giorno odierni ci dicono molto a riguardo). Un film non da tutti capito e da alcuni sottovalutato.