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Annabelle: Recensione in Anteprima

Dopo il successo di The Conjuring – L’evocazione, Annabelle ci informa sulla genesi della misteriosa bambola. Svanito il mistero, però, resta l’esercizio di un film che vanifica quasi in toto le premesse del suo predecessore

pubblicato 2 Ottobre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 21:44

Lo scorso anno The Conjuring – L’evocazione ebbe il non indifferente merito di ristabilire l’ordine all’interno di un genere piuttosto inflazionato negli ultimi anni, ovvero quello della demonologia al cinema – tanto da poter essere annoverato tra gli horror più riusciti di quell’annata. Tutto qui? Ovviamente no, perché, magari sulle ali dell’entusiasmo per un traguardo forse insperato, si è deciso di battere il ferro finché era ancora caldo. Nasce così Annabelle, che è il prequel di quanto accaduto in The Conjuring, mettendoci a parte della genesi di questa inquietante bambola.

A luci accese la prima cosa che viene in mente è quanto segue: manca James Wan. Il che, al di là dell’apparente banalità, rappresenta una considerazione a suo modo essenziale. Già a suo tempo non mancammo di rilevare come la mano del regista in questione fosse non solo evidente, ma come avesse per giunta contribuito in maniera determinante al successo di quel progetto. Uno stile, quello di Wan, che alla luce di questo successivo capitolo ne esce ulteriormente rinvigorito, dato che Annabelle conferma le nostre impressioni senza possibilità di replica.

Siamo a cavallo tra i ’60 e i ’70, collocazione che desumiamo tranquillamente dai brani musicali ma soprattutto dai telegiornali che passano in TV, per lo più incentrati sul nascente fenomeno inerente al movimento degli hippie. Citazione non casuale, né soltanto funzionale a chiarire il periodo, poiché in qualche modo la traccia ritorna. E pure subito. John e Mia, una coppia di giovani sposini in attesa della loro prima figlia, vengono aggrediti durante la notte dalla figlia dei vicini, scomparsa da tempo ed improvvisamente tornata per uccidere i suoi, fiancheggiata nell’impresa dal compagno. Mia rischia di perdere la bambina, ma alla fine le cose vanno comunque per il verso giusto: lei e suo marito diventano madre e padre di una splendida creatura.

La prima parte riprende un po’ dei vecchi stilemi del cinema horror di quel determinato periodo, impostando il discorso a partire da un contesto decisamente ovattato, zona di passaggio da un’America tutta casa e chiesa (almeno in superficie) che aspetta solo di essere travolta a breve dagli eventi. Chiaro che si tratta per lo più di un appiglio, null’altro, perché un discorso di questo tipo sarebbe fuori tempo massimo; però c’è ed è in fondo piuttosto marcato per un motivo preciso, che per lo più va visto in prospettiva, visto che Annabelle può senz’altro essere considerato il secondo capitolo di una serie, finalità suggerita già dalla prima inquadratura che, non a caso, si sofferma proprio sull’inizio di un potenziale terzo episodio.

E tuttavia Leonetti, al quale si deve non solo la fotografia di The Conjuring ma anche quella (per restare in tema James Wan) di Insidious, riesce a costruire alcune scene notevoli. Quella del passeggino nel seminterrato è senz’altro la più potente, così come un’altra che si svolge però nella cameretta del neonato, giocata su una porta che si apre e socchiude all’interno di un’inquadratura fissa che gioca sui diversi piani. Come potete intuire, scene riuscite per via di un buon uso della tecnica, che in Annabelle, quantunque a tratti, non manca di certo. Ciò di cui si avverte maggiormente il bisogno, per esempio, è una sceneggiatura che sappia mantenere desta l’attenzione e che invece si limita ad uno sviluppo faticoso, lento.

E dire che Leonetti si guarda bene dall’abuso di momenti da «salto dalla sedia», amministrandoli in maniera parsimoniosa. Nonostante questo, tali situazioni rappresentano gli alti di un film con qualche basso di troppo. Giusto per tornare brevemente sul parallelo con The Conjuring, qui il mistero che si cela dietro la bambola è parte integrante della riuscita dell’opera, ciò che lascia col fiato sospeso al di là dei momenti in cui si emettono estemporanee urla strozzate. Annabelle parte invece con questa tara, che oseremmo definire genetica, ossia quella di “spiegarne” l’origine, il che è limitante a priori se non si ha un’idea precisa di come camuffare il principio di tutto. Ed infatti non tanto la prevedibilità quanto la pressoché totale assenza di mistero lascia ahinoi tendenzialmente indifferenti, perché a ‘sto giro ci viene fornito il come e il perché di quella bambola. Ora, qualcuno osserverà che, in considerazione del fatto che si tratti di una storia vera, approfondire l’argomento sia la naturale evoluzione del progetto. Ma il punto è: chi ha detto che bisognava approfondirlo? Sullo schermo, intendiamo. In questo modo poi. D’altronde la rete pullula di informazioni a tal riguardo, ché è un buon modo di sfogare qualsiasi tipo di curiosità.

Scelta, dunque, quella di sacrificare l’aura enigmatica, che inevitabilmente incide, informando ogni aspetto di un’operazione voluta per un motivo preciso e solo per quello. E torniamo all’inizio, dove abbiamo fatto notare che non alla necessità bensì ad un certo “entusiasmo” si deve il materializzarsi di un progetto grossomodo superfluo. Certo, malgrado tutto, qua e là è possibile scorgere alcuni motivi per vederlo in ogni caso un film come questo. Ma si tratta per lo più di ragioni che solo gli appassionati più ostinati troverebbero interessanti, perché con Annabelle si torna alla media dei film di genere che hanno di poco preceduto The Conjuring. La qual cosa è un’aggravante, perché è come aver fatto un passo avanti per poi farne due indietro.

Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 5

Annabelle (USA, 2014) di John R. Leonetti. Con Annabelle Wallis, Ward Horton, Alfre Woodard, Tony Amendola, Kerry O’Malley, Brian Howe, Eric Ladin, Michelle Romano, Gabriel Bateman, Shiloh Nelson, Tree O’Toole, Camden Singer, Richard Allan Jones, Keira Daniels, Trampas Thompson e Christopher Shaw. Nelle nostre sale da oggi, giovedì 2 ottobre.