GONE BABY GONE - Spietati - Recensioni e Novità sui Film
Drammatico

GONE BABY GONE

Titolo OriginaleGone Baby Gone
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2007
Durata114'
Sceneggiatura
Tratto dadal romanzo 'La casa buia' di Dennis Lehane
Fotografia
Scenografia

TRAMA

Boston. Una bambina di quattro anni viene rapita. Alle indagini della polizia si affiancano quelle di una coppia di giovani investigatori privati.

RECENSIONI

Ben Affleck esordisce come regista di lungometraggi portando sullo schermo un testo di Dennis Lehane, autore del romanzo da cui Eastwood aveva tratto Mystic River. Il milieu è quello atteso: periferia bostoniana, white trash intrappolato fra il patio pieno di rifiuti e la saletta della tv, imberbe detective dal passato nebulosamente tossico che tenta di risolvere il caso fra una birra con gli amici d'infanzia e un'incursione nel territorio di loschi ex-compagni di scuola. Il film inizia bene, con un'aria sgualcita da hard-boiled suburbano, la mdp che accarezza ordinari freak di periferia e la voce over del protagonista (un Casey Affleck convenientemente ruvido e fragile) a guidarci per mano fino alla modesta abitazione della famiglia di Amanda. La regia, sobriamente televisiva, si pone interamente al servizio dei dialoghi e della recitazione (decisivo il ruolo giocato dai primi e primissimi piani, capaci di restituire tutta la violenza più o meno sotterranea degli scontri, fra malavitosi come fra tutori dell'ordine) e regge discretamente il ritmo della narrazione fino alla scena del lago, in cui il film sembra giungere alla sua naturale conclusione. E difatti la seconda parte, mentre dovrebbe esplorare i lati oscuri della prima, finisce per rovesciarla in parodia involontaria malamente appiccicata: i personaggi, da stilizzati, si fanno stereotipati (i poliziotti infidi a fin di bene) o inconsistenti (la detective che si erge improvvisamente a giudice delle azioni del compagno), la voce over narra e spiega più del dovuto, la trama s'ingarbuglia meccanicamente ma i colpi di scena sono telefonatissimi, la ricerca di una vena lirica e crepuscolare deraglia nel ridicolo incontrollato (la maschera dello sbirro corrotto e la sua assai scenografica dipartita), il dilemma etico è a tal punto banalizzato da suonare mero ammiccamento a più illustri modelli. Il racconto ha qualche guizzo (la sequenza nella stanza del mostro, segnata da stacchi al nero che rendono bene l'accecamento del protagonista) e il finale si salda al prologo con sufficiente disinvoltura e bell'effetto circolare, ma la fin troppo esplicita critica al circo dei media sciupa anche la quieta desolazione delle ultime scene. Affleck insomma si fa prendere la mano dall'argomento, caricandolo di un'enfasi che dovrebbe essere domata da altre abilità di scrittura e di regia, e così facendo sciupa il potenziale di un piccolo film che ha per l'appunto nella dolente asciuttezza della prima parte la propria carta vincente. Lo attendiamo alla prova dell'opera seconda.

Palese che la fonte sia un romanzo di Dennis Lehane (Mystic River): ancora una ragazzina che scompare, Boston, i nodi al pettine delle amicizie d’infanzia, l’intrecciarsi di racconti e personaggi cupi, l’infanzia rubata, i cadaveri gettati nell’acqua come sassi, i colpevoli che sono stati vittime a loro volta, depistamenti (fino a essere “scorretti”) per trovare il colpo di scena spettacolare, espedienti di genere che cozzano con l’alto livello della materia, focalizzata sull’etica, il senso della vita, l’archetipica tragedia greca. È anche il primo adattamento (dei 5 romanzi fino al 2007) che raffigura la coppia di detective Patrick Kenize e Angie Gennaro (nati su “Un drink prima di uccidere”) creata dallo scrittore, per quanto lasciata sullo sfondo rispetto alla città di Boston, con la sua disgregata umanità. Casey Affleck non è Sean Penn e alla regia non c’è l’epico, tragico, “classico” Eastwood, molto più bravo a dosare chiaroscuri e ambiguità, ma Ben Affleck, per il suo esordio alla regia (all’attivo solo un corto amatoriale a 21 anni), fa ben sperare in una nuova carriera, di certo migliore di quella da attore (divistica per quanto poco dotata), mentre come sceneggiatore aveva già dato gran prova di sé quando scrisse, insieme con l’amico Matt Damon, Will Hunting. L’io narrante del detective protagonista dichiara la connessione con il noir e, per quanto ancora acerbi nel governare tutta la materia nel complesso, sono ottimi gli sguardi del regista sui “corpi con anima” immersi nella città, fra personaggi realistici (dipinti cioè con qualità e difetti), gente di quartiere “vera”, con corpi grossolani, per niente hollywoodiani.