Manuale di Geografia Culturale (Riassunto Completo) - “Manuale di Geografia Culturale” (Riassunto - Studocu
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Manuale di Geografia Culturale (Riassunto Completo)

Ecco il riassunto completo di tutti i capitoli del libro Manuale di Ge...
Corso

Geografia culturale (1004627)

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“Manuale di Geografia Culturale” (Riassunto Completo)

PARTE PRIMA: Tradizioni Culturali

Introduzione

Il 1980 è l'anno in cui la geografia culturale anglosassone ridefinisce le proprie coordinate intellettuali, politiche e accademiche, riposizionandosi al centro del dibattito della Human Geography anglo-americana. Essa aveva stabilito canoni e temi, ma pur essendo potente sul piano delle politiche accademiche, era divenuta marginale su quello della produzione disciplinare. La svolta coinvolge, all'inizio degli anni Ottanta, anche la Cultural Geography , facendola diventare un sapere e una pratica del tutto inediti. Alla Berkeley school in California, Carl Sauer studiava il rapporto uomo-ambiente, gli aspetti materiali della cultura, le forme del paesaggio e la loro diffusione. Negli anni Sessanta e settanta, in risposta a teoria positivista, rivoluzione quantitativa e psicologia comportamentistica, i geografi culturali si barricano dietro la comprensione storica dei mutamenti delle forme della società, rispettando i temi e i metodi saueriani. Si arriva al 1980 e alla nascita della New Cultural Geography. La novità dipende dalla critica all'idea della cultura formulata dalla Berkeley School: una variabile che ha il pregio di non spiegare nulla del suo funzionamento. Il tentativo è capirne il funzionamento interno secondo un approccio sociologico e politico, capace di spiegare le differenti rappresentazioni e formazioni culturali. I geografi sociali inglesi si rivolgono alla Cultural History e all'ambito dei Cultural Studies per orientare verso nuovi punti la loro disciplina e definire il termine cultura. La New Cultural Geography promuove una nuova forma di sapere sullo spazio e sui luoghi, legittimando voci e punti di vista nuovi, utilizzando risorse materiali inusuali, aprendo i confini disciplinari ai metodi e ai temi del dibattito filosofico, della teoria letteraria, degli studi culturali e dell'antropologia.

Gli scopi e i metodi dei Cultural Studies funzionano da linee guida per i geografi che rispondono all'appello di Jackson. 1. Esaminare ogni oggetto di studio secondo i termini delle pratiche culturali e in relazione alle dimensioni del potere. L'intenzione è rintracciare le relazioni del potere ed esaminare in che modo esse influenzino e diano forma alle pratiche culturali. 2. Lo scopo dei Cultural studies non è studiare la cultura come entità discreta e separata dal contesto politico e sociale. Ci si propone di capire la cultura nella complessità delle sue forme e di analizzare il contesto politico e sociale nel quale essa si manifesta. 3. La cultura è sia l'oggetto dello studio, sia il luogo della critica politica e dell'azione. I cultural studies sono un'impresa pragmatica e intellettuale. 4. I cultural studies mirano a superare la divisione che si dà tra le forme di sapere tacite e quelle oggettive. 5. I cultural studies si impegnano a una valutazione morale della società moderna e a una radicale linea di azione politica.

Il rapido cambiamento è suggellato dall'etichetta "svolta culturale". I temi diventano lo spazio del potere, il significato e la forma dei paesaggi delle aree metropolitane, la produzione delle pratiche discorsive, la natura politica e ideologica del sapere scientifico, la rappresentazione dei corpi, la questione della differenza, il trans-nazionalismo e la diaspora, le pratiche di trasgressione e resistenza, i femminismi e l'impresa coloniale. I temi classici di spazio, luogo e paesaggio, vengono ridiscussi alla luce della teoria marxista, femminista, psicoanalitica e postmoderna. L'interesse per il rapporto uomo/ambiente viene rinnovato dal dibattito sulle modalità con le quali le differenti società umane costruiscono il significato dei due termini del rapporto. La centralità della nuova geografia culturale dipende da una duplice trasgressione dei limiti disciplinari: si fuoriesce dai paradigmi interni del sapere geografico e si producono discorsi visibili anche in altri ambiti del sapere. Lo scopo della geografia è spiegare l'insieme delle relazioni politiche, economiche e materiali responsabili della costruzione dei paesaggi culturali in cui si collocano, si rafforzano e si legittimano tali definizioni.

Le domande sono: Cosa rende significativa una differenza culturale? Quali sono le origini e i processi che portano alla differenza culturale? In che modo tali origini e processi sono legati agli sviluppi dell'economia politica? Come si negozia, si contesta, si combatte un cambiamento culturale? Chi ha il potere di produrre la cultura? Chi hai il potere di definire che cosa sia una differenza culturale significativa?

La New Cultural Geography non è una conoscenza di base e chiama in causa una dimensione politica che vede nella New Left il punto di partenza. Il manuale si divide in due parti: la prima è dedicata alla spiegazione degli strumenti concettuali della disciplina, la seconda ne mostra la messa a punto; la prima si occupa di dare definizioni e di ricostruire le origini di una tradizione, la seconda racconta in che modo paesaggio, spazio, luogo e corpo vengono riconsiderati e descritti dalla New Cultural Geography.

Cap. 1: Una mappa per orientarsi tra direzioni, cultura e punti di vista

Nei primi anni Ottanta, Peter Jackson e Denis Cosgrove lanciano un appello ai colleghi. La questione è porre al centro della riflessione critica il funzionamento della cultura: capire il ruolo della produzione simbolica nella costruzione e nell'ordinamento dello spazio. Tale "chiamata" rende futile ogni tentativo di concettualizzare il nuovo ambito disciplinare come unitario, coerente e ben definito. In secondo luogo, pone in primo piano l'urgenza di una riflessione su che cosa si debba intendere con il termine cultura. Infine, il rimando a Raymond Williams e alla sua idea di cultura mette in primo piano la questione, dal punto di vista delle rappresentazioni geografiche e cartografiche. Ogni punto è determinato da coordinate geografiche, ideologiche, politiche, economiche: così ciò che vedo dipende dal luogo che occupo per guardare. Inoltre, alcuni punti di vista hanno più autorità e autorevolezza di altri.

Direzioni

La New Cultural Geography è, sin dall'inizio, segnata dal discorso femminista, dal poststrutturalismo, dalla teoria post- coloniale, e si sviluppa per ragioni storiche e politiche nell'area linguistica anglosassone. Il nuovo sapere pone poca distanza tra la propria riflessione e ciò che accade nel mondo. La vicinanza ai fatti e al vissuto implicherà un progressivo allontanamento dai temi e dai toni più tradizionali della disciplina accademica. La trasformazione economica degli anni Settanta rimbalza nella decade successiva, che si apre con i paesaggi politici e culturali, disegnati da Margareth Thatcher e Ronald Regana. Sono gli anni in cui prende il via la globalizzazione e si allarga la distanza tra ricchi e poveri. La fine degli anni Ottanta è segnata dalla dissoluzione dell'unione sovietica. Secondo Denis Cosgrove, il processo per la definizione di un nuovo ordine mondiale, dopo la caduta del Muro di Berlino, rappresenta un'agenda ricca di temi e opportunità per la Cultural Geography. Rotta la grande certezza che teneva il mondo diviso in due parti contrapposte e ben riconoscibili, ciò che si manifesta nell'immaginario è che il mondo perda la sua forma. L'attenzione dei geografi si concentra sulle aree metropolitane dell'Occidente industrializzato. Si apre con un eterogeneo ambito di ricerca su spazi e paesaggi urbani, che privilegia lo studio dei differenti stili di vita e la costruzione sociale di gender e razza. La premessa comune è che ogni categoria o definizione è costruita socialmente e dunque la stessa realtà è una costruzione sociale. Il paesaggio urbano racconta gli effetti della ristrutturazione economica; mette in scena le categorie culturali per rappresentare i lavoratori stranieri o sancire le differenze sessuali, per la costruzione di classi sociali morali o la trasformazione dello spazio privato del consumo in uno pubblico. Altra direzione è quella che si oc-cupa della geografia dei soggetti fin qui ignorati quali diversamente abili, bambini, donne, anziani e emarginati. A questa si affiancano gli studi sull'utilizzo dei cinque sensi del corpo per la costruzione, comprensione e pratica dello spazio geografico. Se il concetto di paesaggio agli inizi rimane ai margini dei temi relativi alla relazione tra spazio e costruzione sociale, dagli anni Novanta si assiste a una crescente centralità e proliferazione di ricerche al riguardo e sia viva una riflessione sulla natura dinamica del paesaggio, che viene inteso come un processo sociale attivo.

La tesi è che il paesaggio sia lavoro (l'esito del lavoro dell'uomo) e sia anche al lavoro (agisce come attore sociale). Questo è il senso delle direzioni più recenti: il movimento degli individui o di gruppi sociali e la fine di ogni fissità o sedentarietà. La mobilità, avverte Tim Cresswell , è ovunque; è ubiquitaria; produce e ha prodotto, un numero di significati quali l'idea di progresso, di libertà, di opportunità e modernità. Questa è una sorta di spazio muto, bianco, che si pone in alternativa a luogo, limitatezza, fondazione e stabilità. La domanda che pone Cresswell è: "Cosa accade nello spostamento dal punto A al punto B?". Nella classica teoria della migrazione, la scelta di muoversi o meno sarebbe il risultato dei cosiddetti fattori di attrazione o repulsione che si possono trovare nei punti B e A e ciò che sta tra i due rimane esplorato. La direzione di Cresswell intende esplorare il contenuto dell’alinea che dà A conduce a B, nella consapevolezza che i movimenti sono pieni di significato, producano potere e siano prodotti dal potere. Ma Cresswell dice anche che la mobilità diventa un processo dagli esiti tragici se osservata attraverso le "lenti della sedentarietà". Il pregiudizio morale si fonda sull'assunto: chi è sradicato è portatore di valori instabili e dichiara, con la sua persona, la perdita di legami morali e di moralità; essere sradicati significa non essere più credibili o affidabili come cittadini onesti. Anche l'11 settembre è esploso all'interno nella New Cultural Geography, avviando una produzione che ha portato in primo piano la dimensione politica; così i concetti di spazio dell'eccezione e nuda verità formulati da Giorgio Agamben, entrano nella riflessione geografica.

Cultura

Il termine cultura è centrale nella riflessione geografica da Carl Sauer in avanti. V'è la consapevolezza che non si possa utilizzare la cultura come strumento utile alla spiegazione della realtà, poiché è la stessa cultura, che ha bisogno di essere spiegata e non è riferibile a niente di concreto. Come avverte Don Mitchell le persone non possiedono un oggetto che si chiama cultura, infatti essa non esiste come qualcosa di solido, ma ne esiste un utilizzo ideologico. Mitchell pone allora domanda "Com'è possibile affermare che, pur non esistendo, essa agisca come una tra le forze e gli impulsi più importanti". La spiegazione che la cultura è una parola che assume molteplici significati; è qualcosa cui si ricorre quando non sappiamo fornire una spiegazione ragionevole di un conflitto o atteggiamento. Quando si parla di composizioni musicali, quadri, musei, teatri, il termine che ricorre è quello di cultura, ma cultura è anche quella televisiva, dei concerti rock o sportiva. Infine, ci sono anche le politiche culturali.

La prima è quella che si fondava sul lavoro sul campo e l'osservazione diretta; il presupposto è che tramite la sua trascrizione avrebbero garantito una comprensione e una rappresentazione accurate del mondo. La seconda si basa sul positivismo scientifico e l'astrazione; questa viene per lo più ignorata dalla geografia culturale, perché la riduzione quantitativa del mondo in modelli matematici sospende le differenze culturali tra luoghi. Sarebbe però un errore considerare le due strategie opposte, poiché entrambe mirano al mimetismo. Il terzo tipo è quella postmoderna , che critica la teoria mimetica e decentra i punti di vista privilegiati; alla totalità delle grandi narrazioni oppone il frammento, alla fondazione la caducità. La quarta ha come base l' ermeneutica , l'idea dell'interpretazione; ammette un relativismo della rappresentazione che nasce dalla consapevolezza che ogni studioso appartiene a un contesto materiale, istituzionale, culturale e politico. Ogni conoscenza è un’interpretazione che dipende dal rapporto tra la posizione di chi rappresenta e quella dell'oggetto da rappresentare. Per l'ermeneutica, ogni rappresentazione si compone di tre elementi: il testo che l'accademia produce, i dati utilizzati per produrre tale testo e gli elementi presi da altri testi. Se si colloca il proprio punto di vista all'interno di questo ambito, è evidente che non soltanto di apprende un nuovo modo di considerare le cose che appaiono, ma si stabilisce anche la propria collocazione dentro lo spazio del mondo e la propria posizione in quello del sapere. Anche l'autobiografia entra come ulteriore elemento. È un punto critico opposto a quello della Berkeley school, che privilegia la fissità al cambiamento, le aree rurali urbane; imposta ogni descrizione sul modello prescrittivo e oggettivo della carta geografica.

Cap. 2: Definizioni militanti: Peter Jackson, James Duncan, Denis Cosgrove

Peter Jackson e l’inutile ricerca

In un articolo del 1980, Peter Jackson , geografo di Oxford, denuncia l’assenza di produzione scientifica rilevante da parte della geografia culturale britannica. Per Jackson ciò deriva dall’impostazione accademica inglese che separa le discipline di geografia e antropologia. Diversa è l’impostazione accademica americana, dove entrambe condividono interessi e metodo. La definizione di Carl Sauer della geografia come articolazione regionale della storia culturale e della geografia regionale come studio di una certa area culturale derivano dall’influenza degli antropologi Lowie e Kroeber , allievi di Franz Boas. Il particolarismo culturale 4 è un’idea di derivazione antropologica e, attraverso esso, la Berkley School si interesserà a paesaggi e/o aree rurali non toccate dall’industrializzazione.

Il viaggio di Carl Sauer alla scoperta della Baia della California e del Messico nord-occidentale è altresì importante per capire il metodo della Cultural Geography. Questi due fattori spiegano il concetto di paesaggio culturale di Sauer nel suo Morphology of Landscape dove, durante il suo viaggio in America, nota che in alcune zone “il cambiamento è stato accelerato e l’innovazione è diventata l’ordine dominante del vivere”, mentre “dell’altra parte del confine, i modi di vita del passato e la loro accettazione sono conservati nei cambiamenti graduali”. Gli inglesi invece si discostavano dall’esperienza accademica americana e da Sauer. L’articolo di Jackson si concentra su una critica alla disciplina classica e prende di mira l’ Introduzione di Wagner e Mikesell , dove il geografo culturale viene visto come colui in grado di “valutare la capacità tecnica delle comunità umane di modificare il proprio habitat” e non interessato a descrivere i comportamenti del modello umano. Quest’ultimo scopo appartiene ai principi di Sauer: eliminando i comportamenti del modello umano non si riuscirebbero a spiegare le forme del paesaggio culturale e, inoltre, la cultura ha degli esiti sullo spazio.

Conclusioni e proposte

Peter Jackson propone di ricollegarsi a Sauer, all’antropologia sociale e alla geografica sociale. Quest’ultima è in grado di studiare gli aspetti spaziali dell’organizzazione sociale e della cultura, andando oltre ciò che si osserva nel paesaggio. La critica di Jackson è quindi nei confronti degli eredi di Sauer che ne hanno distorto il pensiero. 4 Particolarismo culturale/storico/geografico : ogni cultura ha una sua storia unica e di ben definita durata. Per

comprendere a fondo una civiltà è indispensabile ricostruire l’iter storico e particolare. Inoltre, dato un determinato contesto e/o paesaggio, è possibile anche che si cerchi di ostacolarlo, per cui si realizzano fenomeni particolari.

James Duncan e il “ripieno” della cultura

Nel 1980, alla British Columbia di Vancouver, James Duncan attacca attraverso un articolo il superorganicismo, ossia la teoria sulla quale si fonda la geografia della Berkley School. La teoria del Superorganico era stata messa a punto da Alfred Kroeber nell’articolo The Superorganic e avrebbe avviato la stagione del determinismo culturale 5 nell’antropologia americana. Secondo questa teoria, la realtà si compone di livelli diversi ( inorganico , organico. superorganico ) sociali o culturali. I livelli sono collegati fra loro ma ognuno ha un ambito di studio separato con le proprie cause particolari. Il superorganico 6 è in rapporto con l’individuo perché, attraverso degli impulsi, determina la sua azione, riducendolo a un agente delle forze culturali i cui valori vengono passati da una generazione all’altra. La teoria del Superorganico era stata presa in prestito da Sauer insieme ad altri concetti utilizzati dagli antropologi: ricostruzione storica, area culturale e diffusione. Ducan critica questa visione perché assegna alla cultura delle caratteristiche che non possiede e un potere causale che, effettivamente, non esercita.

Inoltre, considerando la cultura come concreta, non si pensa ad essa come una costruzione mentale astratta e le si assegnano sostanza ed esistenza indipendenti. Come fa notare Duncan, applicando questa teoria e utilizzando la cultura come modello causale di spiegazione della realtà, rimangono escluse le relazioni sociali e politiche e quindi non è necessario fornire ulteriori spiegazioni. Se ogni forma di istituzione o di governo fosse esito della cultura, non sarebbero esistite delle forme di contrattazione, accordo o negoziazione fra gruppi sociali di interessi opposti. In conclusione, secondo il determinismo dei paesaggi culturali, non esiste il conflitto politico, economico e socioculturale. A utilizzare la teoria del Superorganico è Zelinsky nel The Cultural Geography of the United States del 1973. Zelinsky afferma che la cultura è una sovrastruttura astratta contenente i valori interiorizzabili dagli individui e che creano il modello culturale di una società. Quali sono le leggi secondo cui agisce la cultura non è però del tutto chiaro, anche se essa “non rimane indifferente alla storia e alle condizioni socio economiche”. Sulla scia di Kroeber, Zelinsky afferma che gli uomini agiscono come causa efficiente, ossia degli “agenti” della cultura. Inoltre, nel suo volume Zelinsky elenca quattro valori che, interiorizzati dai cittadini americani, ne hanno definito caratteri, comportamento e abitudini: 1)Individualismo ai limiti dell’anarchia; 2)Il valore assegnato alla mobilità e allo spostamento; 3)La visione meccanicistica 7 del mondo; 4)Un perfezionismo messiniaco.

5 Determinismo culturale : la cultura, secondo la teoria del determinismo, è il principio esplicativo di tutte le differenze e

forme di comportamento dei gruppi umani. 6 Superorganico : è una delle tre sfere della società ed è differente da quella dell’ organico e dell’ inorganico. I fatti della

cultura appartengono alla sfera del superorganico e non possono essere dedotti da uno dei due strati sottostanti della società. I fatti della cultura possono quindi essere spiegati solo in relazione ad altri fatti della cultura. Questa visione è detta antiriduzionista perché dissocia la biologia ( organico ) dalla cultura, dato che i fattori culturali non possono essere ridotti a fattori biologici. Il riduzionismo , dal suo canto, vuole spiegare uno strato facendo riferimento a quello sottostante. 7 Meccanicismo : concezione che considera l’intero accadere come causalità meccanica. Nulla è preordinato o ha un fine

superiore. La cultura, che in realtà è una configurazione astratta, si proietta sugli esseri umani in maniera omogenea. La mancanza di visione particolare implica, secondo Duncan, di creare dei tipi ideali che, ai fini dell’osservazione empirica, risultano inaccettabili. Attaccare quest’idea di omogeneità significa demolire la teoria superorganica della cultura. Un altro punto debole individuato da Duncan investe i pensatori Sauer, Wagner, Mikesell e Zelinsky che definiscono la cultura come un comportamento abituale appreso e, a volte, inconscio. Questi modelli abituali e uniformi, in paesi come gli Stati Uniti che racchiudono diverse etnie, non possono essere applicati. Nel 1963, Newcomb aveva affermato che in una cultura complessa con differenti ruoli e status era possibile concepire un’azione attraverso l’abitudine che, a sua volta, era determinata dal ruolo 8 ricoperto in quella società.

Conclusioni e proposte

James Duncan propone di abbandonare la teoria del Superorganico e di interrogarsi anche sull’utilità di un tale concetto di cultura per la geografica culturale. La teoria del Superorganico è utile solo a mascherare alcune problematiche sociali ed economiche, nonché le relazioni di natura politica. La Berkley School dovrebbe invece focalizzarsi sui gruppi e sulla loro interazione con l’ambiente fisico in diversi contesti istituzionali e sociali. Anche secondo Duncan, l’unione fra geografia sociale e geografia culturale può essere propedeutica, soprattutto perché la prima soffre delle spiegazioni sul rapporto uomo- ambiente, dato che si occupa principalmente dell’aspetto spaziale dei problemi urbani. Una nuova teoria della cultura dovrebbe invece contenere una teoria del potere, perché è tramite le negoziazioni e i conflitti tra gli individui che appaiono le geografie culturali. Per Duncan la cultura è l’interazione fra gli individui.

L’inedito materialismo di Denis Cosgrove

A Londra, nel 1983, Denis Cosgrove scrive l’articolo Towards a Radical Cultural Geography nella rivista “Antipode”. La sua visione della geografia è radicale ed emerge il rapporto fra la disciplina e il marxismo. Le sue nuove teorie provengono dalle officine dei Cultural Studies e, attraverso le idee di Raymond Williams, Cosgrove definisce la propria posizione teorica e disciplinare: 1)La cultura è la produzione simbolica attraverso cui l’uomo si appropria del mondo; 2)Essa genera stili di vita e paesaggi materiali differenti; 3)In occidente la borghesia trasforma la cultura da stile di vita a concetto, essa è perciò profondamente ideologica.

Denis Cosgrove vuole spiegare il sapere geografico attraverso la teoria culturale marxista sviluppata da Raymond Williams, Richard Hoggat, Edward Palmer, Stuart Hall e dai Cultural Studies. La geografia culturale e il marxismo adesso insisteranno sulla storicità del rapporto uomo-natura, cosa che la geografia culturale di Sauer non faceva dato che tendeva a universalizzare il presente e a marginalizzare il contesto storico.

I Cultural Studies insegnano che ci sono diverse culture e che esse sono delle costruzioni sociali politicamente contestate, mentre con il semplice termine “cultura” ci si riferisce alla cultura alta. Le forme culturali si fondano in luoghi e in tempi ben precisi e, come già detto prima, trasformano i fenomeni del mondo materiale in simboli a cui corrispondono significati e valori. Il paesaggio e la sua comprensione non dipendono più dai modi di appropriazione della terra, bensì dalle proprietà simboliche che producono e aiutano a mantenere il significato sociale del paesaggio. Il paesaggio rappresenta “un modo di vedere, è una composizione e una struttura del mondo che ne consente il possesso a uno spettatore distaccato”. Basandosi su Clifford Geertz , i geografi cominciano a sviluppare la metafora del paesaggio come “testo” sociale da leggere e decodificare. In seguito, i tre pensatori pubblicano le loro opere: Nel 1989 Peter Jacskson pubblica Maps of Meaning , un’agenda per la nuova geografia culturale. In essa si legge che le culture sono mappe del significato che rendono il mondo comprensibile e intellegibile; Nel 1993 James Duncan pubblica una raccolta di saggi; Nel 1994 Denis Cosgrove fonda la rivista Ecumene , nella quale si propone di promuovere la convergenza culturale creatasi fra le discipline umanistiche e le scienze sociali.

Importante : Linda McDowell afferma che “ciò che si pensa e pubblica dentro la rubrica geografia culturale cambia in risposta al clima politica ed economico dei tempi in cui si scrive e in relazione alle strutture disciplinari del potere”.

Cap. 3: Le origini geografiche: da Ellen Churchill Semple a Carl Sauer

Per scardinare criticamente la cultura, i nuovi geografi culturali necessitano di tornare alle origini della tradizione della Berkley School. È indispensabile inoltre mettere sotto osservazione le dimensioni della costruzione e della comunicazione di ogni sapere: l’ontologia 10 , l’epistemologia 11 , la scienza (la formale costruzione di tale sapere) e l’autorità (chi decide quale sia la realtà per la geografia). Si deve interrogare la natura e la posizione del punto di vista adoperato per la definizione, in modo da poter criticare il concetto di rappresentazione geografica. Per Sauer, le forme del paesaggio raccontano una determinata storia e la linea di confine tra Messico e Stati Uniti, ad esempio, non segna una discontinuità morfologia e climatica, ma soltanto un disegno culturale. Le radici disciplinari di Carl Sauer si originano durante la costruzione degli imperi coloniali, quando i contesti politico, sociale ed economico non prevedevano l’esistenza di differenze culturali o di geografie impegnate a raccontare queste differenze. La geografia di fine Ottocento sperimenta una visione positivista 12 che vuole descrivere il cambiamento delle interazioni degli uomini e le forme della società in base alla variazione dell’ambiente naturale. La geografia riesce così ad affermarsi, sia sul piano pratico che politico, attraverso un linguaggio scientifico, alla mappatura teorica dei territori e dei confini e tramite il linguaggio che le azioni politiche (nei confronti delle colonie acquisite) vengono legittimati dal determinismo ambientale 13. I geografi di questo periodo sostengono che la natura è la causa delle differenze culturali e, per far riferimento a questa teoria, ci si deve rivolgere alla Geografia politica del 1897 di Ratzel, in cui lo Stato è paragonato a un organismo la cui sopravvivenza dipende dall’espansione territoriale. La geografia giustifica perciò le spinte coloniali europee, dato che esse non sono altro che un impulso organico che appartiene ad ogni Stato. Ovviamente c’è anche una discriminazione tra chi ha il diritto di espandersi e chi no, ed essa avviene in base al grado di civiltà, all’organizzazione politica e alla grandezza dello spazio vitale. Il determinismo ambientale è perciò una teoria che serve a legittimare le ambizioni politiche, sociali ed economiche di specifici gruppi di interesse.

Agli inizi del Novecento in America si respira un’aria diversa che tende a sopprimere il determinismo ambientale, anche se negli ambiti accademici e, in particolare, nell’opera Influences of Geograpfhic Environment on the Basis of Ratzel’s System of Anthtopo-geography (1911), Ellen Churchill Semple porta al limite i principi ratzeliani: la supremazia di alcuni popoli su altri dipende dalla Natura che si esprime attraverso le potenzialità dei differenti ambienti fisici, le abilità razziali e i tipi di mentalità. Non c’è spazio per l’attività umana perché l’uomo è solamente un prodotto della superficie terrestre. Con la scoperta di entrambi i poli negli anni Venti del Novecento, le teorie non si basano più sulla conquista ma sulla configurazione delle relazioni di potere nei territori già acquisiti. Lo spazio deve quindi essere inteso come relativo anche sul piano della teoria geografica e Carl Sauer inizia la missione che ridarà credibilità alla disciplina, ridefinendo l’oggetto del sapere geografico e la sua rappresentazione.

10 Ontologia : teoria che stabilisce i criteri di esistenza (ciò che costituisce la realtà) di determinate entità a partire da un

linguaggio formale. 11 Epistemologia : teoria della conoscenza che indica secondo quali metodi, secondo quale ordine e secondo quali condizioni

si arriva a conoscere la realtà in maniera certa o scientifica. 12 Positivismo : il positivismo prevede che scienze naturali (discipline nomotetiche) e le scienze sociali (discipline

ideografiche) possano convergere attraverso il rigore matematico e l’osservazione empirica. Il neoidealismo , al contrario, sottolinea che esse hanno scopi differenti e devono avere una metodologia diversa. Il neoidealismo è vicino alle posizioni e alla teoria del possibilismo geografico.

13 Determinismo ambientale : secondo il determinismo ambientale, l’uomo e le società umane si organizzano in un certo

modo perché condizionate dal contesto ambientale. L’analisi parte, perciò, dall’ambiente in cui l’uomo vive (causa) per arrivare all’organizzazione sociale (effetto). Le condizioni ambientali creano abitudini culturali e queste abitudini si trasmettono alle generazioni successive.

Carl Ortwin Sauer: “per scelta e per caso”

L’attacco al determinismo ambientale da parte di Sauer deriva dalla sua adesione al possibilismo culturale di Boas, Lowie e Kroeber. Egli pensa che questa teoria possa ridefinire in pensiero geografico e tradurre il paesaggio naturale in paesaggio culturale. In tal modo la geografia diviene lo studio e la descrizione della storia culturale nella sua articolazione geografica. Nella Morfologia del paesaggio si tenta di tenere assieme antropologia sociale e geografia, cercando di delineare più commistioni possibili, sostituendo l’ambiente con la cultura ma mantenendo la logica del determinismo culturale. Per Kroeber l’antropologia era una storia naturale della cultura con la quale si potevano descrivere e classificare i modelli culturali, mettendo in luce gli aspetti salienti di culture particolari. Questi modelli venivano acquisiti e trasmessi mediante simboli e Sauer, che condivide l’impostazione kroeberiana, pensa che la cultura sia una faccenda collettiva e non individuale e che essa prenda corpo nella tradizione e nelle abitudini. D’altra parte, il potere causale della cultura e la sua dimensione simbolica vengono lasciati cadere. È difficile scardinare sessant’anni di pensiero di Carl Sauer e la sua influenza nella produzione geografica statunitense, anche perché, come sottolineano sempre i geografi culturali, la posizione che ci capita di occupare dentro uno spazio – sociale, economico, disciplinare – declina il nostro pensiero e la nostra azione sullo spazio stesso.

Nel 1923 Carl Sauer è a capo del Dipartimento di geografia a Berkley e, più tardi, viene eletto per due volte presidente dell’AAG (American Association og Geographers), una carica che gli permetterà di pronunciare determinate affermazioni sulla natura e sulla disciplina. Nel 1941 si scaglia contro i colleghi che non riconoscono il peso storico della geografia e recide le origini tedesche della geografia culturale. Negli USA, la geografia diventa un prodotto puro del Midwest e viene condotta tramite operazioni sul campo. Nel 1956 Sauer ribadisce l’importanza di leggere gli aspetti materiali dei paesaggi culturali, poiché esprimono il rapporto tra cultura e natura e rappresentano i segni visibili delle variazioni culturali dentro lo spazio. Ci sono dei cardini che organizzano e strutturano la disciplina geografica della Berkley School: la natura storica della geografia, il relativismo culturale l’interesse per i modi attraverso cui le culture trasformano il mondo naturale per creare paesaggi o regioni culturali. È infine necessario ricordare che Sauer aveva più interesse alla ricerca sul campo che a partorire una teoria, difatti, una volta costituita l’idea di cultura come forza attiva della trasformazione della superficie terrestre, il significato e l’uso di questa forza erano scontati e non soggetti a critica o riflessione. La disciplina si origina e stabilisce nella Morfologia del paesaggio dove, appunto, viene definita l’idea di morfologia; mentre il paesaggio è visto come un’unità geografica caratterizzata da un’associazione di fatti che deve sottomettersi allo schema conoscitivo della morfologia.

Il paesaggio di Sauer è sinonimo di area o regione geografica e, dal suo canto, la geografia culturale non è una semplice descrizione dell’associazione di fatti geografici, ossia un elenco e/o traduzione cartografiche di un’area. Il paesaggio, infatti, è il termine più esposto agli attacchi critici, mentre la morfologia agisce come teoria vera e propria e rimpiazza il termine “geografia”. Il paesaggio rimane comunque il campo di studio della geografia e, secondo lo studioso, gli oggetti di un determinato paesaggio o area sono in relazione fra loro. Questa relazione trasforma il paesaggio in un frammento di realtà coerente e completo: in questo modo diviene visibile il significato di un paesaggio dotato di un carattere proprio, contrariamente a ciò che avviene quando si descrivono gli oggetti in modo separato e disgiunto. Per Sauer, “paesaggio (Landscape) [...] si può definire anche come un’area costruita secondo un’associazione di forme, sia fisiche che culturali” ed è insieme un processo, un’associazione di fatti e un concetto geografico unitario. Ciò che vuole fare Carl Sauer è andare oltre la mera descrizione dell’esistente − cioè degli oggetti – per creare non solo un pensiero critico capace di individuare i legami fra questi oggetti, ma anche attestare che il paesaggio è frutto di associazione di fatti fisici e culturali dislocati nella dimensione storica. Secondo l’autore, “il paesaggio geografico è una generalizzazione che si compone dell’osservazione di singole scene” e “il geografo [...] deve avere comunque in mente il paesaggio generico, e procedere per comparazione”. Com’è possibile attuare un’idea del genere? Il buon senso e giudizio dei geografi permetterà di selezionare le caratteristiche generiche proprie di un paesaggio. Non esiste una scelta a priori di questi elementi, ma si possono prendere come punto di riferimento quelli che si ripetono con frequenza nello spazio, che si organizzano secondo un modello e che hanno determinate qualità strutturali. Il geografo deve, date le premesse, intravedere l’omogeneità di alcuni tratti che rendono quel segmento un paesaggio organicamente unito. Il paesaggio va poi letto come unità bilaterale: il primo è quello dei puri fatti fisici, la somma delle risorse che un uomo ha a disposizione in un’area o in un sito 14 ; il secondo lato è quello culturale che rappresenta l’impronta del lavoro dell’uomo.

Dunque, la cultura si esprime geograficamente in due modi: sia con le associazioni umane sia con l’associazione del gruppo con una certa area.

La disciplina di Carl Sauer mostra chiaramente una matrice positivista e determinista (culturale, non ambientale). La geografia saueriana è destinata alla descrizione del paesaggio che registra i fatti dell’uomo e a comprendere la cultura. Cosa comporta questo punto di vista? Indentificare solamente la cultura come ragione del cambiamento equivarrebbe a distanziarsi dalla dimensione sociale per dar peso a quelle fisica e naturale. Il fattore sociale è escluso dalla teoria di Sauer, mentre la cultura è in grado di alterare l’ambiente con effetti che si accumulano nel tempo (la dimensione storica). La morfologia deve pertanto comprendere quali sono i fattori biologici e fisici che alterano la naturalezza del paesaggio. Nella Morfologia del paesaggio l’azione umana è vista come uno sfruttamento distruttivo e, anche in questo pregiudizio morale, non viene tenuto conto delle ragioni politiche ed economiche; come se questo comportamento fosse insito nella natura dell’uomo. Inoltre, il tempo adoperato nell’opera e negli studi è quello geologico, un tempo lentissimo che non da veramente e totalmente spazio alla vera storia, dalla quale vengono eliminati conflitti, rivoluzioni, pressioni politiche, ... Alla morfologia interessa solamente trovare l’origine di un tratto culturale, per questo motivo Sauer predilige zone arretrate, in cui i paesaggi esprimono tendenze conservatrici, in cui la cultura è sinonimo di abitudine e dove il tempo non sembra passare mai. Dal canto suo, la Cultural Geography comincia ad innalzare un muro contro le pratiche contro culturali degli anni Sessanta. Un pensiero dello stesso periodo ma totalmente diverso è invece quello che guida i Cultural Studies e, in particolare, Raymond Williams:

Si potrebbe dire, infatti, che i problemi ora accennati nei significati della parola cultura, sono problemi che sorgono direttamente dalle grandi trasformazioni storiche che i cambiamenti delle parole industria , democrazia e classe , a modo loro, rappresentano [...]. Lo sviluppo della parola cultura indica un certo numero di importanti e continue reazioni a tali cambiamenti nella vita sociale, economica e politica, e può essere considerato in sé come un tipo particolare di guida mediante la quale si può studiare la natura dei cambiamenti.

Cap. 4: Le origini culturali e politiche

Le linee militanti di James, Duncan e Cosgrove sono di derivazione culturale; il nuovo punto di vista è: ogni forma di conoscenza teorica è una forma di pratica politica e non è mai di per sé neutra o obiettiva. Per i tre geografi, la mossa migliore, per dotare di senso la geografia della Berkeley school sembra essere quella che rimanda al concetto di tattica, ossia l’azione calcolata che determina l’assenza di un luogo proprio. Gli studiosi ricorrono alla metafora della carta geografica per descrivere i processi culturali, ritenendo che le culture siano mappe che consentono di comprendere il mondo e si occupano della posizione del soggetto dentro lo spazio. La dimensione geografica sembra essere duplice: da un lato si considera la natura e la posizione del soggetto, dall’altro si ricorre alla metafora della carta per tentare di comprendere il significato della spazializzazione dei fenomeni culturali.

Si inizia sottolineando il legame tra i cambiamenti sociali della Gran Bretagna dopo la Seconda guerra mondiale e l’avvio dei Cultural studies; tale inizio dimostra nei fatti che la cultura è una forma della politica. Nel periodo postbellico, il governo laburista mette mano a una serie di riforme necessarie e si assiste alla demolizione dell’impero britannico. In questo clima si impongono due questioni: la prima comporta il riconoscimento della natura eterogenea e multiculturale e la seconda ha a che fare con la fine della coscienza morale inglese, fondata su un rigido sistema di classi. iniziamo da Raymond Williams , che vuole verificare che non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Egli nasce da una famiglia operaia di tradizione e cultura socialista e cresce in campagna. Non appena Williams inizia ad esplorare i concetti di canone, cultura, nazione e identità, avverte tutta la distanza tra i contenuti culturali dell’insegnamento universitario britannico e la sua materiale esperienza di vita. Così. Inizia a interrogarsi sui presupposti che legittimano gli English studies come sapere deputato alla trasmissione dei valori. Il primo snodo teorico passa attraverso il rifiuto dell’idea di canone e cultura alta. La cultura è ordinaria poiché esclude una parte dei cittadini dalla vita nazionale. Bisogna tenere in considerazione che mediante la rappresentazione culturale dell’identità di una nazione si conferma e si riproduce il potere di alcune classi su altre. Dunque, la cultura pratica e i cultural studies la interrogano al riguardo.

Nel saggio Cultura e rivoluzione industriale. Londra 1780-1950 troviamo la definizione di cultura , come intero sistema di vita, materiale, intellettuale e spirituale , una relazione complessa e radicale ai nuovi problemi delle classi sociali. La cultura viene intesa come un modo di vivere che si esprime attraverso le istituzioni e i comportamenti individuali nella vita quotidiana. Quello che deve essere analizzato è la formula della cultura e non l’oggetto. Williams rompe con la tradizione letteraria e stabilisce una sorta di necessitata analogia tra analisi della cultura e della società. Egli parte dall’ eterogeneità : in un’area geografica ristretta le differenze sono molteplici, prime fra tutte quelle di classe; l’eterogeneità è tematizzata come esperienza condivisa che produce valori e forme condivise. Williams è interessato alla comprensione delle cause dei cambiamenti culturali di cui economia, dimensione del tempo e della storia sono fattori imprescindibili. Il materialismo è per lo studioso uno strumento analitico per capire i meccanismi che regolano il funzionamento di una società. I paesaggi di Williams sono dinamici ed eterogenei e implicano la storia, il conflitto e la dimensione materiale, lasciando impronte.

Richard Hoggart matura la consapevolezza che la ricchezza culturale popolare non debba più essere ignorata o esclusa dagli studi letterari; così alla cosiddetta cultura alta o borghese si affianca quella popolare o di massa con i suoi testi ordinari e quotidiani. Quello che importa sottolineare è la natura politica della teoria di Hoggart, il quale sottopone a canone e a valutazione la produzione culturale di una classe sociale fin qui esclusa dalla definizione dell’identità nazionale. Hoggart è consapevole di come la politica sia imprescindibile dalla cultura e che sono le politiche culturali a determinare lo stile di vita. Accade così, che il saggio di Hoggart assuma una posizione centrale all’inter-no della cultura di massa e del ruolo dei cosiddetti mass-media.

L’unico borghese del gruppo è Edward Palmer Thompson che si interessa a tutto ciò che occupa i margini e i vicoli cieche dello spazio sociale, le forme culturali sottomesse o represse, le storie di continua oppressione e resistenza. Il problema è il rapporto tra cultura popolare e cultura di massa: se la prima ha lavorato in senso antiegemonica, la seconda ha determinato l’estinzione delle molteplici forme culturali di resistenza e di autonomia, proprie della working class britannica. Si avvia una stagione durante la quale si insiste sull’adozione di un punto di vista dal basso, che consenta la comprensione della diversità culturale. Quando emerge Steuart Hall l’orientamento dei cultural studies cambia.

Steuart Hall nasce in Giamaica da una famiglia del ceto medio-basso egli inizia a riflettere sulla cultura popolare britannica, legittimando una dimensione della cultura fin qui estromessa dall’ambito dell’accademia, attivando una teoria critica intesa a comprendere la complessità dei fenomeni dento i quali viviamo le nostre vite- le questioni e i temi proposti dal marxismo sono ritenuti essenziali, ma come precisa Hall, lavorare su simili temi significa anche smontare il modello di struttura/ sovrastruttura con il quale il marxismo h cercato di spiegare i rapporti tra le società, l’economia e la cultura. Hall criticava Marx in base al modello attorno cui ha articolato la sua teoria, ossia l’euro-centrismo. Aggiunge inoltre che il lavoro teorico è una sorta di lotta contro gli angeli , dal momento che le uniche teorie dotate di valore sono quelle con le quali non finisci mai di fare i conti, come il marxismo.

Ci sono state almeno due rotture essenziali negli studi culturali. La prima è il femminismo che ha comportato al totale ridefinizione sia sul piano della riflessione teorica che su quello delle tematiche. Il punto di vista femminista sottolinea e amplifica la natura politica di ogni dimensione ritenuta personale, dimostrando come la politica culturale sia irriducibile alla sola sfera pubblica. Altro aspetto è l’apertura alla teoria sociale dell’inconscio e dunque la psicoanalisi. La seconda rottura è inerente alla questione della razza. La questione chiave per Hall è quella della mondanità temine coniato da Edward Said (noto per aver affermato che il compito del critico è quello di farsi carico non solo della propria posizione, ma anche del contesto in cui una data opera viene prodotta, trasmessa, interpretata a valutata e che la critica è l’attività intellettuale che dovrebbe opporsi a ogni forma di abuso, dominio o tirannia). Per Steuart Hall non si può formulare una teoria che non si ala contempo una politica, mentre un discordo che sottrae la cultura alla sua necessaria dislocazione politica nel mondo è un mero esercizio intellettuale, separato dalla pratica politica. Hall ci ricorda che se gli studi culturali sono un’area disciplinare sorvegliata, la differenza disciplinare non dipende dagli oggetti o dai temi trattati, ma dalla rivendicazione di una precisa posizione politica e teorica che si intende ostinatamente mantenere.

Quello che rimane da fare è segnalare alcuni percorsi che i geografi culturali hanno individuato e tradotto. La cosiddetta scolta culturale implica che i tradizionali concetti della geografia /spazio, tempo e luogo) vengano sottoposti a un’attenta analisi, sia sul piano del significato che su quello della funzione. Il paesaggio è il più bersagliato e sono almeno quattro le linee che si intrecciano: 1. La prima considera il paesaggio come formazione culturalmente determinata e iscritta nel processo dello sviluppo capitalistico dell’Europa moderna. 2 seconda si concentra sull’esercizio di leggere il paesaggio. Se un’area culturale è un testo, la questione è: quali sono i segni che partecipano alla produzione del suo significato. La dimensione simbolica del paesaggio diviene perciò il nuovo campo di indagine. 3 paesaggio diventa poi quello delle città e l’attenzione si focalizza sullo spazio; 4, le linee delle femministe, il cui punto di cista arriva a sparigliare i giochi.

Il luogo si trasforma ora in posizione critica. Il luogo, a differenza dello spazio, è identitario, relazionale e storico; è in grado di riflettere le relazioni di potere e di domino che regolano lo spazio; è anche politico, nella sua accezione di domesticità e patria. Grazie anche alla lezione postmoderna, il concetto di spazio diventa centrale per l’intera riflessione teorica e la geografia può riprendere parola nel dibattito culturale delle scienze umane. Si concorda su un aspetto: la cultura è spaziale ; essa si costituisce attraverso lo spazio e come spazio. Se la teoria diviene spaziale, le prospettive geografiche si moltiplicano e: 1. Lo spazio diventa quello del se e dell’altro, dell’interno e dell’esterno, della geopolitica, dell’impero e delle colonie; 2. Lo spazio contribuisce alla definizione della razza e del genere; 3. Lo spazio è matrice del paesaggio.

Detto altrimenti, la geografia diventa scienza quando incontra la storia naturale, almeno per Stoddart. Ed è qui che Gregory inizia una critica a ciò che il collega definisce scienza europea, pur essendo questo episodio una faccenda prettamente inglese. Si tratta dunque di capire quale sia il regime della verità della scienza europea e cosa si debba intendere con storia naturale, che per Stoddart è la possibilità di vedere ciò che potrà essere detto. Infatti, la storia naturale non è altro che la dominazione del visibile, che procede spazializzandosi.

Ora si domanda Gregory, come deve essere intesa l’affermazione di Stoddart circa il legame tra verità, geografia e storia naturale? In primo luogo, lo sguardo che serve a tradurre e a rendere chiari e piani gli oggetti della natura, è quello europeo. In secondo luogo, continua Gregory, non si deve dimenticare che le annotazioni di Cook sono geografiche, si occupano cioè di descrivere le terre e di spazializzare l’esperienza del viaggio. Dal momento che gli spazi bianchi delle carte di Cook sono attivi e contengono le forme della terra secondo il principio della contiguità. Dovrebbe essere Banks il padre della scienza geografica europea. In terzo luogo, questa origine naturale della geografia contribuisce alla costituzione delle scienze umane e all’invenzione dell’uomo come oggetto di studio. Infine, conclude Gregory, la storia raccontata da Stoddart è quella della nascita della geografia come scienza oggettivamente eurocentrica. Il suo merito sta nell’aver sdoganata in geografia i discorsi dell’Orientalismo. Si tratta di riconoscere il meccanismo tutto geografico che ha attivato le immaginazioni imperiali; di dichiarare che la visibilità è una trappola armata dalle politiche culturali e che il principio del potere è visibile e inverificabile.

L’ “abisso” lineare di Gunnar Olsson: “Go home Professor. GO”

La seconda regione è una linea che ci viene spiegata da Gunnar Olsson ; è quella linea che ha permesso l’asimmetrica e materiale presa di possesso del mondo. La sua geografia è profondamente culturale, dal momento che gli interrogativi che pone rimandano alle narrazioni di origine e agli archetipi della nostra cultura. Presentò assieme a Ole Michael Jansen la “ Mappa Mundi Universalis ”, ovvero il commento in forma di tetraedro su base di granito, al potere della ragione cartografica. L’operazione di Olsson traduce il pensiero cartografico in un oggetto d’arte che non coincide, sul piando della forma, a quello che ciascuno di noi immagina quando pensa ad una mappa mondo universale. La descrizione e la spiegazione della materiale critica della ragione cartografica è qui impraticabile. Gli ordini di missione erano: Rilevare ciò che è famigliare in ciò che non si conosce. Trovare i principi dell’immaginazione e specificare i ruoli della trasformazione ontologica. Disegnare una mappa del Territorio dell’umano. Produrre un atlante di ciò che significa essere umani. Iniziare una critica della ragione cartografica.

Lo scopo è rispondere a una domanda del tipo: come trovo la mia strada in un mondo di pensiero e azione, cose e relazioni. La risposta è con una mappa, un compasso, un’immagine e una storia. La posizione che Olsson assume è quella che gli consente di esplorare e mappare questa dimensione invisibile, dentro la quale viviamo quotidianamente e perciò tale posizione non può che coincidere con il limite. Olsson punta il dito verso le questioni di fondo del potere, della socializzazione e delle situazioni tra gli elementi rappresentati e tra questi e le cose che stanno fuori dall’immagine, ma l’atto è deciso da noi e non dall’immaginare. I cartografi sanno che il problema è il limite , ossia l’esatta posizione della sottile linea che separa e unisce, nel medesimo tempo significante e significato, senso e referente; la linea dove le cose cambiano. Tale linea rimane inavvertita grazie al linguaggio altamente formalizzato della geometria proiettiva. Scrive Olsson “ gli oggetti di conformano ai nostri modi di rappresentazione; i modi sono il dato per scontato; il dato per scontato è l’esito della socializzazione; la socializzazione si basa sulla legge che io e noi sono generalizzati, legati cioè dalla tesi che la mia conoscenza e la tua sono uguali”. Per Olsson, dunque, la mappa è un’immagine logica piena di potere, che dice la posizione di ciascuno e indica in quale direzione andare, essa è indicativa e imperativa insieme; è una proiezione del se; ed è un luogo comune stratificato.

La Citadel LA, il “socialista nello spazio”, e altre immaginazioni: Edward W. Soja

I terzi pezzetto di spazio appartengono a Edward Soja che propone un viaggio intellettuale alla scoperta del cosiddetto “Terzo spazio”. Lo scopo è interrogare i concetti di luogo, località, paesaggio, città, spazio. Diventa urgente sottrarre la comprensione teorica e pratica dello spazio ai giochi linguistici della postmodernità e alle linee definitive della modernità. Il Terzo spazio è lo strumento concettuale , con il quale Soja intende fare leva sul dato per scontato dello spazio, quella dimensione invisibile che soltanto la “trialettica della spazialità” riesce a rendere visibile. L’idea nasce da Lefebvre che vuole dimostrare che lo spazio non è un medium neutro, ma rappresenta l’uso politico della conoscenza e che incarna un’utopia tecnologica. Si domanda Lefebvre se è possibile pensare lo spazio come semplice e passivo luogo di relazioni sociali. La risposta è no, dunque si deve dimostrare il ruolo attivo dello spazio. L’attacco critico di Lefebvre alle illusioni dell’idealismo e del materialismo ha come esito la trialettica della spazialità , espressione con la quale promuove un pensiero sullo spazio capace di tenere insieme, simultaneamente, le tre dimensioni (fisica, mentale, sociale) della spazialità umana.

Egli intende scardinare la regola del pensiero logico che presuppone il principio del terzo escluso. Inoltre, individua tra aspetti dello spazio sociale. Il primo è lo spazio percepito cha attiene alla pratica spaziale ; il secondo è quello concepito e rimanda alle rappresentazioni dello spazio ; il terzo è quello dello spazio della rappresentazione e fa i conti con lo spazio vissuto. Soja si sofferma a spiegare con precisione le tematiche che compongono la trialettica.

La pratica spaziale che Soja definirà Primo spazio , è il processo che garantisce la produzione e la riproduzione delle forme materiali dello spazio, quelle che assicurano e mantengono nel tempo la coesione sociale. Come tale esso è il medium dell’attività sociale ed è descritto come percepito, ovvero sensibile e aperto ad un’accurata descrizione e misurazione. Si tratta del fondamento materiale, dell’oggetto di interesse di tutte le discipline che studiano lo spazio. Le rappresentazioni dello spazio, che egli denomina. Secondo spazio , sono legate alle relazioni di produzione e all’ordine che tali relazioni impongono. Si tratta di uno spazio concettualizzato che si costituisce mediante il controllo della conoscenza, dei segni e dei codici, dove si mette in scena il potere e l’ideologia e si attiva il controllo e la sorveglianza. Gli spazi della rappresentazione, noti come Terzo spazio , incorporano i simbolismi complesso legati alla dimensione della vita sociale e dell’arte. Qui stanno insieme il reale e l’immaginazione, le cose e i pensieri.

Cap. 6: Paesaggi di superfice

Il paesaggio non è un sostantivo ma un verbo attivo; perciò, la domanda da porre è: che cosa fa, qual è il suo funzionamento. Ecco le tesi: 1. Il paesaggio non è un genere dell’arte ma un medium. 2. Il paesaggio è un medium di scambio tra dimensione umana e quella naturale, tra sé e l’altro. Perciò è come il denaro: privo di valore in sé, ma espressione di una riserva di valore potenzialmente senza limiti. 3. Come il denaro, il paesaggio è un geroglifico sociale che nasconde le basi del suo valore. Lo fa naturalizzando le sue convenzioni e rendendo convenzionale la sua natura. 4. Il paesaggio è una scena naturale mediata dalla cultura. È insieme uno spazio presentato e rappresentato, significante e significato, la cornice e ciò che tale cornice contiene. 5. Il paesaggio è un medium che di trova in tutte le culture. 6. Il paesaggio è un particolare formazione storica associata all’imperialismo europeo. 7. Le tesi 5 e 6 non si contraddicono tra di loro. 8. Il paesaggio è un medium esausto, non più disponibile come modalità di espressione artistica. Come la vita, il paesaggio è noioso, ma non si deve dire. 9. Il paesaggio della tesi 8 è uguale a quello della tesi 6.

Il paesaggio, per i nuovi geografi culturali, significa una complicata formazione ideologica e un processo politico ed economico di concreta appropriazione dello spazio. Tale formazione prevede l’attenta selezione di elementi funzionali. Il paesaggio è il supporto necessario alla realizzazione dei progetti e dei desideri di uno specifico gruppo di potere, poiché esso è in grado di controllare non solo la produzione di determinati significati e valori, ma anche la loro circolazione e condivisione. Il paesaggio si dà anche come rapporto dinamico tra la dimensione del temo e quella dello spazio, che chiama in causa una rappresentazione unificata della memoria collettiva e orienta il futuro.

Come simbolo , il paesaggio ufficiale della nazione è il dove in cui si articola, la quotidiana riproduzione della società civiltà; è dove si escludono alcuni pezzi di tale società, poiché quando un gruppo è escluso dal paesaggio nazione lo è anche per qualche grado dalla nazione stessa. La domanda è chi decide l’esclusione. I geografi culturali hanno usato approcci differenti per comprendere i meccanismi che trasformano determinati paesaggi in rappresentazioni dominanti. Il paesaggio è il paradigma di comprensione per il funzionamento del mondo e delle relazioni sociali, politiche, culturali che ne definiscono lo spazio. I geografi si preoccupano di comprendere in che modo gli imperi, gli stati e le nazioni sono stati immaginati, rappresentati e materialmente costruiti mediante i paesaggi. Così si arriva al presente coloniale della contemporaneità.

La geografia del Sacro Cuore

Tra i molteplici paesaggi politici raccontati dai geografi culturali, quello del marxista David Harvey , Monument and Myth , è esemplare. E lo è per almeno tre motivi: come spiegazione geografica del potere che ha disegnato uno dei monumenti simbolo di Parigi, per l’assunzione dello spazio come pregiudizio funzionale allo svolgimento degli eventi, per la sua posizione di inizio. La lezione di Harvey insegna così che ogni paesaggio, per poter funzionare davvero, deve prima di tutto cancellare e nascondere le relazioni sociali che lo hanno prodotto. La sua prima operazione è fare il punto e poi misurare con la vista l’intero spazio geografico parigino. È strategicamente collocata sulla collina di Montmartre, la Basilica del Sacro Cuore , tanto che le cupole di marmo bianco e il campanile sono visibili da ogni quartiere. La sua maestà custodisce e proietta sull’intera città il ricordo eterno di qualcosa, ma cosa?

Lo spazio concreto di tale immaginazione diventa un teatro, dove si mette in scena la linea che divide la finzione dalla realtà, il presente dal futuro. Gregory fa propria l’osservazione di Roxanne Euben , per la quale la domanda contiene già in sé la risposta ; essa rivela infatti un privilegio del potere troppo spesso non percepito, il lusso di non averlo mai dovuto conoscere.

Cap. 7: Corpi & Luoghi

Due sono i discorsi entro i quali la geografia iscrive le tematiche relative al concetto di corpo e luogo. Il primo parte dal punto di vista del processo di globalizzazione; il secondo, da quello che muove all’interno degli studi postcoloniali, osservando gli spazi coloniali di incontro e di resistenza. La globalizzazione può essere intesa come un processo, una condizione o un particolare progetto politico. Occorre dunque ridisegnare le mappe del mondo e dei corpi e stabilire le categorie che definiscono le nuove differenze. La riscoperta dell’uomo come strumento analitico è, per qualche verso, una risposta alla nuova immagine del mondo in forma di globo. L’uomo assume il significato di unico ente riducibile e stabile, in un mondo nel quale ogni stabile referente è sospeso dalla forma globale e tridimensionale del mondo stesso. Il corpo diviene una possibile luogo teorico da cui ricominciare a interrogarsi. Cruciale, in una simile considerazione è determinare le norme con le quali si costruiscono i valori, i significati e le significazioni. Avviato dalla seconda ondata della riflessione femminista, l’uomo è ricomposto e dotato nuovamente di un corpo, lasciandosi alle spalle quel soggetto trascendentale della modernità. Ci si accorge che il corpo è il luogo in cui si concentrano non soltanto le strategie disciplinari, ma anche quelle di appropriazione da parte del capitalismo.

Harvey mette in rilievo il nesso politico-economico tra locale e globale. Nella Geogtafia del manifesto , delinea le due categorie essenziali, corpo e luogo, la cui funzione è critica perché considerati dentro il processo di produzione e riproduzione dello spazio geografico del capitale. Per la geografia culturale, simili termini assegnano significati e appartengono, in parte, alla posizione femminista. Il corpo è luogo ed espressione di relazioni ineguali di potere, è il medium della divisione regolatoria dello spazio secondo la finzione culturale dei generi. Ogni corpo, in relazione alla propria posizione, è il luogo in cui si concentrano le costruzioni culturali e politiche. Quello che si intuisce è che il rapporto corpo/luogo concorre alla fondazione politica di un discorso geografico che prende di mira i pregiudizi e le categorie economiche dell’autoritario spazio disciplinare. Quello che ci si deve chiedere è per quale motivo la svolta nella geografia culturale decide di occupare questa posizione per esplorare e cartografare lo spazio politico dell’immaginazione geografica.

Il punto di partenza è il riconoscimento che la cultura occidentale moderna ha assegnato al corpo maschile e femminile etichette e significati differenti. La donna coincide con il proprio corpo e con la dimensione naturale, l’ uomo trascende da tale coincidenza. Sono le proiezioni del potere a definire la for-ma del corpo femminile all’interno della dimensione sociale. La geografia culturale femminista si accorge che il corpo è dove precipitano i meccanismi del dispiegamento del potere attraverso lo spazio. Il secondo punto da chiarire è il concetto di luogo. Per Elizabeth Grosz , questo concetto rimanda a quello di “chora”, il termine platonico per luogo e viene declinato al femminile, nell’accezione di nutrice, madre, ricettacolo. Chora è una sorta di spazio e di ragionamento sovversivo, è un luogo della politica, ed è politica dei luoghi; affonda le radici nel limite o terzo spazio.

Matthew Sparke a Newfoundland: “Mapped Bodies e Disembodied Maps”

Matthew Sparke inizia il saggio mettendo sul tavolo le carte iniziali. La prima è l’affermazione sull’importanza di ricostruire le geografie rivali di coloro che hanno combattuto contro l’imperialismo; la seconda è la formulazione di geografie rivali. Due sono le questioni al centro della geografia di Sparke: la violenza epistemica implicita nelle rappresentazioni metropolitane del puro spazio nativo , e le contestate traslazioni tra spazio e identità nazionale. Sono le mappe a fare da operatori epistemologici per una simile traduzione, così che per capirne le relazioni è necessario considerare le modalità con le quali i corpi sono stati compresi o espulsi dalle mappe. Il lavoro sull’archivio deve molto alla lezione di Spivak , poiché è da lei che Sparke prende la riflessione relativa all’iscrizione dei corpi morti dei nativi sulle cartografie sociali dell’India postcoloniale. Sono due le soglie che attraversa: la prima verso la colonizzazione; la seconda verso la nazione.

Importante è Shawnadithir , l’ultima dei beothics, che erano i nativi dell’isola prima che diventasse Newfoundland, che furono sterminati dalle malattie, la fame e le uccisioni. Con l’espressione “disembodied maps” l’autore si riferisce alla cartografia di Newfoundland , la terra che emerge all’orizzonte dell’immagina-zione geografica europea. L’immaginazione si nutre delle medesime linee: uno spazio bianco all’in-terno, e la forma della costa che si riempie di particolari. La storia degli indiani Beothuk di Newfoundland è doppiamente tragica: da un lato, per lo sterminio ad opera dei pescatori e altri gruppi di indiani, dall’altro perché il genocidio è l’esito di un mancato incontro di intenzioni finite mali. Non erano molto diversi dagli europei, dunque i colonizzatori per un meccanismo di trasfert, avanzarono il proprio diritto alla terra.

Quando a St. John venne fondato il “Beothuk institution ”, un ente che si pone il compito di educare Shawnadithir per trasfor

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Manuale di Geografia Culturale (Riassunto Completo)

Corso: Geografia culturale (1004627)

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“Manuale di Geografia Culturale” (Riassunto Completo)
PARTE PRIMA: Tradizioni Culturali
Introduzione
Il 1980 è l'anno in cui la geografia culturale anglosassone ridefinisce le proprie coordinate intellettuali, politiche e
accademiche, riposizionandosi al centro del dibattito della Human Geography anglo-americana. Essa aveva stabilito canoni
e temi, ma pur essendo potente sul piano delle politiche accademiche, era divenuta marginale su quello della produzione
disciplinare. La svolta coinvolge, all'inizio degli anni Ottanta, anche la Cultural Geography, facendola diventare un sapere e
una pratica del tutto inediti. Alla Berkeley school in California, Carl Sauer studiava il rapporto uomo-ambiente, gli aspetti
materiali della cultura, le forme del paesaggio e la loro diffusione. Negli anni Sessanta e settanta, in risposta a teoria
positivista, rivoluzione quantitativa e psicologia comportamentistica, i geografi culturali si barricano dietro la comprensione
storica dei mutamenti delle forme della società, rispettando i temi e i metodi saueriani. Si arriva al 1980 e alla nascita della
New Cultural Geography. La novità dipende dalla critica all'idea della cultura formulata dalla Berkeley School: una
variabile che ha il pregio di non spiegare nulla del suo funzionamento. Il tentativo è capirne il funzionamento interno
secondo un approccio sociologico e politico, capace di spiegare le differenti rappresentazioni e formazioni culturali. I
geografi sociali inglesi si rivolgono alla Cultural History e all'ambito dei Cultural Studies per orientare verso nuovi punti la
loro disciplina e definire il termine cultura. La New Cultural Geography promuove una nuova forma di sapere sullo spazio e
sui luoghi, legittimando voci e punti di vista nuovi, utilizzando risorse materiali inusuali, aprendo i confini disciplinari ai
metodi e ai temi del dibattito filosofico, della teoria letteraria, degli studi culturali e dell'antropologia.
Gli scopi e i metodi dei Cultural Studies funzionano da linee guida per i geografi che rispondono all'appello di Jackson.
1. Esaminare ogni oggetto di studio secondo i termini delle pratiche culturali e in relazione alle dimensioni del potere.
L'intenzione è rintracciare le relazioni del potere ed esaminare in che modo esse influenzino e diano forma alle
pratiche culturali.
2. Lo scopo dei Cultural studies non è studiare la cultura come entità discreta e separata dal contesto politico e sociale.
Ci si propone di capire la cultura nella complessità delle sue forme e di analizzare il contesto politico e sociale nel
quale essa si manifesta.
3. La cultura è sia l'oggetto dello studio, sia il luogo della critica politica e dell'azione. I cultural studies sono un'impresa
pragmatica e intellettuale.
4. I cultural studies mirano a superare la divisione che si dà tra le forme di sapere tacite e quelle oggettive.
5. I cultural studies si impegnano a una valutazione morale della società moderna e a una radicale linea di azione
politica.
Il rapido cambiamento è suggellato dall'etichetta "svolta culturale". I temi diventano lo spazio del potere, il significato e la
forma dei paesaggi delle aree metropolitane, la produzione delle pratiche discorsive, la natura politica e ideologica del
sapere scientifico, la rappresentazione dei corpi, la questione della differenza, il trans-nazionalismo e la diaspora, le pratiche
di trasgressione e resistenza, i femminismi e l'impresa coloniale. I temi classici di spazio, luogo e paesaggio, vengono
ridiscussi alla luce della teoria marxista, femminista, psicoanalitica e postmoderna. L'interesse per il rapporto
uomo/ambiente viene rinnovato dal dibattito sulle modalità con le quali le differenti società umane costruiscono il
significato dei due termini del rapporto. La centralità della nuova geografia culturale dipende da una duplice trasgressione
dei limiti disciplinari: si fuoriesce dai paradigmi interni del sapere geografico e si producono discorsi visibili anche in altri
ambiti del sapere. Lo scopo della geografia è spiegare l'insieme delle relazioni politiche, economiche e materiali responsabili
della costruzione dei paesaggi culturali in cui si collocano, si rafforzano e si legittimano tali definizioni.
Le domande sono:
Cosa rende significativa una differenza culturale?
Quali sono le origini e i processi che portano alla differenza culturale?
In che modo tali origini e processi sono legati agli sviluppi dell'economia politica?
Come si negozia, si contesta, si combatte un cambiamento culturale?
Chi ha il potere di produrre la cultura?
Chi hai il potere di definire che cosa sia una differenza culturale significativa?
La New Cultural Geography non è una conoscenza di base e chiama in causa una dimensione politica che vede nella New
Left il punto di partenza. Il manuale si divide in due parti: la prima è dedicata alla spiegazione degli strumenti concettuali
della disciplina, la seconda ne mostra la messa a punto; la prima si occupa di dare definizioni e di ricostruire le origini di una
tradizione, la seconda racconta in che modo paesaggio, spazio, luogo e corpo vengono riconsiderati e descritti dalla New
Cultural Geography.
Cap. 1: Una mappa per orientarsi tra direzioni, cultura e punti di vista