MASSIMILIANO d'Asburgo, arciduca d'Austria, imperatore del Messico in "Enciclopedia Italiana" - Treccani - Treccani

MASSIMILIANO d'Asburgo, arciduca d'Austria, imperatore del Messico

Enciclopedia Italiana (1934)

MASSIMILIANO d'Asburgo, arciduca d'Austria, imperatore del Messico

Giuseppe GALLAVRESI

Nato a Schönbrunn il 6 luglio 1832 dall'arciduca Francesco Carlo e dall'arciduchessa Sofia, principessa bavarese. Era il fratello minore dell'imperatore Francesco Giuseppe e fu avviato alla carriera della marina militare; vi si consacrò con grande passione e subito dopo la crisi del 1848-49, che aveva minacciato l'esistenza stessa dell'impero austriaco, iniziò quei grandi viaggi che rispondevano alle intime tendenze del suo spirito romantico. Di essi diede conto nella pubblicazione Mein erster Ausflug, Wanderungen in Griechenland (1868).

Il contraccolpo della guerra di Crimea e del congresso di Parigi rese frattanto desiderabile per il governo austriaco un ravvicinamento alle potenze occidentali, soprattutto all'Inghilterra, mutamento di rotta che esigeva un'attenuazione degli estremi rigori del regime militare inflitto alle provincie italiane dell'impero a partire dal 1848 e specialmente dal 1853. Il giovine imperatore Francesco Giuseppe fu indotto in tali circostanze a valersi dell'opera del fratello, che non era compromesso da alcuna responsabilità nella repressione spietata alla quale aveva presieduto il maresciallo J. v. Radetzky. Questi fu dunque collocato a riposo alla fine del 1857 e gli successe nella carica di governatore generale del regno Lombardo-Veneto appunto l'arciduca Massimiliano. Tre mesi innanzi, e precisamente il 2 dicembre 1856, era stata dall'imperatore promulgata un'amnistia ai condannati politici ed era stato tolto quel sequestro ai beni degli emigrati che aveva tanto nociuto al prestigio della monarchia, violandone le migliori tradizioni di governo. Francesco Giuseppe inaugurava così un nuovo viaggio nel Lombardo-Veneto, nel quale era accompagnato dal fratello, traendo . partito dalla simpatia che questi, non meno che la bella e pietosa imperatrice Elisabetta, suscitava nelle popolazioni soggette. Prima di ricevere effettivamente quella parte di potere, chiaritasi maggiore in apparenza che in sostanza, che la burocrazia sospettosa e dominatrice consentì lasciare all'arciduca, questi compì un viaggio all'estero, donde ritornò con la principessa Carlotta, figlia del re Leopoldo I, da lui sposata , il 27 luglio 1857 a Bruxelles, e con lei si stabilì a Milano il 6 settembre successivo.

L'arciduca si studiò subito di guadagnarsi gli animi della popolazione italiana, rivolgendosi per consiglio ai cittadini più autorevoli del ceto commerciale, tanto più che la maggior parte dell'aristocrazia della capitale lombarda, stretta intorno al conte F. Arese, al conte Gabrio Casati e a don Carlo d'Adda, evitava di proposito ogni contatto con la corte del principe straniero. Questi, raccogliendo i voti invano espressi da tempo dagli uomini d'affari del Lombardo-Veneto, promosse l'istituzione di una Cassa di sconto in Milano e favorì con tutte le sue forze la costituzione della Società per le ferrovie lombarde, assicurandole la collaborazione, accanto a banchieri esteri, di capitalisti italiani, quali il duca di Galliera, il duca Lodovico Melzi e il conte Archinto. Minore successo ebbero i tentativi dell'arciduca di guadagnarsi i rappresentanti della cultura. L'intervento a qualche seduta dell'Istituto lombardo, presieduto dal veterano napoleonico barone Camillo Vacani, offrì il destro all'arciduca per cortesie e inviti ai membri di quel corpo accademico, che per lo più si schermirono. La più illustre recluta in questo campo fu lo storico Cesare Cantù, un tempo imprigionato dal governo austriaco e che era stato fra i più accesi fautori della resistenza nelle tragiche giornate dell'agosto 1848. M. ottenne a fatica da Valentino Pasini, già inviato della repubblica veneta nel 1849, un memoriale sul pareggiamento dell'imposta fondiaria e dall'economista cremonese Stefano Jacini un lavoro sulla critica situazione della Valtellina; ma lo stesso Jacini e il Restelli, invitati a cooperare a una riforma del pubblico insegnamento, si sottrassero alle sollecitazioni del principe. Questi riuscì appena ad allargare un poco la cerchia sino allora ristrettissima degl'Italiani di qualche merito disposti ad assumere responsabilità di governo nel Lombardo-Veneto; ma l'ostinazione del gabinetto di Vienna nel combattere le proposte dell'arciduca per una maggiore autonomia alle provincie lombarde e venete facilitò la propaganda intransigente dei capi del partito nazionale che, seguendo le istruzioni di Cavour, screditò dall'inizio il tentativo tardivo e vano, se anche compiuto in buona fede da Massimiliano, di riconciliare con l'Austria gl'Italiani. Il solo effetto degli sforzi dell'arciduca fu di rendere molti conservatori inglesi esitanti di fronte alle affermazioni dei patrioti sull'inconciliabilità degl'Italiani con la dominazione austriaca.

La guerra del 1859 distrusse le ultime illusioni di M. e dei suoi scarsi fautori. Finita la guerra, l'arciduca, che aveva ripreso la sua attività nella flotta austriaca e si era stabilito con la moglie nel castello di Miramare presso Trieste, compì un viaggio nell'America Meridionale. Rimontano a quell'epoca le aspirazioni di un conservatore messicano rifugiatosi in Europa, José Miguel Gutiérrez de Estrada, di ottenere l'adesione dell'arciduca a un disegno da lui vagheggiato per restaurare nel paese nativo la forma monarchica. L'ambasciatore austriaco a Parigi, principe Riccardo di Metternich, cercò invano di convincere l'arciduca della fragilità dei disegni di quell'onesto sognatore, ormai senza nessun seguito in patria. La sua opera fu resa vana dal favore che l'arciduchessa Carlotta e gli stessi sovrani francesi accordarono agl'intrighi degli esuli messicani con le potenze europee Inghilterra, Spagna e Francia, indotte a una spedizione militare in quelle lontane terre dalla lusinga di ricuperare importanti crediti di loro connazionali verso il governo repubblicano che faceva capo a B. Juárez. La Spagna e l'Inghilterra si ritrassero dalla partecipazione alla spedizione messicana, ma Napoleone non rinunciò per questo al miraggio d'intervenire nell'organizzazione dell'America latina, profittando della guerra di secessione che paralizzava gli Stati Uniti. M., illuso sull'importanza del movimento monarchico disegnatosi nel Messico all'ombra delle baionette francesi, accettò nel 1864 la corona offertagli, rinunciando agli eventuali diritti alla successione al trono austriaco. Stipulò una convenzione col governo francese che gli assicurava per tre anni il mantenimento di un esercito di ventimila uomini, comandati dal gen. F.-A. Bazaine. Recatosi laggiù, M. si trovò vieppiù isolato e, quando (1867) le truppe francesi s'imbarcarono per invito formale del governo degli Stati Uniti, l'imperatore, dopo alcuni mesi di lotta, fu consegnato per tradimento nelle mani del Juárez che lo fece fucilare a Queretaro il 19 giugno 1867 (v. messico).

Bibl.: Ricordi autobiografici dell'infelice principe furono pubblicati postumi col titolo Aus meinem Leben, voll. 7, Lipsia 1867. V. inoltre E. C. Corti, Maximilian u. Charlotte von Mexico, voll. 2, Vienna 1924.

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