Ucraina, si teme il tracollo. L’extrema ratio al vaglio della Nato - la Repubblica

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Ucraina, si teme il tracollo. L’extrema ratio al vaglio della Nato: ecco le linee rosse per l’intervento diretto

Ucraina, si teme il tracollo. L’extrema ratio al vaglio della Nato: ecco le linee rosse per l’intervento diretto
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100mila uomini pronti all’intervento se Putin coinvolge altri Paesi. Si spera nell’effetto deterrenza. E oggi Macron vede Xi: “Fermi Mosca”
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È la prima volta, dall’inizio della guerra. La Nato, in maniera molto riservata e senza comunicazioni ufficiali, ha fissato almeno due linee rosse, superate le quali ci potrebbe essere un intervento diretto nel conflitto in Ucraina. Al momento, va sottolineato, non esistono piani operativi che prevedano l’invio di uomini, ma soltanto valutazioni su possibili piani d’emergenza - una vera e propria extrema ratio - nel caso ci fosse il coinvolgimento di soggetti terzi nella guerra.

Le linee rosse

Ecco, la prima “linea rossa” è proprio questa: la partecipazione diretta o indiretta di una terza parte nel teatro ucraino. Un’eventualità accompagnata da paure e timori. Da remore e vincoli morali. E che ruota attorno alla possibilità che la Russia penetri le linee di difesa di Kiev. Il confine russo-ucraino, del resto, è lunghissimo e vulnerabile. Le truppe di Zelensky non sono più in grado di controllarlo per intero. Ma il vero incubo riguarda il possibile sfondamento a Nord-ovest. Perché? Perché creerebbe un corridoio tra Kiev e la Bielorussia. Un’opzione tattica giudicata plausibile di recente da diversi analisti alleati. Minsk a quel punto verrebbe inglobata direttamente nella contesa militare. Le sue truppe e il suo arsenale sarebbero determinanti per Mosca. E questa circostanza non potrebbe che attivare la difesa in favore dell’Ucraina.

La seconda opzione riguarda una provocazione militare contro i baltici o la Polonia, oppure un attacco mirato contro la Moldavia. Non si tratta necessariamente di un’invasione – che potrebbe seguire a un’offensiva su Odessa – ma anche solo di un affondo militare per testare la reazione occidentale. Un tentativo che potrebbe essere effettuato anche per saggiare la capacità di reazione del fronte alleato in una fase di possibile confusione: la stagione elettorale in Europa e in Usa può indurre il Cremlino a pensare che la Nato sia distratta. L’Alleanza, però, non sarebbe disposta a tollerare un’aggressione del genere.

FILE PHOTO: Ukrainian servicemen of 79th brigade take part in training, amid Russia's attack on Ukraine, in Donetsk region, Ukraine March 4, 2024. REUTERS/Oleksandr Ratushniak/File Photo
FILE PHOTO: Ukrainian servicemen of 79th brigade take part in training, amid Russia's attack on Ukraine, in Donetsk region, Ukraine March 4, 2024. REUTERS/Oleksandr Ratushniak/File Photo (reuters)

La preoccupazione per il Donbass

Per comprendere la delicatezza del momento, bisogna spostare l’attenzione sul fronte orientale del conflitto. Le Cancellerie europee seguono con profonda preoccupazione gli sviluppi dell’offensiva russa nel Donbass. L’ipotesi di un tracollo militare delle truppe di Zelensky non è più escluso. Ecco perché per i leader occidentali diventa vitale lanciare un messaggio chiaro a Vladimir Putin: un conto è penetrare a fondo nei territori orientali, altro conquistare la capitale o coinvolgere Stati terzi nella guerra. In altri termini: l’Ucraina non può perdere e l’Alleanza atlantica è pronta a intervenire direttamente per evitare il collasso di Kiev.

Il terreno racconta di una strategia già pronta e di truppe schierate, in caso d’emergenza. Lungo il confine orientale dell’Europa - Paesi baltici, in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania - la Nato può già contare su oltre 100 mila soldati, tra quelli già schierati e quelli che verrebbero mobilitati in pochi giorni nell’ambito della “Response Force”. In un mese, ha spiegato di recente il capo di Stato maggiore polacco, potrebbero essere raddoppiati, entro sei mesi triplicati. Sarebbero loro a essere chiamati a intervenire, partendo dalle basi dell’Alleanza che ospitano anche caccia e armamenti di ogni tipo. Tenendo presente che in realtà un migliaio di effettivi “occidentali” (quasi la meta polacchi) sono già attivi in incognito sul territorio ucraino. Un’eventuale reazione occidentale procederebbe però per gradi: il primo asset a essere mobilitato sarebbe l’aeronautica, mentre le truppe di terra rappresenterebbero soltanto l’extrema ratio di un’eventuale escalation.

Condizioni sfavorevoli per Kiev

E d’altra parte l’allarme, già alto per la carenza di scorte e uomini a disposizione degli ucraini, è diventato altissimo a causa di altre due condizioni sfavorevoli a Kiev. La prima riguarda il meteo, che ha già permesso l’avvio della controffensiva russa di primavera: la stagione estiva, con le nevi ormai sciolte e il fango asciutto, è favorevole all’avanzata dell’esercito di Putin. Il secondo fattore - come si diceva- è politico. Nei prossimi mesi, Europa e Stati Uniti saranno impegnati in due campagne elettorali incerte e capaci di rallentare ogni decisione operativa. È la condizione ideale per Putin, consapevole di poter approfittare della distrazione delle opinioni pubbliche occidentali – e della debolezza dei suoi leader – per conquistare terreno e avvicinarsi minacciosamente ai confini del continente. È lo spettro che la Nato intende allontanare.

Di nuovo, va ribadito: si tratta per ora di scenari pessimistici. Possibili, però. E valutati dai leader occidentali. Ne è consapevole Giorgia Meloni, che ha l’onere di presiedere il G7 e rischia di dover maneggiare una crisi drammatica con una coalizione di governo spaccata. Alla luce di queste notizie, si comprendono meglio le parole di Emmanuel Macron. Si è esposto molto nelle ultime settimane, chiedendo ai partner europei di non escludere alcuna opzione. Un segnale chiaro, lanciato da una potenza nucleare. Deterrenza verbale pronta a diventare azione sul terreno. È lo stesso motivo per cui il Regno Unito – a capo di una coalizione composta da Varsavia, olandesi e baltici – preme per un coinvolgimento diretto. La mossa di Macron traduce insomma gli scenari d’emergenza di cui si ragiona ai vertici Nato. Lo fa a poche ore da un passaggio chiave: la visita di Xi Jinping a Parigi. La Francia, trapela dall’Eliseo, solleciterà Xi a usare la sua influenza su Putin. «Oggi non è nell’interesse della Cina avere una Russia che destabilizza l’ordine internazionale – è la linea del francese, che terrà anche un trilaterale con Ursula von der Leyen - Dobbiamo quindi lavorare con la Cina per costruire la pace».

Le difficoltà delle difese europee

Deterrenza, ancora. Accompagnata dalla consapevolezza che un conflitto diretto presenta comunque difficoltà operative enormi. E ritardi strutturali. Parigi, ad esempio, è in grado di inviare non più di 20 mila uomini in tempi rapidi. Ma soprattutto, non sarebbe in condizione di sostenere uno scontro prolungato. Secondo l’ex comandante delle Forze aeree strategiche Bruno Maigret, citato in un rapporto parlamentare, in un conflitto ad alta intensità l’Aeronautica francese non avrebbe più aerei disponibili in 10 giorni e, probabilmente, non avrebbe a disposizione missili dopo due giorni. Stime simili, in alcuni casi peggiori, valgono per i principali Paesi europei: carenza di artiglieria, linee di produzione dell’industria militare con tempi lunghi e incompatibili con l’emergenza, eserciti iper specializzati e dunque dai numeri ridotti, di certo non paragonabili a quelli dei Paesi in cui vige la leva di massa. Senza sottovalutare la carenza di materie prime, che non aiuterebbe lo sforzo bellico neanche in un’eventuale riconversione in economia di guerra. Certo, esistono le basi americane nel continente, con la loro potenza di fuoco e la capacità di difesa, anche nucleare. Ecco perché la Nato, oggi, non esclude più alcuno scenario. Per puntare sulla deterrenza. Per allontanare la possibilità che uno scontro diretto diventi realtà.

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