La confessione di Mathieu Amalric: «Io la più grande star del cinema o il più bravo musicista della storia? Ecco perché sceglierei la musica» | Corriere.it

La confessione di Mathieu Amalric: «Io la più grande star del cinema o il più bravo musicista della storia? Ecco perché sceglierei la musica»

diFabrizio Dividi

L'attore e regista francese trascorrerà i prossimi tre giorni a Torino, «impegnato tra Jazz Festival, Cinema Massimo e da turista» 

«Disturbo? Macché, sono in pausa sul set berlinese di Wes Anderson e ringrazio per il vostro interesse». Mathieu Amalric si dimostra eccitato all’idea di trascorrere i prossimi tre giorni a Torino, «impegnato tra Jazz Festival, Cinema Massimo e come semplice turista». Interprete di film preziosi come Lo scafandro e la farfalla di Schnabel, Venere in Pelliccia di Polanski e Cosmopolis di Cronenberg, oltre a ricoprire quel sempre ambito ruolo del «villain» di 007 in Quantum of Solace, stasera 27 aprile (alle 20.30) e domani 28 aprile (10.30) incontrerà il pubblico del Massimo al termine di Zorn 2 e 3, documentari-omaggio a John Zorn, protagonista del concerto del Tjf di domani sera al Lingotto. «Seguo John con ammirazione e amicizia da molti anni e lo farò ancora, perché questo “lungo film” non avrà mai fine».

La possiamo chiamare ossessione?
«Potrebbe sembrare così, ma in realtà questo progetto in divenire è molto più gioioso: lo definirei “energia pura”, non certo una “camicia di forza” (in italiano, ndr)».

Un progetto in evoluzione che dallo stile «sporco» e discreto del vol. 1, si fa sempre più formalmente elegante e, infine, intimo e filosofico. È d’accordo?
«Sono felice che sia percepito così, ed è plausibile perché segue le fasi del mio rapporto con John. All’inizio, era caratterizzato da una sorta di stupore infantile che mi spingeva a catturare qualunque espressione della sua musica; poi sono stato mosso dall’esigenza di studiare la sua arte e le sue implicazioni più sottili».

C’è un filo rosso che li unisce?
«Non c’è alcun piano preordinato né uno script: una libertà possibile perché si tratta di un film completamente autoprodotto, sostenuto solo dall’amicizia che ci lega. Unico obiettivo? Con la montatrice Caroline Detournay, proviamo a catturare la sua anima».

Ipotesi sul 4° episodio?
«Non ne ho idea. È questo il bello. Ma posso dire che domenica sarò al Torino Jazz Festival con la mia telecamera e il mio mixer. Chissà che anche la vostra città non sia protagonista del mio prossimo capitolo».

A Torino farà anche il turista?
«È una città che ho visitato nell’estate dello scorso anno con mio figlio. Abbiamo passeggiato per il centro, e visitato i suoi musei; ma siamo anche andati ad ammirare la spettacolare Sacra di San Michele, che fu fonte d’ispirazione per Il nome della Rosa, e i laghi di Avigliana. Insomma, sono felice di tornarci per un intero weekend».

La sua versatilità sulla scena come quella di John Zorn in musica: concorda?
«È quello che mi dicono i miei amici, anche se a livello cosciente non saprei risponderle. Di sicuro, come lui, non amo essere etichettato; preferisco esplorare nuove frontiere, meglio se con un pizzico di umorismo».

E se potesse scegliere di diventare la più grande star del cinema o il più bravo musicista della storia?
«Musicista, è ovvio. La musica è una passione intima, mentre il cinema, dove ho fatto di tutto, dal montatore al regista e attore, è il mio lavoro. Ma ricordo anche, come dice Zorn, che “se ti senti il miglior musicista in un gruppo, allora sei nel gruppo sbagliato”. In una band deve regnare equilibrio, non serve essere i migliori».

«Gli artisti del circo sono i partigiani dell’arte. La loro resistenza è commovente». Ricorda questa frase?
«“Olalà!”, ma certo». È la magnifica battuta che Moretti ha scritto per me ne Il sol dell’Avvenire. Non conoscevo Nanni di persona prima di questo film, se non apprezzandolo attraverso il suo cinema. Quando mi ha chiamato è stato come ne La rosa purpurea del Cairo: sono entrato nello schermo e ho incontrato il mio eroe».

Si sente anche lei «partigiano dell’arte»?
«Viviamo un periodo difficile, a tratti senza speranza; ma l’arte, da secoli, è tra le poche forme di resistenza che non si arrende mai. Noi artisti dobbiamo solo continuare a farlo: ancora, ancora e per sempre». 

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27 aprile 2024 ( modifica il 27 aprile 2024 | 09:21)