I sequestri piemontesi del 1821 e il principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna
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Propriété et politique : exil, séquestres, confiscations dans l'Italie du XIXe / Proprietà e politica : esilio sequestri e confische nel lungo Ottocento italiano
Piemonte

I sequestri piemontesi del 1821 e il principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna

Silvia Cavicchioli

Abstracts

Emanuele Dal Pozzo della Cisterna, one of the most famous Piedmontese liberal man during the Restoration, was arrested in March 1821, a few days before the outbreak of constitutional motions. Exile in Switzerland and then in Paris he was condemned to death in absentia. The analysis of his great heritage, which was confiscated, represents an excellent case study on the requisitions of properties which, compared to that of other comrades’ possessions, allows to make general considerations on the strategies followed by the exiles to protect their financial positions and on the politics followed by the Savoy monarchy in the expropriation of properties.

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Full text

  • 1 Desidero ringraziare Ester De Fort, Maria Gattullo e Gian Savino Pene Vidari per il prezioso confro (...)

1Alle due del pomeriggio di venerdì 2 marzo 1821, a Torino, in un cortile del commissariato di polizia, due mastri di carrozza, insieme a due garzoni e a un sellaro, avevano iniziato un lavoro durato alcune ore. Ben cinque professionisti del mestiere avevano quasi smontato la carrozza a quattro ruote, gialla e celeste, loro affidata. Divelto un sedile ne avevano trovato un altro di copertura a un ripostiglio ; nello schienale, tolta la fodera, avevano scoperto due vani segreti ; e così sotto un’altra imbottitura : alla ricerca di qualunque indizio, anche minimo, che potesse essere sfuggito alla polizia frontaliera savoiarda, che prima di loro aveva perquisito da cima a fondo la vettura1. Così accadeva in quei tempi di rivolgimenti, di stretta sorveglianza di viaggiatori e forestieri, di sospetti e di spie, di messaggeri occulti e di documenti cifrati ; e la polizia doveva affidarsi alla perizia di artigiani dove non poteva arrivare con le sue sole forze.

2La carrozza dai doppi e tripli fondi apparteneva a un certo Francesco Chimelli, trentenne originario di Trento, già commerciante di seta tra Amburgo e Vienna, proveniente da Parigi - dove era entrato in società nella casa d’affari Blanc - e diretto a Torino. Costui il 28 febbraio era stato fermato a Pont Beauvoisin in Savoia, al confine tra la Francia e il regno di Sardegna. Una prima perlustrazione della sua carrozza effettuata a Chambéry aveva portato alla luce documenti sospetti, per cui Chimelli era stato arrestato e trattenuto in caserma. Da una cassa prontamente sigillata e inviata via corriere a Torino, tra libri e oggetti personali, erano emerse lettere varie inviate dal principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna : carte politiche compromettenti perché chiamavano in causa lo stesso Carlo Alberto principe di Carignano. Quelle prove erano state più che sufficienti a mettere in moto un meccanismo a catena che nel giro di poche ore aveva portato ad altre perquisizioni e all’arresto in Piemonte di personaggi di spicco come Demetrio Turinetti di Priero e Ettore Perrone di San Martino, subito rinchiusi nelle carceri rispettivamente di Ivrea e Fenestrelle. L’allarme, immediatamente propagatosi fra i congiurati, non aveva però impedito che un altro pesce grosso finisse nella rete, un personaggio pure proveniente da Parigi e atteso dai cospiratori a Torino, come le carte rinvenute all’emissario che l’aveva preceduto lasciavano intendere ; ma che non fu avvertito in tempo. Il suo, dunque, del 4 marzo era stato un arresto annunciato, come lo stesso principe avrebbe raccontato un anno più tardi :

  • 2 Archivio di Stato di Biella, Famiglia Dal Pozzo Della Cisterna, Storia della famiglia Dal Pozzo (d (...)

Arrivai al Pont Beauvoisin alle 3 del pomeriggio. Appena dopo aver passato la frontiera, notai che un carabiniere parlò al postiglione e lo seguì a fianco della carrozza. A ciò non diedi all’inizio alcuna importanza, solamente mi parve di sentirlo dare l’ordine di entrare nel cortile della Dogana. Essendo breve la distanza vi arrivammo un attimo dopo. Appena arrivati nel cortile, si chiuse il portone, dei carabinieri circondarono la carrozza e un commissario di polizia con i gradi, aprì rispettosamente la portiera dicendomi con una voce turbata che aveva l’ordine di arrestarmi. Il momento di sorpresa che avevo provato era già passato2.

  • 3 ASTo, A.P., Processi Politici del 1821, b. 51, Volume 2.do, Titoli ed Atti della Polizia all’appog (...)

3Esattamente dodici ore più tardi, dopo aver espletato tutte le formalità presso la stazione di polizia di Chambéry, il principe Emanuele della Cisterna partiva alla volta di Torino, ma non più da uomo libero. Sulla sua brisca gialla filettata di nero si accomodarono anche due carabinieri reali, responsabili di una preziosa cassa di documenti a cui erano stati posti i sigilli. Come se non bastasse il calesse fu scortato per tutto il tragitto da altri due carabinieri a cavallo, a svelare a chiunque lungo la strada la straordinarietà del convoglio. Probabilmente durante il viaggio Dal Pozzo non ebbe un atteggiamento molto diverso da quello che aveva tenuto da Pont Beauvoisin a Chambéry : « mostravasi tranquillo ma il suo volto era pallido, abbattuto e stavasene pensieroso »3. Con altrettanta probabilità il principe dovette pensare alle conseguenze immediate di quell’avvenimento, al modo di venirne fuori limitando i danni, alle persone che aveva potuto compromettere, e soprattutto, a quali strategie ricorrere per riuscire in qualche maniera a proteggere l’immenso patrimonio che il padre gli aveva lasciato in eredità due anni prima. Dobbiamo allora fare un passo indietro per dare una sommaria idea delle sue ricchezze, e comprendere perché l’esempio di Dal Pozzo rappresenti un caso eccellente di studio sui sequestri dei moti del ’21 e sulle strategie messe in atto dalle élites subalpine per tutelare le posizioni finanziarie raggiunte.


  • 4 Se nei primi anni della dominazione francese il patrimonio dei principi ammontava a L. 1.880.613, (...)
  • 5 Il suo mecenatismo era già proverbiale al suo tempo : « uno de’ più illuminati Protettori delle be (...)

4La famiglia dei principi della Cisterna era una delle più illustri del Piemonte. Con possedimenti a Torino, a Biella - dove la presenza del ramo principale era attestata sin dal XIII secolo -, a Rivoli, nell’Astigiano, il suo patrimonio era tra i venti più ricchi del regno sardo4. Emanuele era nato nel 1789 dalle seconde nozze con Carlotta Balbo Bertone di Sambuy di Giuseppe Alfonso, primo scudiero e gentiluomo di camera del principe di Piemonte nel 1780, poi luogotenente colonnello nelle truppe di cavalleria e dragoni, dotato di raffinata cultura e continuatore di quello spirito mecenatesco che aveva già contraddistinto l’antenato Cassiano5.

  • 6 Cassetti – Signorelli 2004, p. 22-30.

5È a lui che, in linea con la tendenza della nobiltà subalpina del Settecento di lasciare le dimore di campagna per trasformare i propri palazzi torinesi nelle residenze stabili principali, si devono i lavori di ampliamento e abbellimento (1773-1787) del magnifico palazzo familiare nell’isola dell’Assunta a Torino, realizzati grazie a vendite di terreni feudali del marchesato di Voghera6.

  • 7 Cicotero 1970, p. 57-67.

6Ora, contemporaneamente, grazie alla vendita di beni della primogenitura feudale di Biella e Borriana, Giuseppe Alfonso provvide all’acquisto dell’adiacente palazzo già Ponte Spatis, con la precisa intenzione di trasformarlo in una grande casa da pigione di impianto signorile. Alla fine il nuovo fabbricato, con fronte su tre vie, conterà al piano terra una ventina di botteghe, 8 scuderie e 5 rimesse ; un ammezzato, un primo e secondo piano nobile e un terzo piano, comprendenti ciascuno 45 vani di varie dimensioni, e infine 45 soffitte. Insomma quasi un totale di 250 vani, che verrà presto animato da nobili, alti dignitari di corte e borghesi con una moltitudine di servi, e anche da famiglie artigiane, in una tipica commistione abitativa che caratterizza la Torino a cavallo tra Sette e Ottocento7.

  • 8 ASBI, Dal Pozzo, Disegni, n. 233 ; Cicotero, p. 54-57.
  • 9 L. 4.500 ca., di cui ben L. 2.700 provenienti dal conte Nicolis di Robilant. ASBI, Dal Pozzo, m. 2 (...)
  • 10 Rientrato a Torino aveva accettato onori e uffici da Napoleone, al pari di molti altri capofamigli (...)

7Il « Palazzo a latere », separato dal palazzo d’abitazione del principe da uno splendido « giardino a fiori », era destinato a divenire una fruttuosa casa di reddito, come ben si può visualizzare nella dettagliata Pianta regolare dei due Palazzi e giardino proprj del Sig. Alfonso del Pozzo della Cisterna del 18068. Il principe aveva fatto bene i suoi calcoli : presto i nuovi proventi si sarebbero aggiunti a quelli annuali già percepiti per gli affitti di una parte del palazzo padronale9, ed egli si presentava agli occhi dei concittadini come uno dei più raffinati e ricchi locatori di Torino. Questa florida situazione patrimoniale rischiò di essere compromessa nei momenti di instabilità provocata dalle congiunture politiche di fine Settecento quando, con l’occupazione francese del Piemonte, Giuseppe Alfonso dovette subire massicce contribuzioni forzate e venne condotto quale ostaggio della repubblica a Digione. Una circostanza che, insieme ad altre, gli permise una maggiore disinvoltura nel momento in cui, al ritorno dei Savoia, inviò a Vittorio Emanuele una testimonianza di fedeltà10.

8Come mettere al riparo tutto questo patrimonio dovette dunque essere certamente in cima alle preoccupazioni di Emanuele della Cisterna in quei primi giorni di marzo del 1821 in cui speranze, incertezze, paure si sommavano nelle menti e nei cuori di quanti avevano partecipato, con ruoli diversi e diverse responsabilità, alla preparazione dei moti.

  • 11 Talamo 2000, p. 468-474.

9L’arresto del principe, scortato a Torino e poi rinchiuso a Fenestrelle, fu uno degli episodi più eclatanti del ‘21, citato da tutta la storiografia sui moti11. Dai vari documenti sequestrati a Chimelli e a Dal Pozzo, in particolare dalle missive di Angeloni per Gifflenga e Collegno, emergeva un quadro pregiudizievole che non lasciava dubbi circa il ruolo di primo piano dei reclusi e l’imminenza della rivolta. E tuttavia, non avendo tolto alla congiura gli altri suoi capi, l’arresto non bastò a impedire che il moto costituzionale alla fine scoppiasse e si propagasse entro i confini del regno sardo, anzi ne accelerò gli esiti. Ogni indugio fu rotto già la sera del 6 marzo e da lì in avanti tutto precipitò, tra incomprensioni, illusioni, voltafaccia assai noti.

  • 12 Marsengo – Parlato 1982, p. 154.
  • 13 Torta 1908, p. 235-236.
  • 14 Damilano 2011, p. 184.
  • 15 Torta 1908, p. 172.
  • 16 ASBI, Dal Pozzo, Testamenti e successioni, m. 29, Successioni, G. Alfonso di G. Amedeo, 1819 ; m. (...)

10Il 13 marzo, dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele I, Dal Pozzo fu liberato « per ordine verbale di S.A. il Principe reggente »12. Il giorno successivo un decreto di Carlo Alberto lo comprendeva fra i primi 15 membri della giunta provvisoria di governo, ai cui lavori tuttavia non prese parte alcuna13, poiché malato (fu salassato con due grossi vescicatori applicati alle braccia14). La successiva fuga a Novara del principe di Carignano lo allarmò : convinto che ogni speranza fosse ormai perduta, il 22 marzo Dal Pozzo partì con Turinetti per Ginevra. Alla fine del mese l’apparente consolidamento del regime costituzionale lo convinse a ritornare a Torino, dove rimase sino alla sconfitta15. Fu in questo fugace soggiorno nella città natale prima di rimettersi nuovamente in viaggio, questa volta da esule, che il principe della Cisterna mise in salvo i quadri più prestigiosi della sua collezione, poi approdati nella sua abitazione parigina di rue de Poitiers 8 (il raffronto tra gli inventari del 1819 e quelli successivi consente di formulare delle ipotesi sulle vendite a collezionisti francesi come mezzo di sostentamento nell’esilio)16. Quindi elaborò una strategia di protezione delle proprietà avite, di cui parleremo appresso. Prima occorrerà seguire a grandi linee l’esito più immediato della sua vicenda giudiziaria.

  • 17 Lemmi 1923, p. 6.
  • 18 Marsengo – Parlato 1982, p. 114-116.
  • 19 Questa è l’interpretazione che ne diede per la prima volta acutamente Soriga 1927. Confalonieri ne (...)
  • 20 Il 30 dicembre 1819 gli aveva affittato uno spazioso appartamento del palazzo padronale, per un ca (...)
  • 21 Il 23 marzo 1822 il barone De Daiser, incaricato d’affari dell’imperatore d’Austria, richiedeva gl (...)

11Mentre Dal Pozzo si trovava già da settimane oltre confine, a Torino muoveva infatti i primi passi la complessa ed efficace macchina giudiziaria della regia Delegazione, nominata il 26 aprile, che nell’arco di pochi mesi avrebbe valutato, giudicato ed emesso tutte le condanne nei confronti dei sudditi del regno di Sardegna che avevano aderito ai moti. Le carte requisite che incriminavano il principe della Cisterna gli erano state restituite brevi manu, altre disperse nei giorni della rivolta (tra queste gli originali delle lettere che compromettevano Carlo Alberto) : del loro contenuto fu resa testimonianza orale dagli ufficiali di polizia che le avevano viste e in alcuni casi decifrate, e delle quali avevano conservato memoria o trascritto brevi estratti17. Su questi ricordi e appunti fu condotto il processo e la condanna di Dal Pozzo, Turinetti, Perrone. Tra tutti i documenti rinvenuti nella carrozza era la lettera a Priero il più compromettente che, oltre a pregiudicare il reggente, alludeva a una trama dalle origini non soltanto italiane18. In effetti Dal Pozzo e Perrone avevano da tempo intrecciato relazioni amichevoli con esponenti del liberalismo francese e con italiani emigrati oltralpe, agevolando i contatti tra questi e i patrioti italiani19. Dunque il reale coinvolgimento politico di Dal Pozzo può essere compreso solo considerando i moti sul piano delle connessioni internazionali cui non erano probabilmente estranei l’ambasciatore francese e l’ex ambasciatore spagnolo a Torino, Bardaxí y Azara, il quale - non è mai stato evidenziato in sede storica - era stato proprio uno degli affittuari del palazzo della Cisterna20. Non solo : alcuni documenti inediti confermano come il processo contro Dal Pozzo, Priero e Perrone interessasse direttamente anche l’Austria, poiché i tre personaggi venivano messi in relazione diretta con Confalonieri e altri membri della cospirazione milanese21.

  • 22 Santarosa 1849, p. 65, 140-141. Va detto che la seconda e la terza edizione dell’opera di Santaros (...)
  • 23 « Fu de’ capi, in apparenza, ma inconscio delle segrete mene delle vendite centrali ». Manno 1879² (...)
  • 24 Luzio 1908, p. 5, 91, 94.

12Le prove consistenti del coinvolgimento, e del possesso di informazioni, di Emanuele della Cisterna poterono venire alla luce solo intorno agli anni Venti del Novecento, quando finalmente caddero i vincoli censori sulla documentazione archivistica. Esse chiarirono come assieme a Moffa di Lisio, Perrone e Turinetti, il principe fosse stato fautore di un graduale passaggio dall’antico al nuovo ordine di cose e propugnatore della costituzione francese concessa da Luigi XVIII, abbracciando cioè la posizione di un’aristocrazia liberale moderata in dissidio con posizioni carbonare sostenitrici della costituzione spagnola. In effetti dai frammenti documentari e dalle trascrizioni degli investigatori, emerge un principe della Cisterna decisamente attendista e critico, esortante alla massima prudenza, e arrendevole rispetto alle posizioni più estremiste spalleggiate da Bardaxí che voleva accelerare l’impresa di preparare la rivoluzione (impressioni poi confermate dai rapporti segreti trasmessi a Torino da emissari sotto falso nome mandati sulle tracce dei fuggiaschi). Tuttavia un punto è certo : che se la posizione di Dal Pozzo fu di adesione convinta ma moderata, la memorialistica e la pubblicistica successiva operarono nel senso di ridimensionare le sue responsabilità ; a cominciare proprio dalle sue memorie, un documento in massima parte inedito, compilato negli anni dell’esilio parigino con un evidente intento autoassolutorio. L’idea di una complicità sfumata fu divulgata a caldo soprattutto da Santarosa, il quale tentò di scagionarlo in ogni modo dal coinvolgimento nella cospirazione di marzo, nonostante l’autore ricordasse poi come « la nobiltà dell’animo e le alte doti personali suggerivanlo per capo partito, da meritare tanto più la confidenza dei liberali italiani »22. Ancora Manno cercò di discolparlo23, e i giudizi sul ruolo marginale del principe della Cisterna furono poi ripresi ampiamente dalla storiografia successiva, a cominciare da Luzio24.

  • 25 Marsengo – Parlato 1982, p. 154.

13Tuttavia le attenuanti riconosciute già nei giudizi dei contemporanei non furono sufficienti a salvarlo dalla più dura delle condanne. La sentenza emanata il 10 agosto 1821 stabiliva che il principe aveva avuto relazioni con il Comité directeur e con i liberali francesi, fungendo da tramite con quelli piemontesi25, e condannava Emanuele Dal Pozzo della Cisterna, Demetrio Turinetti di Priero ed Ettore Perrone di San Martino

  • 26 ASBI, Dal Pozzo, Serie I, m. 21, f. 1.

nella confiscazione dei loro rispettivi beni, ed alla pena della morte col mezzo della forca da eseguirsi, stante la loro contumacia, in effigie, e tutti solidariamente nelle spese, e dichiarati li medesimi contumaci esposti alla pubblica vendetta come nemici della Patria e dello Stato, ed incorsi in tutte le pene e pregiudizi imposti dalle Regie Costituzioni contro li banditi di Primo Catalogo in cui ha mandato li medesimi descriversi26.

  • 27 Manno 1879², p. 185.

14Come per a tutti i condannati, la sentenza fu affissa sul portone di casa della Cisterna, al n. 15 della contrada di San Filippo. L’effigie del principe fu appesa al patibolo il 14 agosto 182127.


  • 28 Brice 2013, p. 37-38. Mi permetto qui di rimandare, per una utile comparazione con la Lombardia, a (...)

15Da una lettura più analitica dei documenti originali da noi consultati presso gli archivi di Stato di Torino e di Biella, dove si conservano rispettivamente i fondi sui processi politici del 1821 e il grande archivio privato della famiglia Dal Pozzo, emergono aspetti assai interessanti, e inediti, sulle strategie messe in atto dal principe Emanuele per salvaguardare una parte cospicua del suo patrimonio immobiliare. Stiamo parlando non del palazzo padronale sulla contrada di San Filippo (caduto poi sotto confisca insieme ad altri immobili), ma della grande casa da pigione ereditata dal padre, sorgente di pingui introiti. Su questa, nei giorni decisivi del breve interludio torinese prima dell’esilio, si concentrò il suo piano cautelativo, messo in atto con la complicità del suo fedelissimo segretario e di altri intermediari. Certamente il principe fu consapevole che le prove a suo carico e lo stato di esule avrebbero prodotto una violazione del suo patrimonio, il sequestro dei beni dei condannati in contumacia essendo una pratica comune negli stati preunitari della penisola, nella quale la famiglia e i collaboratori più stretti divenivano risorse irrinunciabili per mettere al riparo le ricchezze28.

  • 29 Cassetti 1994, p. 267-285.

16Per ripercorre questa vicenda davvero intricata è necessario introdurre un altro personaggio, vicino di casa di Dal Pozzo e di due delle sue sorelle. Si tratta del banchiere torinese, originario di Colmar, Giovanni Battista Barbaroux. Questi nel 1807 aveva acquistato un altro magniloquente palazzo nella contrada degli Ambasciatori, confinante a mezzogiorno con la dimora da fitti del principe29. Nel 1821, paventando una temuta alienazione dei beni, Dal Pozzo pensò a questo borghese intraprendente come a un papabile acquirente del palazzo, escogitando un piano che potesse in realtà « congelare » la sua proprietà in attesa di comprendere gli sviluppi della situazione giudiziaria a suo carico. Il factotum Vittorio Gastaldi, istruito dal principe, vi giocò un ruolo chiave, supportato dai fratelli Vespasiano e Giuseppe Talucchi - titolare di una nota casa di commercio il primo, architetto celeberrimo il secondo - affittuari da lunga data del principe e suoi consulenti in affari.

  • 30 Sommario nella causa vertente in prima instanza nanti il r.o Tribunale di Prefettura di Torino tra (...)
  • 31 ASBI, Dal Pozzo, Serie I, m. 21, f. 14.

17All’inizio del mese di aprile 1821 Vespasiano Talucchi si era recato da Barbaroux presso la sua banca, informandolo che il principe della Cisterna, « allora da pochi giorni dipartitosi da Torino, e dai regi stati, col proposito di soffermarsi per alcun tempo all’estero », volendo dar sesto ai propri affari, avesse pensato di vendere la casa attigua a quella del banchiere e dato pieno mandato a Gastaldi. In quel primo colloquio Barbaroux aveva subodorato che la proposta gli venisse fatta per timore che il « Principe, siccome per voce pubblica implicato negli allora recenti politici disordini, incorresse nella pena della confiscazione di tutti li suoi beni ». Ma Talucchi l’aveva rassicurato « riguardo alla da esso temuta confiscazione, cui avesse potuto andare soggetto l’intiero patrimonio » Dal Pozzo, citando l’amnistia concessa a suo tempo da Vittorio Emanuele. In un secondo incontro Talucchi aveva sottoposto a Barbaroux uno schema dettagliato degli affitti che avrebbe percepito con l’acquisto, proponendo il prezzo di vendita di 475.000 lire30. Alla fine il contratto venne stipulato nello studio del notaio Danesio il 4 maggio 1821. La data non fu casuale : quello stesso giorno fu ordinata l’inventariazione dei beni del principe - che avrebbe poi avuto luogo a partire dal 22 maggio -, cioè l’atto che prefigurava un ineludibile sequestro patrimoniale31.

18Se l’atto di vendita fu apparentemente regolare, a risultare simulato fu invece il pagamento. Mentre nel primo risultava che il banchiere acquistava « per il prezzo di 450.000 lire nuove di Piemonte, interamente sborsatesi nell’atto della stipulazione » del rogito, contemporaneamente, dallo stesso notaio, veniva stipulata tra Gastaldi e l’acquirente una scrittura privata nella quale figurava « retrodatata al Barbaroux la somma di 400.000 lire parte del prezzo come sovra sborsato » (il contratto di vendita doveva essere effettivo a partire dal 1 aprile 1821) e il banchiere si impegnava al pagamento e restituzione di questo capitale, di cui 200.000 lire entro sei mesi e il resto entro un anno.

  • 32 Ragionamento per l’ill.mo signor principe d. Emanuele Dalpozzo della Cisterna convenuto contro il (...)
  • 33 Accanto alla cifra di 15.000 lire per residuo capitale di 30m., di cui nella scrittura 22 marzo 18 (...)
  • 34 Sommario nella causa vertente in prima instanza...1834, p. 12, 39 ; Ragionamento per l’ill.mo sign (...)

19Che cosa otteneva il principe ? Quando avesse voluto, egli avrebbe potuto pretendere da Barbaroux l’esborso graduale della somma, con tanto d’interessi (visto che il banchiere non era in grado all’epoca di corrisponderla interamente). In questo modo si garantiva la possibilità di ricevere denaro all’estero, che il banchiere non avrebbe avuto problemi a fargli avere, non mancandogli « né copia di denaro, né facilità di corrispondenze per farlo correre prontamente ovunque abbisognasse »32. La necessità di denaro contante d’altronde era una delle maggiori preoccupazioni del principe, angustiato dall’idea di una lunga permanenza in esilio sotto falso nome e di come continuare a condurre a Parigi la vita decorosa a cui l’agiatezza del casato l’aveva prima abituato. Il che spiega inoltre le altre simulazioni finanziarie, che trasformarono prestiti d’emergenza in vecchi debiti, e che solo le carte contabili d’archivio private ci permettono di decifrare33. Certamente Barbaroux credette di approfittarsi di lui, acquistando a un prezzo fuori mercato, che in sede processuale verrà poi giudicato « tenuissimo, e minore assai del giusto », sia per la « qualità dell’edifizio grandioso » (una perizia presentata dai Cisterna stimava il palazzo in L. 700.000), sia soprattutto per il reddito che avrebbe potuto ricavarsene34. Ma in realtà quella di Dal Pozzo era stata una vendita simulata, orchestrata a scopo cautelativo.

  • 35 Manno 1879², p. 27, 197.

20È difficile stabilire quanto il principe avesse avuto la lungimiranza di prevedere che la plausibile confisca dei beni, che si andava profilando all’orizzonte, si sarebbe ridotta a un incameramento temporaneo della proprietà nelle mani del regio fisco, permettendogli di attendere tempi migliori. Se dal sequestro le autorità fossero passate a un incameramento irreversibile della proprietà, egli avrebbe senz’altro fatto sentire le proprie ragioni ; tuttavia non fece più nulla per pretendere il denaro pattuito e nel corso dei mesi ed anni successivi rimase in letargo attendendo segnali che arrivarono nel senso da lui sperato. Già il regio biglietto del 10 febbraio 1824, infatti, rimosse la mano regia dai beni di Turinetti di Priero, affidandone l’amministrazione direttamente alla famiglia35.

  • 36 ASBI, Serie I, m. 21, f. 11, Stato di situazione al 7 feb. 1831 dei beni confiscati al principe de (...)

21Va poi detto che gli uffici delle regie Finanze erano al corrente di quanto avvenuto poiché, a pochi giorni dalla condanna del principe, Barbaroux, temendo rischiose ripercussioni del fisco, aveva dichiarato il proprio debito ; tanto che l’economo del regio Demanio poteva affermare che il palazzo era stato venduto « per il prezzo di lire quattrocentomila, che il Sig. Gastaldi maliziosamente dichiarò di avere ricevute, ma che il sig. Barbaroux in scrittura privata ha riconosciuto d’aver nuovamente ritirato »36.

  • 37 Già nel mese di maggio l’ambasciatore francese a Torino, Barante, aveva sollevato nel corso di un (...)
  • 38 Damilano 2011, p. 256-257.
  • 39 Dieci giorni dopo, da Parigi, il principe Emanuele delegava i poteri ai parenti : « Constitué pour (...)

22La situazione rimase in stallo per circa dieci anni, quando la vicenda giudiziaria si intrecciò con l’ascesa al trono di Carlo Alberto. In quell’inizio di regno all’insegna della conservazione più assoluta, l’atteggiamento preventivo e di chiusura, su cui influirono le nuove congiure, non lasciò certo spazio a un’amnistia generale per gli uomini del ’21. Il re non poté essere clemente nemmeno verso il gruppo di nobili esuli all’estero, nonostante gli interventi degli ambasciatori francesi presso la corte sabauda in favore di una amnistia ; che poi, com’è noto, sarebbe arrivata con l’indulto dato nel 1842 da Carlo Alberto per le nozze del figlio Vittorio Emanuele. I rapporti studiati da Saitta chiariscono però che la circospezione nei confronti di Dal Pozzo non era di Carlo Alberto, ma della fazione reazionaria e clericale37. A un anno dalla sua ascesa al trono, per il re nessuno dei cospiratori meritava attenzione tranne il principe della Cisterna, Moffa di Lisio e Perrone (lo dimostra anche il permesso concesso a quest’ultimo nel 1833 dal re, ma ostacolato dal ministro La Tour, di venire a Torino al capezzale della madre morente38). La simpatia carloalbertina derivava probabilmente non solo dal naturale riguardo verso l’aristocrazia del sangue di famiglie di antica consuetudine con la dinastia sabauda ma probabilmente anche da un certo rispetto per chi era stato incapace di trasformare vaghe aspirazioni alla rivolta aperta. E questo spiega come mai, l’11 dicembre 1832, il re accordasse proprio a questi tre uomini la commutazione della pena capitale con l’esilio perpetuo. Nei confronti di Dal Pozzo, esprimendo soddisfazione per la « regolare e lodevole condotta » da anni tenuta, la clemenza regia revocava « la confisca dei beni in di lui odio pronunciata »39.

23Le regie patenti modificavano completamente la situazione della compravendita. Barbaroux si sentì autorizzato a far valere le sue ragioni sul palazzo. Ma di fronte all’ovvio e comprensibile immobilismo di Dal Pozzo, ancora esule a Parigi, e dei suoi procuratori a Torino, il 10 maggio 1833 decise di adire le vie legali. A supportare Barbaroux in una vertenza giudiziaria durata anni (1833-1837) troviamo inizialmente il giovane avvocato Cassinis, destinato a farsi un nome come legale dei vip in celebri controversie giuridiche. Accanto a lui l’avvocato Demargherita, docente di Diritto all’università di Torino e titolare del più grande studio legale cittadino dell’epoca.

  • 40 L’avvocato fiscale, chiamato a stabilire la nullità o validità della vendita, il 30 dicembre 1834 (...)
  • 41 Ragionamento per l’ill.mo signor principe d. Emanuele Dalpozzo...1835, p. 14-15. La sentenza del t (...)
  • 42 Ragionamento pel signor banchiere G. B. Barbaroux contro il signor principe d. Emanuele Dalpozzo d (...)

24Biagini e Villanis, avvocati del principe, in un primo momento impostarono la linea difensiva sulla « nullità della vendita per dolo usato dal banchiere Barbaroux onde circonvenire il principe della Cisterna », cioè sull’essersi il banchiere approfittato della posizione di debolezza di chi, costretto a fuggire, svendeva un proprio bene. Tuttavia, dopo che l’avvocato fiscale stabilì la validità della vendita per l’avvenuta revoca della confisca, essi mutarono strategia40. E vinsero. Puntarono tutto nel dimostrare che i curatori degli affari del principe, mossi da « uno zelo affettuoso, quantunque - ammettevano - forse imprudente », si erano mossi in totale autonomia, « a sua insaputa e per solo di lui vantaggio », per procurargli di che vivere all’estero. Il principe insomma non aveva dato « verun ordine, e veruna commissione, a chi che sia di procedere alla vendita di qualsiasi oggetto di sua spettanza, e tanto meno a quella del cospicuo corpo di casa […] la cui conservazione fosse anzi indispensabile per decoro e vantaggio del vicino suo palazzo »41. Essi sostennero l’inefficacia del contratto poiché all’epoca della stipula era cessato il mandato in tal senso al segretario Gastaldi ; e il principe non poteva disporre delle sue sostanze. A niente valsero le recriminazioni di Barbaroux che i Talucchi avessero celato il « malonesto disegno di vendere pel solo caso di confiscazione » ; a niente il tentativo di difendere il proprio buon nome dalle accuse di speculazione, ovvero che in quell’anno « ripieno di civili sconvolgimenti, di pubbliche e di private calamità », egli si fosse mosso « all’arrischioso acquisto col prospetto di grandissime utilità »42.

  • 43 ASTo, A.P., m. 170, Gabinetto di polizia, Atti distinti per divisione, Torino cart. 5, 1840, lette (...)
  • 44 Ringrazio Gian Savino Pene Vidari per le preziose informazioni.

25La vittoria legale del principe della Cisterna è certamente importante da un punto di vista giuridico, poiché su questo tipo di sentenze l’esito era stato in passato tradizionalmente sfavorevole. Giocò un ruolo la personale benevolenza sovrana, la stessa che nel luglio 1838 concedeva a Dal Pozzo - che incautamente si era recato a Aix per i bagni - « la permission de rentrer dans les États », aggiungendovi il desiderio che il principe fosse bene accolto e trattato con ogni riguardo43 ? Non possiamo saperlo con certezza, così come possiamo solo supporre che forse ebbe un peso anche il collegio giudicante, nel quale - questo era il caso - sedevano anche giudici formatisi nel periodo napoleonico e spesso non accesi sostenitori della restaurazione44.

26A noi in realtà interessa di più il significato politico di quella sentenza, omogeneo e conseguente alla grazia sovrana che aveva restituito a Emanuele della Cisterna le sue proprietà ; il che aiuta a comprendere la linea morbida seguita dalla politica sabauda in tema di sequestri, con la tendenza a non incamerare i beni in via definitiva bensì a « congelarli », cioè renderli temporaneamente indisponibili. La posizione garantista trova conferme anche nell’atteggiamento tenuto nei confronti degli altri proscritti vicini a Dal Pozzo, utile per un necessario confronto che mette tra l’altro in luce le strategie multiformi messe in campo dalle donne a difesa del patrimonio familiare, anche a salvaguardia delle proprie ingenti doti, con l’ostentazione virtuosa del ruolo di tutela e mantenimento dell’avvenire dei figli, evidente nelle petizioni presentate. Ne offriamo di seguito alcuni esempi.

  • 45 ASBI, Dal Pozzo, m. 21, f. 6 ; Manno 1879², p. 27, 197.
  • 46 Marsengo – Parlato 1982.
  • 47 Manno 1879², p. 164.
  • 48 Damilano 2011, p. 92-97, 242-247 (in particolare la lettere inedita di Alfieri al direttore della (...)
  • 49 Morozzo della Rocca 1897, p. 102.
  • 50 Damilano 2011, p. 259-260.
  • 51 Bollea 1927, p. 72.
  • 52 Così nelle patenti del 1832. Barbara lasciò le sue sostanze al conte di Osasco e al provicario can (...)

27Fu scaltra nelle suppliche Lidia Solaro del Borgo, moglie di Turinetti, che nel 1823 ottenne l’assegnazione di una « pensione alimentare » di L. 10.000 e di L. 11.733,34 annuali per la suocera Polissena Gamba della Perosa ; oltre a L. 2.400 per educare due figli all’Accademia militare (prevenire che i figli seguissero le orme sconvenienti dei padri era senz’altro un buon investimento da parte delle autorità)45. E nel 1833 il re permise alla famiglia di visitare l’esule a Bruxelles46. Nonostante i beni confiscati a Santarosa, alla moglie furono garantite le ragioni dotali (L. 67.500) e parafernali (L. 18.000), e una pensione annua di mille lire. Oltre a tutto ciò il fisco passava L. 2.285 per soddisfare i creditori - poiché il patrimonio familiare presentava « una massa di debiti grandiosa » - e una « pensione alimentaria » per i figli di 400 lire mensili47. Nel caso di Perrone fu l’intercessione della sorella Carolina presso il conte Villèle a fargli ottenere un passaporto che gli consentì agili spostamenti in Francia. Tra l’altro, documenti scoperti recentemente negli Archives Nationales, non solo confermano che le autorità francesi, pur conoscendo l’identità di Perrone e del Principe della Cisterna, nascosti a Parigi, non li arrestarono48 ; ma aiutano meglio a chiarire il ruolo del ministro sardo in Francia, Alfieri di Sostegno, tollerante con gli espatriati condannati a morte ma a patto che stessero buoni oltre confine, e pronto a stigmatizzare la polizia francese per atteggiamenti troppo permissivi sui loro spostamenti. Nell’agosto del 1830 Perrone venne riammesso in servizio nell’esercito francese (era stato naturalizzato nel 1816 e aveva sposato una francese) ; e nel 1835 - ci riferisce Morozzo della Rocca - fu lasciato rientrare nelle sue terre del Canavese, a condizione che rimanesse lontano da Torino49. Quei possedimenti erano stati affidati da suo padre, il legittimista Carlo Luigi, al cugino Giuseppe Morozzo di Bianzè, in attesa che il figlio Ettore, al quale corrispondeva una lauta pensione annua, fosse reintegrato nei suoi diritti in Piemonte50. Un altro caso significativo è quello dell’avvocato fiscale di Biella Giovanni Battista Pollano, pure condannato a morte in contumacia, il quale, rientrato con l’indulto del 1842 ritrovò tutti i beni che il padre, paventando la confisca, aveva passato in eredità alla cognata51. Barbara Dal Pozzo della Cisterna, alla quale Emanuele aveva corrisposto prima del ‘21, come all’altra sorella Luigia, la lauta dote dovuta, non riuscendo a convincere l’orgoglioso fratello a chiedere la grazia, si sostituì a lui, fino a quando « le supplicazioni » a più riprese « umiliate dai congiunti » contribuirono alla scelta benigna di Carlo Alberto52.


28La vicenda del principe della Cisterna, comparata con altre simili, consente di trarre alcune considerazioni generali sui beni confiscati in Piemonte nel 1821.

  • 53 ASTo, A.P., Processi politici del 21, b. 56, Carte provenienti dall’ufficio dell’avvocato erariale (...)
  • 54 La Nota delle persone alle quali il Governo piemontese ha fatto sequestrare i beni nel 1821 fu esp (...)

29La prima è che numericamente i patrimoni requisti non fossero numerosi, probabilmente anche per la condizione di cadetto di molti dei nobili coinvolti. Confermerebbero questa valutazione le informazioni contenute in un fascicolo denominato Stato dei condannati alla confiscazione dei beni con indicazione dei beni da loro posseduti. Accanto ai nomi di ben 36 sui 50 individui ivi annotati è riportata l’indicazione : « Non risulta che questo condannato possieda beni di sorta alcuna nei stati di S.M. » (tra questi Perrone)53. Anche la fondamentale ricerca di Marsengo e Parlato conforterebbe, quantitativamente e qualitativamente, questa considerazione ; così come un elenco non conosciuto di ventuno personaggi vittime di sequestri (tra i quali il principe della Cisterna e otto componenti la giunta di Alessandria)54, alcuni dei quali non indicati come tali nel Dizionario dei Piemontesi compromessi.

30La seconda constatazione è che certamente i patrimoni confiscati potevano produrre risorse ragguardevoli per l’erario : ma questo sembrò verificarsi solo in pochi casi, e comunque a fronte di un lavoro davvero gravoso per la burocrazia torinese, come risulta dall’analisi dei patrimoni più ricchi appartenenti proprio a Dal Pozzo e ai personaggi a lui vicini.

  • 55 Manno 1879², p. 26-27, 185.
  • 56 Mancava quello di Turinetti, tornato in capo alla famiglia.
  • 57 Anche i proventi di Turinetti nel 1823 erano stati molto ingenti, ben L. 49.445,60. I beni confisc (...)
  • 58 Tra questi si comprendono i patrimoni di Bianco di St. Jorioz, Santarosa, Garda, Rattazzi, Appiani (...)
  • 59 Ibid.

31I beni confiscati venivano amministrati dai cosiddetti insinuatori, ai quali veniva corrisposto l’1 % sul prodotto netto. La gestione contabile passava poi sotto un minuto e scrupoloso esame annuale della Camera dei conti. A titolo di esempio Manno riporta che nel 1822 i beni confiscati al principe della Cisterna fruttarono all’erario L. 112.934,26 ; nel 1824 invece, entrate e riscossioni liquidate per l’annata precedente scendevano a L. 97.054,8055. Era l’ammontare di gran lunga più elevato tra i 14 assi ancora gestiti dalla mano regia56, se pensiamo che la loro somma complessiva era di L. 153.751,78 e che il secondo per entità era quello di Santarosa per L. 14.133,0057. Tuttavia Manno, volendo offrire una comparazione tra i diversi patrimoni confiscati, si limita a indicare le entrate (o « caricamenti ») ; mentre l’osservazione condotta sulle fonti d’archivio consente di ricostruire anche il quadro delle passività, dandoci un’idea concreta delle difficoltà di gestione dei beni sequestrati. Basta scorrere lo Stato dimostrativo dell’attivo e passivo dei patrimoni confiscati in odio di diversi particolari per delitti politici per rendersene conto58. Nel 1822 le passività del patrimonio della Cisterna raggiungevano quota L. 81.757, lasciando quindi un saldo in attivo di oltre L. 30.000. Ma è l’insieme aggregato delle voci il dato più significativo : una lunga lista di pensioni annue, giubilazioni, censi perpetui e vitalizi, lasciti pii a parrocchie (come quelle di San Filippo e Sant’Agostino), interessi per capitali, tale da formare un numero di 66 soggetti creditori, senza contare i calcoli e le verifiche sulle contribuzioni annue imposte sui beni del condannato, situati in zone talvolta molto lontane tra loro59.

  • 60 Ivi, f. D.
  • 61 « Gastaldi antico segretario della famiglia non ha voluto darmi i conti, né consegnare i libri d’a (...)
  • 62 I giardinieri del principe della Cisterna riuscirono farsi raddoppiare i compensi annui. Ivi, Ridu (...)

32Anche l’opera svolta dall’insinuatore nel 1823 è una fonte preziosa, perché nel compilare il prospetto delle attività e passività dei patrimoni confiscati, tra gli altri, a Dal Pozzo della Cisterna, Santarosa e Bianco di St. Jorioz, dà conto dell’enorme lavoro che stava dietro la gestione della sezione V dell’Azienda generale delle regie Finanze. Si trattava infatti di affrontare centinaia di questioni, dalla faticosa messa all’incanto dei diritti di pesca sul Po, alle riparazioni di tetti, cortili e altre pertinenze, alla richiesta dei fitti ; fino alla più onerosa di tutte, cioè la riscossione di crediti60. Insomma, nel caso dei patrimoni più rilevanti, il regio fisco doveva in sostanza svolgere le funzioni per le quali i casati illustri si appoggiavano normalmente sulle competenze, profumatamente pagate, di uno, ma spesso più, segretari e amministratori ; e districarsi in situazioni complicate di beni e fondi in luoghi diversi spesso regolate da antiche consuetudini, taciti accordi, pratiche ascritte. Era un lavoro davvero complesso e non sempre agevole : gli agenti del demanio dovevano infatti spesso fronteggiare l’atteggiamento refrattario dei curatori patrimoniali dei rei. L’amministratore del principe della Cisterna, ad esempio, tenne duro e non consegnò i libri contabili come richiesto, salvo poi mostrarsi assai collaborativo nel fornire le informazioni necessarie61. Non deve stupire la sfacciataggine di Gastaldi. È infatti evidente che in situazioni così ingarbugliate guadagnasse ampi margini di manovra il ruolo di mediazione svolto dagli amministratori dei proprietari esiliati, i soli depositari dei quaderni di cassa e a conoscenza delle dinamiche sopra evocate. Tra l’altro, sia detto per inciso, era proprio nei passaggi di potere generati dalle confische che si insinuavano le pretese di quanti avevano sino ad allora servito a libro paga del signore. All’attenzione della burocrazia fiscale, nella perenne ricerca di espedienti semplificatori, giungevano infatti puntuali le richieste di quanti rischiavano di venire penalizzati : in primo luogo certo i creditori ma poi naturalmente i numerosi inservienti, pronti ad accampare diritti inveterati62. Poté tutto questo giocare un ruolo nell’atteggiamento generale del regio fisco verso i patrimoni confiscati ? Non si può affermare con sicurezza ; ma certamente alcuni dati appaiono eloquenti nel senso di offrire un’ulteriore motivazione interessata alla gestione moderata del sistema punitivo dei ventunisti.

33L’analisi comparata delle vicende finanziare occorse a Dal Pozzo e ai suoi compagni di sventura consente di svolgere altre osservazioni di carattere generale, generanti l’impressione di un atteggiamento del potere di tipo garantista, di un intervento dell’autorità assai articolato e mitigato dall’azione e dalle interferenze di soggetti diversi, di una tendenza alla negoziazione e alla conservazione. Si riscontra invero una certa mitezza e temperanza con le quali si gestì la confisca dei beni, come segmento di una più generale politica repressiva dei moti caratterizzata - la storiografia lo ha da tempo riconosciuto - da una formale severità tradottasi nei fatti in una sostanziale clemenza da parte di Carlo Felice (si pensi alle 3 condanne a morte effettivamente eseguite su 87 comminate ; o ai passaporti immediatamente rilasciati dal governatore di Genova Des Geneys affinché i ricercati si imbarcassero in massa per l’America), espressa in tempi e modalità differenti col chiaro intento di evitare alla monarchia la strada della repressione sanguinaria. Tale magnanimità, al netto - come si è visto - dei primi anni del suo regno, caratterizzò anche la politica di Carlo Alberto, avviata verso un perdono e una riappacificazione che, con la svolta del 1842, poteva dirsi pressoché compiuta a Torino come a Genova.

34Da questo punto di vista assai interessante è l’operazione memoriale di interpretazione dei moti del ’21, e quindi anche delle confische operate, edificata a partire dal periodo cavouriano. Se ne scorge ad esempio un riflesso sul giornale L’Opinione, sostenuto dall’emigrazione più facoltosa, nel 1853, all’epoca dei sequestri dei beni degli esuli lombardi ordinata da Vienna. Per criticare aspramente le misure adottate dagli austriaci, rei di aver commesso un atto senza precedenti, l’articolista mirava a minimizzare le misure del governo piemontese del 1821, soprattutto se paragonate con quelle attuali :

  • 63 L’Opinione, 21 maggio 1853, p. 1.

Le regie patenti, è vero, parlavano di confisca ma, oltrecché questa era pronunziata da formali giudizi, in fatto non fu mai applicata e si limitò ad un sequestro talmente mite che, consenziente l’autorità, l’amministrazione de’ patrimoni dei rei fu lasciata ai parenti più prossimi e vennero consentiti assegni alimentari agli assenti […]63.

  • 64 Sclopis 1860, p. 30.
  • 65 Volonnino 2016.

35Tuttavia nell’enfasi ideologica e nell’iperbole giornalistica è difficile non scorgere un richiamo a quello che, soprattutto a partire dal ’48, doveva essere un giudizio pubblico ben connotato intorno al tema dei patrimoni sequestrati nel ‘21. Ritroveremo questi toni anche in un successivo commento di Sclopis, uno dei più autorevoli giuristi piemontesi : « Nulla dei proventi di essi cadde a profitto del fisco, tutto s’impiegò in pagamenti di debiti ed in migliorie, od in soccorsi a congiunti più prossimi de’ condannati finché venne il giorno in cui furono ad esso que’ beni interamente restituiti »64. Anche qui sono evidenti gli sforzi di ridimensionamento della repressione del 1821, nell’intento di scagionare le autorità del tempo, a cui corrispondeva una speculare esaltazione, nella pubblicistica, degli atti di clemenza sovrana. Si trattava di un’operazione politica e culturale volta a riconciliare l’opinione pubblica, a recuperare la memoria scomoda del ’21 in chiave di predestinazione unitaria - con Sclopis siamo ormai al 1860 -, entro i confini di un consolidato progetto di costruzione del mito della magnanimità di Carlo Alberto65.

  • 66 Già il 20 gennaio 1848 con regio decreto il principe era nominato consigliere straordinario di sta (...)
  • 67 Ivi, f. 18.

36E forse niente appare più emblematico di tale riconciliazione della parabola biografica del principe della Cisterna : condannato a morte per delitto di lesa maestà fu nominato senatore da Carlo Alberto già nella prima infornata del 184866 ; due anni prima il re aveva ammesso la moglie, Louise de Mérode, « all’onore di far corte all’augusta sua consorte »67 ; nel 1867 la figlia, Sua Altezza Reale la principessa Maria Vittoria, sposava il principe Amedeo di Savoia.

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Ragionamento pel signor banchiere G. B. Barbaroux 1835 = Ragionamento pel signor banchiere G. B. Barbaroux contro il signor principe d. Emanuele Dalpozzo della Cisterna letto dinnanzi il r.o Tribunale di Prefettura di Torino all’udienza del 14 febbraio 1835, di G. B. Cassinis e L. Demargherita, Torino, 1835.

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Sommario nella causa vertente in prima instanza 1834 = Sommario nella causa vertente in prima instanza nanti il r.o Tribunale di Prefettura di Torino tra il signor banchiere Giovanni Battista Barbaroux ... e l’ill.mo signor principe d. Emanuel Dalpozzo della Cisterna, Torino, 1834.

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Notes

1 Desidero ringraziare Ester De Fort, Maria Gattullo e Gian Savino Pene Vidari per il prezioso confronto.

Archivio di Stato di Torino, Corte, Segreteria di Stato Affari Interni, Alta Polizia, (d’ora in poi ASTO, A.P.), Processi Politici del 1821, b. 51, Volume 2.do, Titoli ed Atti della Polizia all’appoggio del Procedimento contro li Sig.ri Principe della Cisterna, Marchese Priero, Cavaliere Perrone, Chimelli e complici. La perquisizione avvenne sotto la supervisione del commissario di polizia Moyraghi e del capitano Brizio, che Lemmi identifica come un unico capitano. Cfr. infra.

2 Archivio di Stato di Biella, Famiglia Dal Pozzo Della Cisterna, Storia della famiglia Dal Pozzo (d’ora in poi ASBI, Dal Pozzo), Memorie manoscritte di Carlo Emanuele Dal Pozzo principe della Cisterna [1822].

3 ASTo, A.P., Processi Politici del 1821, b. 51, Volume 2.do, Titoli ed Atti della Polizia all’appoggio del Procedimento contro li Sig.ri Principe della Cisterna, Marchese Priero, Cavaliere Perrone, Chimelli e complici.

4 Se nei primi anni della dominazione francese il patrimonio dei principi ammontava a L. 1.880.613, nel 1822 esso si attestava sulla cifra davvero considerevole di L. 2.300.000, gravata da un passivo di circa 145.000 lire. Bulferetti 1958, p. 65, 77-78 ; ASTo, A.P., Processi politici del 21, b. 56.

5 Il suo mecenatismo era già proverbiale al suo tempo : « uno de’ più illuminati Protettori delle belle Arti, di cui si pregi la colta città di Torino. […] Questo Principe adorna con opere di scelti professori un suo appartamento, in cui farà sfoggiare unito alla ricchezza il buon gusto ». Memorie per le belle arti 1785, p. CLVIII.

6 Cassetti – Signorelli 2004, p. 22-30.

7 Cicotero 1970, p. 57-67.

8 ASBI, Dal Pozzo, Disegni, n. 233 ; Cicotero, p. 54-57.

9 L. 4.500 ca., di cui ben L. 2.700 provenienti dal conte Nicolis di Robilant. ASBI, Dal Pozzo, m. 21, f. 4.

10 Rientrato a Torino aveva accettato onori e uffici da Napoleone, al pari di molti altri capofamiglia dell’aristocrazia piemontese. Se per il figlio ottenne nel 1809 un posto da ciambellano della principessa Borghese e il 9 marzo 1810 il titolo di barone dell’impero, Giuseppe Alfonso nel 1804 aveva accettato la presidenza del collegio elettorale del dipartimento del Po e l’ingresso nel consiglio circondariale di Torino, cariche che poi avrebbe lasciato nel 1811. Ivi, ff. 2-3. Si trattava anche in questo caso di strategie messe in atto per sopravvivere alla dominazione straniera riuscendo a preservare i rapporti di fedeltà ai Savoia e con essi le aderenze a corte, e garantire un futuro al primogenito e alle quattro figlie femmine, Enrichetta, Barbara, Delfina e Luigia, destinate a morire tutte assai giovani. Sul tema – oltre che per i riferimenti al 1821 – mi permetto di rinviare a Cavicchioli 2004.

11 Talamo 2000, p. 468-474.

12 Marsengo – Parlato 1982, p. 154.

13 Torta 1908, p. 235-236.

14 Damilano 2011, p. 184.

15 Torta 1908, p. 172.

16 ASBI, Dal Pozzo, Testamenti e successioni, m. 29, Successioni, G. Alfonso di G. Amedeo, 1819 ; m. 30, Eredità del principe Emanuele Dal Pozzo, 1864 ; ivi, Serie II, m. 10, Quadri di casa La Cisterna a Parigi, 1838 ; m. 16, Inventari di mobili e quadri. Argenterie possedute dalla famiglia Dal Pozzo, 1634-1850. Sul sostegno dato alle arti da Giuseppe Alfonso, Facchin 2004, p. 143-179.

17 Lemmi 1923, p. 6.

18 Marsengo – Parlato 1982, p. 114-116.

19 Questa è l’interpretazione che ne diede per la prima volta acutamente Soriga 1927. Confalonieri nelle sue confessioni ammise il legame del principe con il Comitato della Minerva, un organismo centrale di coordinamento tra società segrete e forze diverse. D’Ancona 1908.

20 Il 30 dicembre 1819 gli aveva affittato uno spazioso appartamento del palazzo padronale, per un canone annuo di ben 15.000 lire. Altri locali erano invece affittati al rappresentante del Portogallo a Torino. ASBI, Dal Pozzo, m. 5.

21 Il 23 marzo 1822 il barone De Daiser, incaricato d’affari dell’imperatore d’Austria, richiedeva gli atti processuali : Dal Pozzo infatti era stato condannato per « des correspondances criminelles non seulement dans l’intérieur de l’etat mais encore dans l’etranger, d’ou et specialmente de Paris, il a trasmis aux conspirateurs les directions et instructions rélatives ». ASTo, A.P., Moti del 1821, m. 28, f. 1, Corrispondenza della segreteria estera.

22 Santarosa 1849, p. 65, 140-141. Va detto che la seconda e la terza edizione dell’opera di Santarosa, uscita per la prima volta a Parigi nel novembre 1821, furono curate da Cousin, interessato a recuperare la figura di Santarosa al liberalismo moderato.

23 « Fu de’ capi, in apparenza, ma inconscio delle segrete mene delle vendite centrali ». Manno 1879², p. 185.

24 Luzio 1908, p. 5, 91, 94.

25 Marsengo – Parlato 1982, p. 154.

26 ASBI, Dal Pozzo, Serie I, m. 21, f. 1.

27 Manno 1879², p. 185.

28 Brice 2013, p. 37-38. Mi permetto qui di rimandare, per una utile comparazione con la Lombardia, al caso delle « pseudo-vendite » dei marchesi Bossi di Milano, ricostruite in Cavicchioli 2001, p. 137-158.

29 Cassetti 1994, p. 267-285.

30 Sommario nella causa vertente in prima instanza nanti il r.o Tribunale di Prefettura di Torino tra il signor banchiere Giovanni Battista Barbaroux ... e l’ill.mo signor principe d. Emanuel Dalpozzo della Cisterna 1834, p. 15-17.

31 ASBI, Dal Pozzo, Serie I, m. 21, f. 14.

32 Ragionamento per l’ill.mo signor principe d. Emanuele Dalpozzo della Cisterna convenuto contro il signor banchiere Gioanni Battista Barbaroux attore letto all’udienza straordinaria del regio Tribunale di Prefettura di Torino delli 17 febbraio 1835, p. 4-7, 14-15.

33 Accanto alla cifra di 15.000 lire per residuo capitale di 30m., di cui nella scrittura 22 marzo 1821 appariva creditore Paolo Moreschi di Villanova-Solaro, Gastaldi annotava : « NB Questo debito è solo in apparenza e non esiste, e portato nella fiducia di fare un fondo al Sig. Principe ». Idem dicasi per il mutuo della somma di lire 5.000, con l’interesse al 5 %, per scrittura del 6 luglio 1821 con la vedova Rosalia Bruno, per cui sempre il segretario scriveva : « NB questo debito non esiste come quello avanti verso il sig. Moreschi ». ASBI, Dal Pozzo, Serie I, m. 21, f. 4, Amministrazione. Stato passivo del patrimonio di SE il Principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna a saldo dell’annata 1821.

34 Sommario nella causa vertente in prima instanza...1834, p. 12, 39 ; Ragionamento per l’ill.mo signor principe d. Emanuele Dalpozzo...1835, p. 5-9, 12, 16-17, 39.

35 Manno 1879², p. 27, 197.

36 ASBI, Serie I, m. 21, f. 11, Stato di situazione al 7 feb. 1831 dei beni confiscati al principe della Cisterna. Nello stesso documento l’economo alludeva al fatto che il contratto di vendita potesse venire o meno convalidato.

37 Già nel mese di maggio l’ambasciatore francese a Torino, Barante, aveva sollevato nel corso di un colloquio con il re il tema del rimpatrio di Dal Pozzo e Perrone. Saitta 1974, p. 136, 235 sgg.

38 Damilano 2011, p. 256-257.

39 Dieci giorni dopo, da Parigi, il principe Emanuele delegava i poteri ai parenti : « Constitué pour ses mandataires » Louise Dalpozzo, moglie di Ferdinando di Breme, e Amedeo Peyron, dimoranti entrambi a Torino, « aux quels il donne pouvoir de pour et lui et en son nom régir, gérer, gouverner et administrer tant activement que passivement tous les biens, droits et affaires qu’il a, ou aura par la suite dans le royaume de Piémont ». ASBI, Dal Pozzo, Serie I, m. 21, ff. 1, 12.

40 L’avvocato fiscale, chiamato a stabilire la nullità o validità della vendita, il 30 dicembre 1834 stabiliva che in teoria la vendita, essendo stata fatta « da un individuo condannato per delitto portante confisca, e fatta dopo che il delitto era stato commesso […] dovesse essere circoscritta » ; ma la revoca della confisca aveva cambiato tale stato di cose. Sommario in aggiunta a quello fatto in primo giudicio nella causa d’appellazione vertente nanti l’ecc.mo reale Senato del Piemonte tra il signor banchiere Giovanni Battista Barbaroux appellante e l’ill.mo signor principe Emanuele Dalpozzo della Cisterna appellato 1835, p. 6-15.

41 Ragionamento per l’ill.mo signor principe d. Emanuele Dalpozzo...1835, p. 14-15. La sentenza del tribunale di Prefettura del 23 marzo 1835 recitava : « Dichiara nulli di pien diritto, e come non avvenuti, l’istromento delli 4 maggio 1821 rogato Danesio, e relativa scrittura dello stesso giorno ». Nella causa d’appellazione del banchiere Gioanni Battista Barbaroux contro il signor principe d. Emanuele Dalpozzo della Cisterna 1837, p. 1.

42 Ragionamento pel signor banchiere G. B. Barbaroux contro il signor principe d. Emanuele Dalpozzo della Cisterna letto dinnanzi il r.o Tribunale di Prefettura di Torino all’udienza del 14 febbraio 1835, di G. B. Cassinis e L. Demargherita 1835, p. 3-5 ; Risposte pel signor principe della Cisterna alle osservazioni del signor Barbaroux 1837, p. 6-9.

43 ASTo, A.P., m. 170, Gabinetto di polizia, Atti distinti per divisione, Torino cart. 5, 1840, lettera del conte di Castagnetto al Gabinetto particolare di Polizia, 27 luglio 1836. Inoltre, da un altro appunto inedito, risulta che il 13 maggio 1835 il barone de Blonay, incaricato d’affari a Parigi, era già stato autorizzato a rilasciare un passaporto al principe quando gli si fosse presentato, come disposizione di benevolenza di Carlo Alberto (Dal Pozzo non aveva allora approfittato della concessione).

44 Ringrazio Gian Savino Pene Vidari per le preziose informazioni.

45 ASBI, Dal Pozzo, m. 21, f. 6 ; Manno 1879², p. 27, 197.

46 Marsengo – Parlato 1982.

47 Manno 1879², p. 164.

48 Damilano 2011, p. 92-97, 242-247 (in particolare la lettere inedita di Alfieri al direttore della polizia francese Franchet d’Esperey del 25 maggio 1824) ; Desjoyaux 1911, p. 985 sgg. Sperber ricorda come Alfieri si rese garante per Dal Pozzo che promise di « vivre paisiblement et sans se faire connaitre sous le nom de la Cisterna ». Sperber 1982.

49 Morozzo della Rocca 1897, p. 102.

50 Damilano 2011, p. 259-260.

51 Bollea 1927, p. 72.

52 Così nelle patenti del 1832. Barbara lasciò le sue sostanze al conte di Osasco e al provicario canonico Peyron, quali fiduciari del fratello, cui non era lecito, « quale proscritto, acquistare per eredità ». Manno 1879², p. 63.

53 ASTo, A.P., Processi politici del 21, b. 56, Carte provenienti dall’ufficio dell’avvocato erariale, Lista dei beni confiscati, f. 14.

54 La Nota delle persone alle quali il Governo piemontese ha fatto sequestrare i beni nel 1821 fu esposta in mostra a Italia ’61. L’Unità d’Italia. Mostra storica 1961, tav. XXXII bis in appendice.

55 Manno 1879², p. 26-27, 185.

56 Mancava quello di Turinetti, tornato in capo alla famiglia.

57 Anche i proventi di Turinetti nel 1823 erano stati molto ingenti, ben L. 49.445,60. I beni confiscati a Garda, condannato in contumacia alla galera perpetua, gravati di censi per 70.000 lire, fruttarono nel 1822 L. 10.799,25 ; quelli confiscati a Santarosa nel 1822 fruttarono L. 8.284,18. Manno, da cui traiamo queste cifre, ci informa anche che « quasi tutte queste amministrazioni erano passive, od oberate da forti pesi, pure quella del Santa Rosa ; in profitto quelle del Garda e del principe della Cisterna ». Manno 1879², p. 26-27, 197.

58 Tra questi si comprendono i patrimoni di Bianco di St. Jorioz, Santarosa, Garda, Rattazzi, Appiani, Garrone, Osella e altri. ASTo, A.P., Processi politici del 21, b. 56, f. B.

59 Ibid.

60 Ivi, f. D.

61 « Gastaldi antico segretario della famiglia non ha voluto darmi i conti, né consegnare i libri d’amministrazione degli anni 1820 e 1821, ho dovuto pregarlo di indicarmi almeno quali salari venissero pagati ». Ibid., lettera del ricevitore del regio demanio di Torino all’ispettore Sismondi, 12 aprile 1822.

62 I giardinieri del principe della Cisterna riuscirono farsi raddoppiare i compensi annui. Ivi, Riduzione a mano regia di beni Cisterna : istanze Bonaudo, Serra e Michetti.

63 L’Opinione, 21 maggio 1853, p. 1.

64 Sclopis 1860, p. 30.

65 Volonnino 2016.

66 Già il 20 gennaio 1848 con regio decreto il principe era nominato consigliere straordinario di stato di Carlo Alberto. ASBI, Dal Pozzo, m. 21, f. 19.

67 Ivi, f. 18.

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References

Electronic reference

Silvia Cavicchioli, “I sequestri piemontesi del 1821 e il principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna”Mélanges de l’École française de Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines [Online], 129-2 | 2017, Online since 03 April 2018, connection on 11 February 2024. URL: http://journals.openedition.org/mefrim/3219; DOI: https://doi.org/10.4000/mefrim.3219

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Silvia Cavicchioli

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